2023 seconda parte – let’s go! 😎

Qualcuno starà in ferie, altri avranno finito, ma intanto qui le scuole hanno già riaperto, why not. Avevo già scritto un po’ di volte di come il 15 di Agosto si potessero vedere ragazzini in divisa invernale, con tanto di cartella pesante sulle spalle, quindi niente di nuovo. Per dire, sono uscita oggi e un signore aveva il cappotto pesante che penso sia esagerato anche per il clima lunatico di qui. Piove, piove, poi esce il sole e sudi, poi piove di nuovo e sudi ancora perché è pur sempre estate. Comprendo i confusi che indossano ciabatta aperta pelosa ed impermeabile a questo punto. Ma poi vabbè, c’è il Fringe Festival in città fino a fine mese, non dà nell’occhio nessuno.

☀️Di sicuro niente a che vedere con il clima mediterraneo infernale – posso confermare anche io – visto che questa stagione me la sono passata buona parte a morirmi di caldo in Italia, perché a me non piace il caldo. Ha senso? Non proprio. Ma il mare merita sempre una visita, anche perché è l’unico posto dove si respira – in acqua. Ho un minimo di abbronzatura che non vedevo da anni e sono sopravvissuta con il ventilatore puntato addosso al massimo. Ah, ecco perché vivo in Scozia, giusto.

Io e Fidanzato siamo tornati con un volo notturno che ha fatto un ritardo di un’ora e mezza, capitati in mezzo ad una perturbazione con i fiocchi quando arrivati sulla stretto della Manica. Nel bel mezzo del servizio di cene e drink dal carrello sgangherato, il capitano ha chiesto gentilmente allo staff di andarsi a sedere. Bello, molto bello, da rifare, esperienza TARDIS di Docotor Who compresa nel biglietto aereo.

“Immagina se cadiamo giù!” Ma anche no, stellina bella, che vai a dire, mi fai come quella bambina inglese all’aeroporto con il papà che tutta emozionata e sorridente diceva “Daddy we are going to fall, daddy we are going to DIE!” (“Papà cadremo, papà moriremo”). Istinti suicidi alla tenera età di nemmeno 3 anni. Piccoli emo crescono, sono commossa.

🛬Poi siamo arrivati a destinazione, fatto il controllo passaporti, recuperato la valigia di Fidanzato anche troppo velocemente, ed aspettato un Uber che sembrava non giungere mai. Ci siamo fatti a piedi mezzo parcheggio davanti l’aeroporto perché non si capisce una ceppa di dove dover aspettare questi benedetti Uber che sono trattati come il figlio povero e disgraziato della famiglia. Sì, la diatriba con i Taxi c’è anche qui a Edimburgo, solo che fondamentalmente se vuoi fare l’autista Uber deve prenderti la licenza come un taxista e lavori con la tua auto per il comune. Se sei invece un taxista lavori per una delle agenzie della città e con le loro auto nere, fine.

La mia testa ha toccato cuscino alle 3 del mattino.

Mia mamma mi è venuta a trovare con mia sorella e ho fatto la turista e la tour operator insieme. Alla terza giornata forse mi avrebbero volentieri licenziata, ma mi faccio anche volere bene delle volte. Non possono dire di non aver visitato Edimburgo come si deve – forse. Siamo andate a vedere il Royal Yacth Britannia dove tempo fa la Regina ci faceva i suoi giretti dal 1954 fino al 1997, così posso dire di aver visto il letto dove dormiva quando andavano in mare o aver fatto io il saluto sul ponte rialzato con balaustre importanti a coprire le gambe e sottane reali. Dovrei farci un articolo dettagliato, o magari sarà solo una di quelle cose che si dicono per dire, come i caffè che non si vanno mai a prendere al bar. Dovremmo uscire insieme un giorno! Sì! E non uscirono mai più.

Tra un po’ inizio il college e sono di nuovo in quello stato di pre-primo giorno di scuola, solo che adesso non puoi metterti a fare i capricci o a chiedere di tornare a casa in lacrime alla mamma, insomma, uno ha anche una dignità e pare brutto. E la mia mamma ci metterebbe pure un po’ a venirmi a prendere, aerei permettendo. Parte dei miei compagni di corso continueranno insieme, io da brava ragazza che sono continuo per un altro dipartimento. Evviva!

🇯🇵Ah, mi sono appassionata ai drama Giapponesi. Il salto video giochi – serie TV è stato quasi naturale, ci si tiene impegnati. Da che avevo la scusa del “li guardo solo per imparare la lingua”, in realtà mi sono appassionata da fare invidia alle vecchiette incollate a Cento Vetrine il pomeriggio. Sono un guilty pleasure.

Buon rientro, buon tutto, keep up the good work gente, ci sentiamo alla prossima (?).

Intanto, qui piove di nuovo. Ah, no c’è il sole. Ah no – vabbè, avete capito.

Miss, posso andare al bagno? Invigilator all’attacco

Avevo accennato a come avrei preso parte ad un esame dall’altra parte della cattedra, giusto? Ecco, durante il training avevano accennato a come con molta probabilità avrei dovuto fare da cane da guardia ad un paio di ragazzini, non di più. 3, 4, massimo 5, toh.

Arrivo la mattina dell’esame bella ansiosa all’ufficio e la direttrice mi saluta e mi chiede il nome. “Ah, Laura, eccoti qui,” e punta il dito su di un foglio excel che ha sulla cattedra davanti a lei con tanti numeretti e nomignoli.

Vicino al mio nome ci sta scritto 20.

20 cosa? Caramelle? Patate? Si tratta di un punteggio? Wow, penso, come è alto, è il più alto di tutti, vedo solo 4 o 5 agli altri nomi…

“Devi andare in questa classe, è bella grande sai, hai 20 persone da invigilare :D”

La guardo.

Guardo il foglio.

Guardo di nuovo lei.

Ha gli occhi stanchi.

Pure io, non ho dormito tanto.

Mmm.

Laura. 20.

Ah.

Meno male che dovevano essere 4 o 5. Massì dai, 20 è pur sempre un multiplo di 4 o 5 no?

“Oh, va bene,” dico sorridente e affabile, da grande attrice premio Oscar, mentre dentro credo il mio unico neurone abbia commesso seppuku.

La direttrice mi consegna un bustone pesantissimo, un orologio da attaccare al muro perché la classe non ha i PC, mi dà pure un cartello gigante EXAM IN PROGRESS, e pure un’altra busta perché magari era poca la roba che avevo in braccio.

“Sai dove andare?”

“Mah, oddio, non sono tanto familiare di questo posto…”

“Dall’altra parte del palazzo 😀 buona fortuna.”

Good Luck.

Così, esco dall’ufficio mezza intontita ripensando a quel 20, ringraziando di avere un’ora abbondante per sistemare l’aula.

Mi perdo, ovviamente, quel posto sembra un labirinto.

Vago per l’edificio con ‘sta roba in braccio, mi affaccio in un corridoio, mi sento come Asterix e Obelix alla ricerca del lasciapassare A38. Qualcuno mi guarda curioso, vado alla reception dove il tipo non capisce che sono un Invigilator, pensando che io sia uno studente.

Gli mostro il mio bottino, indico col mento la busta.

“No, sono un Invigilator, devo andare in questa stanza, come ci arrivo?”

“Ma devi fare un esame?”

“Sì, ma non io, sono un Invigilator.”

“Ma a che ora?”

“Tra un’ora.”

“Hai un esame tra un’ora.”

Fisso il mio bustone e ripenso a come sia arrivata a questo punto, un po’ sconsolata. Comprendo perché non abbiano persone che vogliano fare da cani da guardia e abbiano chiesto a gente stolta come me.

“Okay, allora, vai dritta, gira a destra, vedi il bar, ecco, non lo guardare, sali le scale, poi a destra e vai dritta e segui il corridoio, ci arrivi. Chiedi al folletto magico la parola d’ordine, fa una piroetta su te stessa, salta su una gamba e apri la porta.”

“Ma quindi a che serve la parola magica?”

Non lo sapremo mai.

Arrivo all’aula, controllo che sia quella giusta, saluto due studenti ansiosi che vogliono iniziare al più presto, mi chiudo dentro e sistemo la classe alla meno peggio. L’orologio lo metto al muro e casca per terra, si frantuma in mille pezzi dopo nemmeno 10 minuti di onorato servizio: guardo nella bustona e ne ho un altro di riserva.

Qualcosa mi dice che non sia successo solo a me.


I 20 studenti hanno sì e no 18 anni ed alcuni mi trattano con una reverenza che mi fa sentire un professore. Mi guardo dietro le spalle, ma no, non c’è nessuno dietro di me con più autorità, in quel momento l’autirità sono io. Io. Una professoressa mi chiede un informazione prima di chiudere la classe al mondo intero e pure lei, mi parla con un linguaggio così ricercato e professionale che mi chiedo chi sia diventata nel giro di una notte.

Oh Povere anime.

Mi chiedono in mille di andare al bagno, ci vanno, aspettiamo, qualcuno sta morendo per l’attesa. Io pure, gli vorrei dire, ma in effetti meglio stare dall’altra parte che rispondere a chissà che domande e di chissà che materia.

Confisco un paio di bigliettini, ma erano solo fogli di carta senza niente scritto sopra, pare; un altro finisce la penna, un altro finisce il compito in 30 minuti, consegna e se ne va. Vorrei andarmene anche io ma non posso per ovvi motivi.

Passa un’ora in modo lento ed inesorabile; cammino un paio di volte su e giù, non so dove mettermi le braccia, quindi le incrocio, resto vicina a qualcuno che sembra voler fare il furbo, non fiata una mosca. Guardo fuori dalla finestra, i gabbiani starnazzano e tira vento, ma dentro quella classe si muore di caldo. In Scozia fa freddo, dicono, serve la giacca.

Piano piano sono sempre di meno in classe, prendo i loro compiti e se ne vanno. Scade il tempo, finiscono gli ultimi due e resto sola dentro la classe. Poggio i compiti, mi siedo sulla sedia e faccio un sospiro di sollievo: è finita. Guardo il soffito, mi pento di essermi messa una maglia pesante quella mattina.

Rificco a forza i compiti sudati dei ragazzi nel bustone, raccatto cartelli e orologi, prendo la mia borsa e attraverso l’edificio per riportare tutto dalla direttrice: questo è il momento in cui devi proteggere quei compiti con la tua stessa vita, che ne so, metti caso qualcuno ti prenda a bastonate perché vuole cambiare qualche frase o crocetta. Ma non c’è quasi nessuno in giro, i miei passi rimbombano nei corridoi derserti: le lezioni sono quasi finite per tutti.

“Oh, Laura, come è andata?”

Credo di avere la faccia sconvolta, più per la fame che per altro, “good, good,” rispondo con la voce roca.

Bene bene, che tradotto sarebbe li mortacci vostri.

Non mi aspettavo mica 20 persone sai, scherzo, mentre le consegno il bustone.

“Eh sì, arrivati a questo punto ci sono classi numerose a volte, prenotare le aule grandi poi è sempre un’impresa…”

Un altro collega arriva, sconvolto pure lui, e pure lui con un bustone in mano. Fare l’invigilator è uno sporco lavoro che qualcuno deve pur fare.

“Grazie mille per averci aiutato :D!”

Saluto tutti, esco, me ne vado quasi correndo. Chiudo la giornata con del bubble tea zuccherosissimo che resuscita il neurone morto quella mattina.

Bene.

Torno a fare lo studente ancora per qualche tempo!

Dall’altra parte della cattedra

Hello.

Probabilmente ci sto prendendo gusto, chissà. Sarà che mi manca stare dalla parte opposta di un bancone e così mi metto dietro una cattedra per un po’.

No, non divento professore, per ora no. Ma pare che farò da Invigilator per qualche esame, a controllare che gli studenti non copino dalle bottiglie di plastica, da bigliettini attaccati sui calzini, o sotto le palpebre.

Ho fatto un training dove praticamente ci hanno spiegato come poter beccare lo studente furbetto: ero l’unica studente nell’aula, mi han guardato, mi han detto “immagino che tu lo saprai meglio di noi”.

Sì, in effetti sì, però alzi la mano chi non hai mai provato a copiare/non ha mai visto idee creative messe in atto in classe in diretta. Ho avuto gente che si scrisse un capitolo sul petto alle medie con la penna, chi al liceo si mise capitoli rimpicciotili tra le balze della gonna, e chi scrisse le classiche note sul muro tra le scritte “Marco TVB”.

Ho una miriade di cose da dover tenere a mente per quel giorno lì, tanto che la fanno sembrare chissà cosa, ma mi piace pensare che sarà interessante.

Vi saprò dire, o forse no.


Mancano due esami e posso archiviare questo anno di college! L’anno prossimo continuerò, sì, farò l’anno che corrisponde al primo di università.

Io che saluto le matricole l’anno prossimo.

Il 6 ci sarà invece l’incoronazione del Re, ma essendo un sabato ci danno un bank holiday in più il giorno 8 che è un lunedì.

Una mia professoressa alla domanda “cosa fai sabato” ha risposto che se ne sarebbe andata a passeggiare per le montagne così da non sentire e vedere niente di quel “circus”.

Però per i supermercati ci sono le bandierine UK per aria e i cartonati di Carlo III che ti fissano in modo inquietante.

Credo sia qualcosa.

Alla prossima baggianata!

Pronto, la compra una lavatrice?

No, non mi sono impazzita, non del tutto per ora.

Credo.

Per un brevissimo periodo ho fatto parte di un team incaricato di telefonare gente che aveva finito gli studi al college, chiedere un po’ della loro situazione attuale, giusto per aiutare a stilare i famosi sondaggi che poi mettono belli blasonati in giro per la città.

95% dei nostri studenti ha successo!

Il 20% non si lava i piedi!

Cose così.

Ecco, se mai abbiate avuto dubbi su come venissero stilati questi sondaggi, non temete, so i dietro le quinte.

  1. Generalmente la gente odia ricevere telefonate, pensando oddio, mi vogliono fregare, mi rifilano una lavatrice che neanche volevo, odio le lavatrici.
  2. Anche se giuri sulla tua stessa vita e i tuoi peluche che no, quella telefonata non durerà un quarto d’ora ma massimo un minuto, non ti crede nessuno.
  3. Se ti chiedono di richiamarli in un momento migliore, stai certo che pure se li richiamerai, non sarà mai un momento migliore.
  4. Molti non sanno che possono declinare l’offerta del partecipare al sondaggio, a volte un “no grazie” è un po’ più carino dello sbattere il telefono in faccia.
  5. Se hai un accento non britannico alcune persone sono ancora più sospettose, ma insomma, se non ti sto chiedendo conti bancari o la password del conto in banca di tua nonna forse stiamo al sicuro.

Uno spassionato consiglio? Bloccate il numero sconosciuto che vi sta telefonando se non volete rogne, io faccio così. Eaasy-peasy-lemon… Sì.

Hey, ma allora perché hai voluto fare questa esperienza?

Ma che ne so, ho pensato che magari dopo 250 telefonate mi sarebbe passata la fobia del telefono.

Risultato? No, il telefono mi fa ancora più schifo. 🙂

La terapia d’urto non funziona in questo caso.

Di nuovi anni e soliti giri

Gli aerei all’alba son così.

Buon anno anche se in ritardo di un mese! 2023 iniziato con grandi novità, tra le tante: non parlerò di clienti strani e casse inutilizzabili per un po’, un cambiamento che mi ha fatto tirare un sospiro di sollievo. Che dire, mi sono resa conto che c’era bisogno di ingranare la terza, o anche la quarta o quinta, per quanto riguardasse il mio portfolio del tutto inesistente costituito da un sito e mezzo funzionate.

Salve, vorrei fare la web designer.

Salve a lei, mi faccia vedere il porfolio

Un sito e mezzo.

Molto interessante. Sicurezza!

Ecco come sarebbe andata a finire da qui a breve ad un ipotetico colloquio con qualche azienda sfigata ad avermi lì. Che poi, ancora non mi decido nemmeno nel sistemare il mio blog, insomma, insomma. Andiamo bene.

Web Design is my passion, disse.

Ma torniamo al negozio per un attimo

Da parte di due colleghe.

Anche a questo giro, se ne sono andati in 2, il manager ci manca poco lo licenziano, ed una mia collega è finita anche all’ospedale. No, non perché si sono menati, no. Ma sta bene, solo una brutta polmonite che tutti pensavamo fosse altro.

Fatto sta, l’aria puzzava da un paio di mesi a questa parte e l’avevo sentita. Stavo cadendo di nuovo nella trappola del sentirsi in colpa nel lasciare persone le quali non aspetterebbero due secondi per andarsene in un posto migliore = negozio che paga di più e chiude prima.

Ergo no.

Ci manca poco che il suddeto manager muore nel sapere che me ne stavo andando così di botto dopo le vancanze, ma sinceramente non ne potevo più. Ne verrà un altro di negozio, come era arrivato questo quasi come una grazia divina l’anno scorso.

Vi giuro non vi tartasserò più con palloncini.

Ultime parole famose.

Italia al caldo

Sono tornata in Italia per le vacanze e sembrava primavera. Ho portato con me tante di quelle calze che potevo legarle assieme e farci una bella corda per scendere giù dal balcone stile Raperonzolo.

La prossima volta parto con la valigia vuota.

Lo dico sempre ma poi non lo faccio mai.

Gorgie Farm

La piccola fattoria di Gorgie ha chiuso il 16 Gennaio e resterà chiusa per chissà quanto tempo.

Colpa della crisi, colpa del covid, insomma non sono riusciti a trovare i soldi per tenerla aperta al pubblico. E non è la prima volta che ha rischiato così tanto di essere dimenticata, già nel 2020 era stata chiusa.

Questa volta ho capito che mi sa non si può fare niente di niente.

Poi uno spera sempre in uno Scrooge che ha una botta di carità, ma la vita non è una zuccherosa storiella natalazia.

Ed è pure Gennaio inoltrato.

Mi mancheranno tanto gli alpaca, ma anche tutti gli altri animali che ti mettevano il sorriso solo a guardarli.

Team e Matite

Abbiamo fatto un esercizio di team building al college dove bisognava portare una pallina da tennis usando solo la parte della gomma delle matite da una parte all’altra della stanza.

In 6.

In equilibrio.

Immaginate questi adulti intorno ad una pallina da tennis che camminano piano piano.

Esilarante.

Ha vinto l’altro team perchè hanno avuto l’idea di chiedere più matite = che significherebbe chiede più risorse per il progetto.

Era tutto un modo per insegnarci il processo di sviluppo cretivo e quant’altro.

Sì.

Era una metafora.

La prossima volta giochiamo a un due tre stella e anche quella sarà una lezione di vita immagino.

Ero così presa dalla competizione bambinesca che non l’avevo capito.

Che delusione!

Sarà l’aria di Natale 🎄🔥

Non ricordo dove abbia sentito la storia sui Saturnalia degli Antichi Romani che iniziavano a festeggiare anche due mesi prima della festa effettiva. perché ci si divertiva dalla notte fino alla mattina. Immagino sia per lo stesso motivo che ormai Natale iniza a Ottobre Agosto non finisce mai. Sarà per l’atmosfera, sarà per i regali… Sarà solo per uno sfrenatissimo bisogno di consumismo schiavi del capitalismo come siamo noi, io per prima piccola ape operaia.

Ma vabbè, troppi paroloni, non fateci caso chissene frega. Capitemi, dormo e sogno di servire orde di persone imbufalite alla cassa, mentre il mio prof di programmazione è seduto alla cattedra in mezzo al negozio e fa lezione.

Tutto questo solo per dire che la gente è ancora avvelenata, ancora piena di bile, nonostante la stagione gioiosa cicciosa. E okay, da una parte forse li capisco pure, quando uno non ha nulla a cui pensare al di fuori del tuo angioletto santo che deve essere accontentato in tutto e per tutto, ci siamo passati. Una mia compagna di corso che la sera lavora come taxista, mi ha dato ragione su come in effetti ci sia stato un calo nell’educazione media dei suoi passeggeri. Fai Buongiorno e Buona Notte, ti rispondono nemmeno con un grugnito. E mica vuole sapere tutta la loro vita, per carità, ma manco un salve, hey pal how are you doing.

Passato quasi un anno abbondante dall’inizio del nuovo lavoro, posso dire che sì, effettivamente ogni negozio somiglia al’altro. Ad essere diversa, senza forse, sono io. La cassa la vedo meno ore a settimana, penso più ai progetti del college e guardo con gli occhi a cuoricino al nuovo anno pensando a qualsiasi fiera della carriera, Topolino in carrozza, circo in città, basta che ci sia un PC di mezzo.

La nevicata di ieri mattina, la neve non è durata manco 12 ore.

Pare ci debbano visitare i Mistery Shopper, aka i clienti finti che poi mandano la pagella ai piani alti per fargli sapere se siamo stati bravi a servirli, offrirgli roba i più, inchinarci alla loro entrata in negozio, eccetera, eccetera, eccetera… L’ultima volta siamo stati mediocri perchè pare non siamo stati in grado di offrire neanche mezzo stecco di candido natalizio. E vabbè.

Se poi sti mistery shopper sono intelligenti come la cliente che resta sconvolta nello scoprire che un palloncino con dentro l’elio si restringe al freddo, accusandoti di dire bugie… Io boh. Non ho parole.

“Questo palloncino non mi convince.”

Si sente un CRACK, il palloncio si gonfia e torna normale sotto i nostri occhi.

Io la guardo, penso a come glielo avevo pure detto prima che sarebbe potuto accadere visto che siamo in inverno, in Scozia, e faceva FREDDO. Ma quella niente. Immagino che le mie parole siano state ricevuto come dei suoni gutturali da uomo della caverne. “Uga uga, pallone, uga uga, “

“Signora, le garantisco è normale. Succede. Se torna a casa il palloncino sta bene.”

Quella guarda il palloncino che al caldo del negozio è tornato NORMALE. Si rende conto per un breve attimo di aver fatto la cavolata, ma ormai deve continuare la sua linea di pensiero. “Mmm, non so, non sono convinta. Vedremo che succederà domani,” aggiunge con aria di sfida, beffarda.

E io “va bene.”

😐

Se ne va, non faccio in tempo a pulire il pavimento e tirare su polvere e schifo, che due clienti iniziano a litigare su chi era arrivato prima alla cassa.

Era da dire, “nessuno, andatevene entrambi.” In castigo.

Stiamo per chiudere, mi metto con la scopa davanti all’entrata, sentendomi come i personaggi di The Walking Dead contro gli zombie. “Siamo chiusi!” Le chiavi sono inserite, ormai è fatta, è ufficiale.

“Ma solo 5 minuti dai, che vuoi che sia devo solo fare un giro, devo prendere qualcosa per mio nipote, dai!”

“No.”

“Eddai!”

Cia’.

Insomma.

A Natale sono tutti più buoni, credeteci!

Pronostico per il 2023: non lavorare più in retail. MAI più.

Incrocio le dita.

Alla prossima!

Tornando alla pseudo-normalità

Il periodo di lutto è passato, si torna alla normalità, o così pare.

C’è da dire che le polemiche ci sono state riguardo l’ossessione mediatica che ha ricoperto la famiglia reale inglese, considerata per molti anacronistica un po’ come la monarchia stessa. E non parliamo della polizia pronta a sedare ogni tentativo di protesta in Scozia, Galles e Nord Irlanda con tanto di gente nel commentare “non è il momento giusto per protestare, un po’ di rispetto”.

Sarà.

Ma se non si protesta nei periodi di cambiamento, quando lo si fa?

Una donna di 96 anni è morta di morte naturale. Erano da alcuni anni che ricordo di come se la giocassero lei, mio nonno e Piero Angela, una battuta che facevo spesso per esprimere il mio sbalordimento nel raggiungere l’età over 90. E ha vinto lei, la Regina Elisabetta. Quasi un secolo di vita, gente, ad arrivarci come ci è arrivata, nel suo castello in Scozia. Al massimo, io posso sperare di trovare una casa con un balcone e sentirmi così parte della nobiltà, un unicorno (i balconi sono rari qui per ovvie ragioni, che ci si fa se piove sempre?!). Tolti i blasoni, le tende di Buckingham Palace e le guardie del corpo, era una persona che ha avuto la fortuna di nascere in una delle famiglie più seguite ed influenti al mondo. Ed è per questo, che per quanto possa dispiacermi della sua morte, non si può però abbandonare il diritto a protestare e dire la propria sulla famiglia di tale persona.

Ma vabbè. Chi sono io per giudicare.

Ho letto notizie di persone in piedi a far la fila sia qui che a Londra nella notte, con i gradi che sono arrivati a 4, fra la pioggia e l’umidità che mangiava le ossa: il tutto per rendere omaggio alla sovrana, fino all’altro ieri. Ambulanze sono state chiamate per ricoverare qualche poveraccio che si è sentito male, chi si è quasi morto di freddo perché non aveva previsto né il freddo, né la fila chilometrica.

E poi qualcuno ci è andato invece 7 volte, neanche si parlasse di una montagna russa in un parco a tema aperto da poco. Se le signore imbacuccate nei loro tweed e cappellini di lana erano un po’ tristi nel rispondere al giornalista di turno, ecco che altra gente parlava di quell’occasione quasi come se stesse attendendo di entrare in uno stadio per un concertone esclusivo. Mmm.

Io capisco tutto, ma qui credo sia sia sfiorata la psicosi di massa.

Ieri quasi tutti i negozi e supermercati sono rimasti chiusi, qualcuno ha riaperto il pomeriggio con la conclusione del funerale: sembra che sia stato previsto che almeno 4 miliardi di persone nel mondo si siano fermate per vederne anche solo un assaggio, gli occhi puntati sul feretro e le macchine nere.

Ammetto che egoisticamente, sono sollevata che sia finita, vista la quantità di strade chiuse e ritardi ai bus e tram che erano diventati assurdi. E non vivo a Londra. Tra un po’ non si poteva neanche camminare: un giorno me ne tornavo a casa dal college, ho assistito ad un blocco stradale in diretta con tanto di polizia e mega-macchinone nero con vetri oscurati. Ah, un royal. E poi via, così come sono arrivati se ne sono anche andati, sfrecciando per le strade rese deserte dalla loro mera nascita.

Oh beh, chissà adesso con il nuovo sovrano, questo Regno Unito che mi combinerà mai, mattacchione. Un po’ di relax non fa mai male, posso consigliarlo al nuovo Re? Alla prossima.

Liverpool: musei, Beatles e tanti, ma tanti treni

Quando viene consigliato di non viaggiare causa di possibili scioperi, uno non dovrebbe viaggiare affatto.

Giusto.

Ma quando sei già in viaggio e devi tornare a casa proprio quel giorno che cosa fai? Ve lo dico io.

***

Con Fidanzato siamo andati a Liverpool per 3 giorni, per andare a vedere un’esibizione su Doctor Who e anche per tutto quello che riguarda i Beatles. Ci sono tanti bambini ma anche tanti signori e signore che guardano la mostra con il sorriso stampato sulle labbra. Scatto miriadi di foto, penso di farci un articolo in futuro che meriti.

La quantità di musei da vedere è impressionante: se un mio vecchio collega di lavoro mi diceva che a Liverpool non c’è niente da fare, probabilmente non l’aveva vissuta da turista, un po’ come chi per lavoro o per studio vede il Colosseo tutti i giorni.

Abitudine.

Per quanto riguarda i Beatles, li mettono in ogni cosa: le strade, le vetrate colorate, i pub, chi dice che da qui è passato John Lennon un giorno, chi garantisce che sia passato da un’altra parte; e poi i ristoranti con il menù a tema, il Cavern Quarter dove suonavano da ragazzini, le placche commemorative, le statue. Andiamo al museo dei Beatles, riconosco tra gli oggetti un sottomarino giallo che stava a casa dei miei nonni: è fatto di metallo, mica plastica. Me lo porterei a casa ma c’è il vetro, lo lascio lì.

Passarci di venerdì sera è il caos, con gente sbronza ma felice che canta, balla, si abbraccia e fa festa in fiumi di birra. Metteteci anche un’ondata di caldo anomala che sta facendo preoccupare mezzo Regno Unito, ecco il cocktail perfetto.

***

L’Odissea

Ma di tutto il viaggio, cosa resta di più? Il ritorno. Svegliata la mattina avevo un brutto presentimento, e non era solo la cena della sera prima che tra l’altro era stata anche buona – Fish and Chips – sei in Inghilterra che fai non la provi? Ecco, controllando il nostro treno, vengo a sapere che non ce ne stava mezzo, o meglio: ci stava ma non era garantito. E quel “non garantito” puzzava parecchio.

Pensavo che avessero proclamato lo sciopero per tutta la nazione già giorni prima ma no, quella mattina si erano svegliati e a grappolo avevano deciso di cancellare treni uno dopo l’altro.

Cancelled, cancelled, cancelled.

Sale l’ansia, ma poco male, parli con il bigliettaio che ti stampa un nuovo biglietto, vai a Preston, trovi il treno laggiù. E va bene, se lo dice lui, ci crediamo. Ha perfino girato lo schermo del PC e me lo punta con il dito, è verde.

Il treno, non il suo dito.

Il regionale Liverpool-Blackpool è stracolmo di vacanzieri. Un uomo gioviale seduto allo stesso tavolino ci augura buona fortuna, dopo averci raccontato di come sia appassionato delle Red Arrows e dei Typhoons, che sarebbero come le nostre frecce tricolori. Sta andando proprio a Blackpool per lo show di quel giorno. Gli consigliamo di venire in Italia per vedere le nostre il giorno della festa della Republica, e lui se lo segna. Parla anche con i sassi, la gente affianco beve birra, è felice. Un ragazzino è emozionato e non riesce a stare fermo sul sedile, mi saluta. Io cerco di fare un sorriso tirato, penso che nella sfortuna abbiamo incontrato dei compagni di viaggio carini.

A metà tragitto, sul cellulare scopriamo che a Preston il treno per Edimburgo non c’è.

Scendiamo dal treno, saliamo le scale, scendiamo le scale, andiamo dal bigliettaio che è più deciso di quello di Liverpool.

“Dobbiamo andare a Edimburgo, il nostro è stato cancellato, ci sono altri treni?”
“Non ci sono treni per Edimburgo”

Io e Fidanzato restiamo in silenzio, al che già mi immaginavo a dormire a Preston. Che poi, cosa c’è a Preston? Boh, non ne ho idea. Non ho voglia di fare il turista ora come ora.

“Ma proprio niente? Manco una connessione?” Chiariamo che non ci importa del numero di cambi, basta che ci facciano arrivare a casa.
L’uomo fa silenzio, clicca sul tablet e clic clic clic “Potete andare a York. Da là cambiate e andate a Edimburgo.” Stampa un biglietto nuovo che ha la consistenza della carta di riso usata nelle finali di Takeshi’s Castle: semi-trasparente. L’unica cosa che ci garantisce di non spendere ulteriori soldi per dei biglietti extra è fragilissima.
Bene. Grazie.

Il treno nuovo parte fra 10 minuti e io ho la vescica che mi giudica, sembra dire “due ore e mezza sul treno non sopravvivi cara mia”. Ricordo lo stato del bagno sul treno l’ultima volta e voglio morire. E quindi io obbedisco, lascio i bagagli a Fidanzato, corro al bagno, cambiamo binario, assaltiamo il treno, prendiamo il posto. Voglio pensare positivo.

Attraversiamo il Regno Unito quasi in una linea retta, da occidente a oriente. Vedo città che non avrei mai pensato di vedere. Vedo Leeds, città che ricordavo solo perché ci era nato John Simm, attore inglese noto per Life on Mars o per il Maestro a Doctor Who. Interessante.
Manca mezz’ora a York e la gente intorno si è zittita un po’, qualcuno è sceso prima lasciando dietro la scia di immondizia – per lo più lattine di birra. Potrebbe andar peggio, il treno potrebbe essere stato cancellato. Il controllore vede il nostro biglietto e resta perplesso, manco fosse stato scritto in aramaico antico.

“C’è qualche problema?”

“Sì e no. Quando arrivate a York, chiedete a qualcuno se potete usare questo biglietto perché non sarebbe valido.”

Arrivati a York, ci rimbalzano da sportello a sportello, dove alla fine ci scrivono un biglietto a mano per pietà e lo timbrano perché pare che noi non dovevamo essere lì. West Coast e East Cost non sono collegate fra loro, pare. “Ma veramente vi ha mandato qualcuno dello staff della compagnia da Preston?” Sì, lo giuriamo. La carta di riso ne è la prova, non ce la siamo stampata da soli. Lasciamo una York allibita, povera gente.

Siamo stremati. “Non avrete i posti prenotati, ma potete andare sul treno diretto fra mezz’ora, va a Edimburgo.”

E chissene frega, mi sdraio anche nel reparto dei bagagli se devo. Usciamo dalla biglietteria e due ragazzi ci fermano: hanno lo stesso nostro problema, ci hanno sentiti ma a quanto pare, l’altro tipo dello staff gli ha fatto pagare il biglietto. Ops. Rientrano e li rimborsano, come giusto che sia. Qualcuno deve andare fino su al nord nelle Highlands, non sa come fare. C’è il caos.

Il treno arriva da King’s Cross, Londra, ed è puntualissimo. Una cosa che ho notato con gli scioperi qui, i treni che ci sono sono sempre puntuali: piuttosto che far ritardo li cancellano a priori. Favoloso. Mi arrampico sulla carrozza, troviamo un posto tra una famiglia irlandese in vacanza verso Newcastle e un ragazzo che è alla sua terza birra e si è tolto le scarpe perché sta a casa sua, con fette calzinate su sedile.

Qualcuno passeggia per i corridoi a piedi nudi.

Nuovi figli dei fiori.

Sono gli anni ’60.

Arriviamo a Edimburgo alle sei e mezza di sera dopo aver viaggiato tutto il giorno, ma arriviamo. La stazione è piena di gente, ricordiamo che c’è il Fringe.

Tiro un sospiro di sollievo.

Sono arrivata a Itaca.

Liverpool, Preston, York ed Edimburgo. Via treno solitamente non si va a York, devi avere sfiga.

Giraffe About Town – Giraffe in città!

Una giraffa vera allo zoo di Edimburgo

No, non sto parlando di giraffe vere, quelle si possono vedere allo zoo come sopra. Parlo di 40 statue di giraffe decorate da artisti e finanziate da diverse società e negozi della città. Fino al 29 Agosto è possibile trovarle in diverse vie e luoghi famosi di Edimburgo ferme lì a farsi ammirare.

Ognuna è diversa dall’altra e celebra la ricchezza del territorio, con il fiume Water of Leith, la flora e fauna locale e tanto altro ancora. Verranno poi spostate per essere messe all’asta il 4 Ottobre: i ricavati andranno in beneficienza.

Ne ho beccate 11 per ora, che non è male: vedrò se aggiungerne altre alla lista! Nel frattempo, sul profilo Facebook dello zoo di Edinburgo è possibile vedere le foto delle altre sculture.

Purtroppo una delle giraffe, quella su Calton Hill, è stata danneggiata da qualche simpaticone che non aveva nulla da fare: è stata prontamente recuperata ed è dal veterinario delle statue.

La giraffa Stan Tall for Giraffe danneggiata il 30 Luglio.

Ammetto di essere sorpresa da come la maggioranza delle giraffe sia ancora in buono stato, ma spero di non aver parlato troppo presto.

Lista delle giraffe sul sito!

Qui trovate il sito con tutte le informazioni dell’evento, gli artisti coinvolti, i gadget da poter comprare dallo shop e tanto altro ancora!

Bye bye.

PS: Siamo sopravvissuti all’ondata di caldo anomala, e grazie tante, direi anche. Vedere boccheggiare i locali come pesci fuor d’acqua a toccare i 30° all’ombra è stato strano, sciogliendomi come una caramella al sole nel negozio/forno. Prosima fermata, autunno, grazie! Ah no. C’è il Fringe Festival.

Welcome Back! Forse è meglio andare a piedi.

Gli omini salva-vita della Ryanair che ti accompagnano per tutto il tuo viaggio

Viaggiare con la Ryanair è un’esperienza che toglie letteralmente il fiato: se per la malaugurata sorte, il tuo aereo partirà per l’ora di pranzo con un’ora di ritardo, l’aria si riempirà di odori sopraffini di panini precotti, pizzette, birra e vino di accompagnamento. Buon appetito. E se le mascherine adesso sono a scelta, te ne penti di indossarla quando la zaffata di cipolla raggiunge le tue povere narici.

Poi oh, metti caso devi anche alzarti per usufruire del bagno, che fai non ci vai? Ti alzi e ti fai sottile sottile, raggiungendo la porta della toilette-loculo, cercando di ricordarti la funzione di una semplicissima maniglia. La giovane hostess nel frattempo prepara il carrello perché è ora degli snack-profumi-acqua santa.

E lo sai già, sì, lo sai che hai scelto il momento peggiore per andare al bagno: quando hai finito ed esci dallo stanzino, il carrello e la hostess sono davanti a te sbarrandoti la strada verso il tanto agognato posto. Inizia la processione, stazione dopo stazione con il capo chino, offerta dopo offerta. Una carta non funziona, il pin è errato, spiacente non accettiamo cash e via, si perde ulteriore tempo. La testa di Fidanzato spicca dal sedile e sembra solo allontanarsi sempre di più.

Il passaggero accanto al tuo posto si alza per pietà. Esiste ancora gente cortese al mondo.

L’occhio stanco si chiude, fluttui nel dormi-veglia infernale cullato dal cuscino soffocante da viaggio, quando una voce ti desta all’improvviso: è il tuo capitano a 4000 decibel che ti fa sapere che siete quasi arrivati a destinazione. Nello spavento dai anche una gomitata al tuo vicino di posto, che non è Fidanzato, è il poveraccio che per pura sfiga si trova accanto a te durante questa lunga tratta.

Ma non fa niente, non fa niente. Ancora è vivo, non si è fatto male. Era il modo per ringraziarlo della cortesia precedente.

Il paesaggio sotto cambia, si passa la Manica ed arriva puntuale il Regno Unito con le sue nuvole fitte fitte che sembrano dire “stiamo bene qui Europa, crepate di caldo”. Tempo mezz’ora e l’aereo finalmente tocca terra, sequestrando equipaggio e passeggeri per un tempo che sembra immenso, causa mancanza di personale di terra all’aeroporto di Edimburgo.

Traduzione: mancava la scaletta.

“Signori, un attimo, cercherò di capire cosa sta accadendo, ci scusiamo per il disagio.” Il povero capitano è stanco e provato tanto quanto l’aereo stesso. L’aria condizionata spenta all’arrivo, viene riaccesa per non asfissiare i passeggeri zuppi di sudore.

In lontananza, ecco tre ragazzi di corsa che giungono in soccorso.

“Fateci scenneeeeee!!!” Urla qualcuno, scalpitando per un piatto di haggis e Mars fritti locali.

Si scende.

Ed anche oggi, non si dorme in aereo.

Yep.

Si parla dell’arrivo di un’ondata di caldo anomala, la gente sta correndo ai ripari per lunedì e martedì, quando le temperature quissù toccheranno i 30 gradi. Vi farò sapere come se la caverà la fauna del posto, non abituata ai 40 gradi all’ombra italiani durante una semplice gita a Roma.