Sarà l’aria di Natale 🎄🔥

Non ricordo dove abbia sentito la storia sui Saturnalia degli Antichi Romani che iniziavano a festeggiare anche due mesi prima della festa effettiva. perché ci si divertiva dalla notte fino alla mattina. Immagino sia per lo stesso motivo che ormai Natale iniza a Ottobre Agosto non finisce mai. Sarà per l’atmosfera, sarà per i regali… Sarà solo per uno sfrenatissimo bisogno di consumismo schiavi del capitalismo come siamo noi, io per prima piccola ape operaia.

Ma vabbè, troppi paroloni, non fateci caso chissene frega. Capitemi, dormo e sogno di servire orde di persone imbufalite alla cassa, mentre il mio prof di programmazione è seduto alla cattedra in mezzo al negozio e fa lezione.

Tutto questo solo per dire che la gente è ancora avvelenata, ancora piena di bile, nonostante la stagione gioiosa cicciosa. E okay, da una parte forse li capisco pure, quando uno non ha nulla a cui pensare al di fuori del tuo angioletto santo che deve essere accontentato in tutto e per tutto, ci siamo passati. Una mia compagna di corso che la sera lavora come taxista, mi ha dato ragione su come in effetti ci sia stato un calo nell’educazione media dei suoi passeggeri. Fai Buongiorno e Buona Notte, ti rispondono nemmeno con un grugnito. E mica vuole sapere tutta la loro vita, per carità, ma manco un salve, hey pal how are you doing.

Passato quasi un anno abbondante dall’inizio del nuovo lavoro, posso dire che sì, effettivamente ogni negozio somiglia al’altro. Ad essere diversa, senza forse, sono io. La cassa la vedo meno ore a settimana, penso più ai progetti del college e guardo con gli occhi a cuoricino al nuovo anno pensando a qualsiasi fiera della carriera, Topolino in carrozza, circo in città, basta che ci sia un PC di mezzo.

La nevicata di ieri mattina, la neve non è durata manco 12 ore.

Pare ci debbano visitare i Mistery Shopper, aka i clienti finti che poi mandano la pagella ai piani alti per fargli sapere se siamo stati bravi a servirli, offrirgli roba i più, inchinarci alla loro entrata in negozio, eccetera, eccetera, eccetera… L’ultima volta siamo stati mediocri perchè pare non siamo stati in grado di offrire neanche mezzo stecco di candido natalizio. E vabbè.

Se poi sti mistery shopper sono intelligenti come la cliente che resta sconvolta nello scoprire che un palloncino con dentro l’elio si restringe al freddo, accusandoti di dire bugie… Io boh. Non ho parole.

“Questo palloncino non mi convince.”

Si sente un CRACK, il palloncio si gonfia e torna normale sotto i nostri occhi.

Io la guardo, penso a come glielo avevo pure detto prima che sarebbe potuto accadere visto che siamo in inverno, in Scozia, e faceva FREDDO. Ma quella niente. Immagino che le mie parole siano state ricevuto come dei suoni gutturali da uomo della caverne. “Uga uga, pallone, uga uga, “

“Signora, le garantisco è normale. Succede. Se torna a casa il palloncino sta bene.”

Quella guarda il palloncino che al caldo del negozio è tornato NORMALE. Si rende conto per un breve attimo di aver fatto la cavolata, ma ormai deve continuare la sua linea di pensiero. “Mmm, non so, non sono convinta. Vedremo che succederà domani,” aggiunge con aria di sfida, beffarda.

E io “va bene.”

😐

Se ne va, non faccio in tempo a pulire il pavimento e tirare su polvere e schifo, che due clienti iniziano a litigare su chi era arrivato prima alla cassa.

Era da dire, “nessuno, andatevene entrambi.” In castigo.

Stiamo per chiudere, mi metto con la scopa davanti all’entrata, sentendomi come i personaggi di The Walking Dead contro gli zombie. “Siamo chiusi!” Le chiavi sono inserite, ormai è fatta, è ufficiale.

“Ma solo 5 minuti dai, che vuoi che sia devo solo fare un giro, devo prendere qualcosa per mio nipote, dai!”

“No.”

“Eddai!”

Cia’.

Insomma.

A Natale sono tutti più buoni, credeteci!

Pronostico per il 2023: non lavorare più in retail. MAI più.

Incrocio le dita.

Alla prossima!

I soldi del Monopoli, quando l’effige della regina non c’è e vai in ansia

Un pomeriggio di sole sulla Old Town di Edimburgo

Lavorare al centro storico di Edimburgo significa essere assaliti dai turisti affamati di vacanze che non hanno potuto (giustamente) fare l’anno scorso: quindi ecco per lo più gente con accento inglese e borsone in spalla che ti chiede di tutto e di più, specialmente cavi USB e accendini che non vendiamo. Insomma, ci mancano solo gli accendini, li metto accanto alle penne, un po’ di cartone e via, faccio un bel falò.

No, non vendiamo lighters, nemmeno se mi fai il gesto di accenderti una sigaretta davanti alla faccia perché pensi che io non abbia capito: accetta che non io non venda accendini e non possa crearli dal nulla, non sarei qui ma al circo a fare la prestigiatrice.

Che ce l’hai una banconota inglese?

Qui ce lo chiedono sempre, mi ha detto una mia giovane collega, ci si abitua dopo un po’.

Il cliente random in questione mi allunga una banconota da 20£ per pagare 10£, gli allungo il resto e lo guarda come se gli avessi appena dato una banconota del Monopoli; anzi, forse quelle del Monopoli le avrebbe intascate subito per barare a Natale.

“Ehm, senti scusa, io domani torno in Inghilterra,” mi chiede nervoso, forse perché dietro di lui si stava creando una fila chilometrica da portare la gente allo sbuffamento, “non è che mi potresti dare una banconota inglese?”

Lo guardo, restando senza parole, pensando ad una risposta sensata e che non mi faccia licenziare.

  • La cassa l’ho appena chiusa, non posso riaprirla come mi pare senza una buona ragione da selezionare nel display: l’opzione il cliente voleva la banconota inglese non l’hanno ancora implementata;
  • Sei venuto in Scozia: cosa pensavi che ricevessi come resto nel momento in cui hai avuto la bella idea di pagare contanti? Biscotti al burro a peso d’oro? Potevi pagare con la carta.
  • Ridere in faccia al cliente pensando che si trattasse di un semplice caso di humour inglese.

Magari vi starete chiedendo che problema c’è, quindi vi metto il link alle immagini dalla vecchia Wikipedia per farvi visualizzare le differenze tra le banconote; le posterei sul blog ma non vorrei far credere alla Corona Britannica di star falsificando denaro. Come vedrete non c’è l’effige della regina Elizabetta e per chi non vi è abituato possono risultare alquanto originali.

Come anche spiegato su Wikipedia, le banconote scozzesi sono legali e generalmente accettate in tutto il Regno Unito: dico generalmente perchè, sempre da Wikipedia, le banconote scozzesi in Inghilterra non hanno corso legale, quindi i commercianti avrebbero tutto il diritto a non accettarle come valuta valida.

Facendomi un giro per il web, ho letto alcune esperienze negative di persone che con soldi Bank of Scotland non potessero pagare nemmeno un semplice biglietto del treno; allo stesso tempo, altre persone non hanno avuto alcun problema ed i cassieri non hanno battuto ciglio nell’accettarle.

Insomma, un gran casino a mio avviso, essendo ignorante per quanto riguarda valute e soldi.

Al cliente ho risposto che purtroppo anche volendo non avrei potuto aprire la cassa per quella ragione e che in Scozia si usavano tranquillamente quelle “loro”.

Eh, speriamo che le accettino,” ha borbottato, abbandonando la cassa.

Avevo una soluzione per il cliente: la prossima volta non venire in Scozia, oppure non pagare contanti.


Altre persone a cui ho dato resto in contanti sono rimasti un paio di secondi a guardare le 5 o le 10 sterline a bocca aperta, uscendosene con un “ma che belle che sono!” il che mi ha fatto sorridere.

Guardate il lato positivo su: se non ve le accetta nessuno, le potrete incorniciare e tenerle su di un muro come quadretto; un quadretto costoso, certo, ma pur sempre un bel quadretto 😛

Come (non) ammazzare il cliente e vivere felici

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Foto del centro qualche giorno fa, zero turisti, zero persone.

Il cliente ha sempre ragione, il cliente ha sempre ragione, il cliente ha sempre ragione, è un mantra che ha davvero stancato, vi devo dire la verità; il cliente non è una creatura mitologica sacra, né un arcangelo a dodici ali venuto giù dal cielo per annunciarvi la salvezza divina, né una creatura occulta che può portare sventura su di te, la tua famiglia e la tua mucca (citazione).

La’, hai stancato co ‘sti clienti, ringrazia che lavori e sta in silenzio.

Ma chi dice nulla contro il lavoro in sè: butto tutti gli scatoloni che vuoi, rifaccio gli scaffali se me lo chiedi, pulisco anche la pipì santissima del bambino perso dentro il negozio senza mamma dietro perché persa sul suo cellulare – e questo è pure troppo. Non voglio mica crocifiggere il bambino in pieno spannolimento, chi non se l’è fatta addosso non è un essere umano, ma al primo “mamma bagno”, tu, oh madre scozzese, attivati.

Ma andiamo oltre, andiamo oltre. 

Perchè scrivo questo articolo? Perchè non posso lasciarvi senza aggiornamenti, devo raccontarvi le cronache dall’acquario sommerso di bacilli, devo.

Ho trovato i miei colleghi più nervosi di prima, ma credo sia del tutto naturale dopo mesi di chiusura, ritrovadosi davanti a della gente che sembra essere diventata peggio di prima: stai fresco a meditare! Con certa gente, non ce la puoi fare, no, nemmeno se provi a sognare ad occhi aperti.

E quando ci si mette pure la compagnia che va in ansia pre-Natale, ecco, lì vorresti solo dare fuoco a tutto per protesta, lasciando solo un misero cumulo di cenere e tornare allo stato naturale.

“Ma la colpa è vostra”

Ricorderete di quando trovai slime e glitter ovunque nello stand riservato ai giocattoli: ecco, immaginatevi che gioia quando l’altro giorno è successo un finimondo simile.

Non c’erano chissà quante persone oltre a me e ad un mio giovane collega: dico giovane perchè non ha ancora vent’anni, quando io sono più vicina ai trenta (non è vero, sono una ragazzina).

Ad un certo punto, una mamma (Karen) che era entrata poco prima nel negozio con una mezza dozzina di bambini – saranno stati tutti suoi? Erano nipoti? Figli di amici? Chissà – arriva a passo deciso alla cassa e annuncia con sottofondo il pianto di un pupo, “si è rotta una di quelle palline viscide vostre”.

Ovvio no, le cose viscide si rompono da sole, che non lo sapete? Lo sanno tutti. A volte basta guardarle ed esplodono.

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Rappresentazione grafica di una roba che esplode.

Il mio collega si è mosso per primo essendo più vicino, replicando con un passivo-aggressivo “nessun problema, però evitate di toccare le cose se non dovete comprarle.”

Non l’avesse mai detto.

C’è stato un attimo di silenzio, non ho udito nemmeno il bambino piangere, ho trattenuto il respiro: mi sono sentita come in un film western, nascosta dietro la finestra del saloon in lunghe sottane ad osservare i pistoleri pronti a fare fuoco.

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I clienti ed il commesso.

La nostra Karen ha fatto prima una smorfia, forse pensando di esser stata criticata del suo ruolo di madre/educatrice/balia, per poi sbottare, “ma la colpa è vostra che non avete le confezioni di plastica.”

Ma come!? Stiamo cercando di esser tutti plastic free, usiamo le borse di yuta, facciamo gli ecologisti e poi la colpa è nostra che non abbiamo le confezioni di plastica? Mah.

A quel punto mi sono avvicinata anche io con degli scottex in mano, raccogliendo lo schifo e ringraziando che il danno non fosse stato catastrofico, “don’t worry, don’t worry”,” ho detto subito, evitando che il mio collega uccidesse giustamente Karen. Lui è andato nel retro a prendere il mocho schiumante di rabbia, la cliente ha strattonato via il figlio piangente, seguita dagli altri della compagnia dell’anello comprando non ricordo che cosa ed andandosene per sempre.

Ho sorriso da brava Barbie durante tutta la durata, forse risultando psicopatica. “Sono cose che capitano,” ho detto da brava scimmietta ammaestrata, “non si preoccupi.”

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Grazie ed arrivederci.

Al ritorno del mio collega, ci siamo chiesti del perché certa gente esista a priori: se fosse stato mio connazionale, avrei esplicitamente espresso che le mani se le dovrebbero mettere nelle loro graziosissime tasche.

Oh, però Karen aveva la mascherina su bocca e naso.

Non si può volere tutto dalla vita, no?

Alla prossima.

Mascherine, queste sconosciute: ripartire, quando?

Di mascherine o guanti non se ne parla, almeno per ora: poi magari arriverà la missiva governativa dove costringeranno chiunque a indossarla anche solo per uscire a prendere una boccata d’aria… E tutti cascheranno dal pero.

In Scozia consigliano di coprirsi naso e bocca sui mezzi di trasporto, ma poi vai per i supermercati e vedi il tipo X di turno che starnutisce sulla mano e se la struscia per benino sui pantaloni.

Non prendo un mezzo da quando mi sono barricata in casa, la mia tessera del bus è un pezzo di plastica inutile in una borsa: gli orari sono stati stravolti essendo meno sia gli autisti che i pendolari in giro.

E meno male. 

Ma tanto al primo raggio di sole la gente esce di casa allegramente per i parchi, in bici, fanno i pic-nic.

“Eh, ma questa è la mia passeggiata giornaliera, posso farla perchè ho il permesso del Governo sennò poi mi deprimo.”

E falla ‘sta passeggiata, ma non guardarmi male se ho la mascherina addosso: ti ricordo che non siamo in vacanza? Stono con il paesaggio primaverile? Mi fa piacere, ora pedala a casa.

Grazie.


Ma in generale, come vanno le cose qui ancora in lockdown? Per quanto riguarda l’Inghilterra, i negozi che vendono beni non essenziali (vestiti, giocattoli, libri, fate voi) potranno riaprire il 15 giugno: ovviamente, solo rispettando le regole del distanziamento sociale e seguendo delle norme igieniche (ahahahah) per proteggere clienti e staff.

Non so ancora cosa farà la Scozia, ergo non ho idea di quando tornerò al negozio: se fosse stato per loro (paese, stato, compagnia, mondo, universo), non avrebbero nemmeno chiuso. Già, ricordiamo che dovevamo ammalarci a turno, stare a casa una settimana per poi tornare e infettare tutti gli altri.

Zombie simulator.

Ciò nonostante, ho avuto un primo assaggio su come sarà la vita lavorativa: schermi di plastica alla casse, stickers a forma di piedini brutti a terra per indicare al cliente dove stare e far entrare i suddetti clienti a turno… Che sono robe che ormai si vedono in giro per il mondo, ci mancherebbe.

Ma essendo il negozio grande quanto un francobollo (sì, voglio essere generosa), immagino già i grandi drammi che faranno spettacolo: il mito de “il britannico che in fila non sbuffa perchè è paziente” è appunto un mito.

No, non mi sto fasciando la testa prima di rompermela.

Vi farò sapere se butterò giù gli schermi precari di plastica dalla cassa per sbaglio, perchè a far la spesa ci è mancato poco che ne buttassi giù uno (non sono messi con lo sputo, macché!)

Io, che sono agile e leggiadra come un elefante in una cristalleria.

🙃

Alla prossima!

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Io con la mascherina.

Chiudere o non chiudere, cronache dal Regno Unito ai tempi del coronavirus

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Chiesa di San Cuthbert, Edimburgo.

Le scuole in Regno Unito hanno chiuso venerdì, dopo tanti vedremo, chissà, detti a mezza voce; era inevitabile che si arrivasse ad una decisione simile, decisione pari a nulla se confrontata con quelle prese in giro per l’Europa. Il social distancing, ovvero la distanza di sicurezza da mantenere da persona a persona di almeno un metro, non viene applicata a dovere, ve lo garantisco.

Qui ad Edimburgo hanno chiuso i ristoranti, i pub, i musei, il castello, le attrazioni per turisti in generale, turisti che nel migliore dei casi sono in quarantena nel loro paese ad aspettare che tutto torni alla normalità.

Chi può lavora da casa, mentre qualche negozio ha chiuso a tempo indeterminato, vedi Primark (abbigliamento) o la Apple (telefonia) per salvaguardare i clienti e il loro staff.

Eh.

Per quanto riguarda la compagnia per cui lavoro, hanno lasciato inendere tra le tante belle parole che non si chiuderà fino ad una direttiva ufficiale ufficiosa del Governo: e ci credo, stanno vendendo manco fosse Natale, vogliono salvaguardare il loro business.

Certo, un Natale oscuro ed incerto, senza Babbo Natale, regali ed una data sicura.

Quando mi trovo in negozio sembra che debba accadere qualcosa da un momento all’altro: non si sa bene che cosa, ma si percepisce un’ombra sui libri e giochi patinati, un suono distorto sotto la musica allegra.

Se prima ero l’unica a preoccuparmi, le notizie dall’Italia stanno iniziando a colpire anche il resto dello staff (o quasi). Qualcuno mi ha chiesto notizie in generale, altri mi hanno chiesto se la mia famiglia stesse bene o come stessero vivendo in quarantena.

Punto Interrogativo, Importante, Segno, Problema

Quando chiuderemo? Ma perché, chiuderemo? Resteremo aperti per sempre, assieme ai supermarket? Posso stare a casa? Me ne sto in autoisolamento? O vengo lo stesso e rischio? E se mi ammalo? E se non mi ammalo, ma poi mi ammalo lo stesso? E lo stipendio, come campo?

– Tante domande che ho sentito, poche risposte chiare per ora.

Accanto alla cassa sono apparsi cartelli che invitano ad usare la carta per pagare ed evitare il contatto fisico, evitare di far girare la moneta batteriologica; qualcuno ha la premura di indossare i guanti, altri se ne strafregano e ti passano le monete dopo averti toccato la mano a dovere.

Se agli over 70 hanno detto di restare in casa, qualche signore entra a testa alta e va alla cassa giustificandosi con un “mi annoio, fa niente pure se mi ammalo,” lasciandomi basita.

Il gel per le mani è introvabile, niente di nuovo lo so: un negozio vicino a quello per cui lavoro ha avuto una consegna speciale di gel che è finito nel giro di due ore, con tanto di litigi a tutto spiano. Già, pare che una signora volesse portarsene via una dozzina ma è stata fermata dalla commessa: solo uno a persona, ha ricordato, facendola diventare paonazza.

Eh, ma io li compro per tutta la mia famiglia.

E io invece ci condisco la pasta, sa, quel sapore di aloe vera mista ad alcool è sublime, che bontà.

Roba da matti, storie uguali a tante altre che si sentono in giro per il mondo: altruismo zero. Basti pensare ai supermarket, dove i panic buyers hanno saccheggiato pure farina, pane, frutta e verdura: chi non può fare una grande spesa o stacca da lavoro la sera, non trova nulla sugli scaffali, restandosene a mani vuote. Si stanno organizzando in questi giorni per dedicare la prima ora solo per gli anziani, i disabili e lo staff medico (NHS).

E meno male.

Le mascherine in giro per le strade sono poche, ma iniziano a fioccare timide qua e là, qualcuno usa un foulard e si getta intrepido nella folla che non dovrebbe essere lì.

Qualche collega ha deciso di restare a casa: non se la sentono di stare a contatto con le decine e decine di persone che entrano nel negozio a caccia di puzzle.

E fanno bene, perché lo farei anche io.

Ma resisto, per ora.

Adesso è primavera e per gli scozzesi i primi raggi di sole sono irresistibili: quanto vorrei far vedere a tutti le scene dall’Italia, cosa sta succedendo nel mio paese.

Ho raccontato di Bergamo ad una collega che ha sgranato gli occhi.

Ma come sempre, lavatevi le mani e non state troppo vicini, dice Johnson.

Anno nuovo, che fine ho fatto sotto gli scatoloni

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Edimburgo dal Castello, il giorno di Sant’Andrea.

Non che ne parlassero i giornali di tutto il mondo, ma sono tornata con un nuovo articolo riassuntivo. Perché dove me ne ero mai andata? Ma da nessuna parte, come se fosse possibile staccarmi dal mio fidato computer: dove va lui, ci sono io e viceversa.

Le feste sono arrivate così come sono passate, portando l’anno nuovo, il 2020. Non so voi, ma scriverlo è divertente, le dita saltellano sui tasti due volte decise a ritmo incalzante: ovviamente, l’effetto è più appagante su una tastiera vecchio stile.

2020 2020 2020 2020 2020…

Il Negozio, Star Wars e la Stanchezza

Sopravvissuta al mondo del retail in pieno periodi festivo con qualche graffio dovuto a taglierini e a scatoloni, il mese scorso è uscito il nuovo film di Star Wars. Ho staccato alle 9 e sono andata di corsa a vederlo con Fidanzato, attaccati al tram (non in senso figurato). Reduce da un turno demoniaco al negozio, tempo un’ora e gli occhi minacciavano di chiudersi nel bel mezzo dell’azione: il sedile del cinema era troppo comodo, il caldo ti invitava a raggiungere il mondo dei sogni.

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Star Wars – The Rise of Skywalker, da Wikipedia

Ho apprezzato di più la sala del cinema al film che mi ha lasciato con l’amaro in bocca: ritmo troppo veloce, personaggi stravolti che prendono decisioni del tutto bizzarre, due ore e mezza che ho dato a Topolino per ricevere in cambio un blaster nel petto. Come il Generale Hux da un Richard E. Grant spuntato dai muri.

Ma io sono di parte.

Siamo usciti all’una dal cinema, nel freddo pungente che tagliava la faccia, per poi prendere un bus pochi minuti dopo che ci ha portato a casa: essendo un venerdì, pareva più mezzogiorno per quanta gente si aggirasse per le strade.

Io mi sarei volentieri appisolata anche sul bus.

Che vecchiaccia.

Metal Detector e Tempeste invernali

Il giorno dopo ho provato l’ebbrezza di prendere l’aereo dopo un anno di assenza dall’Italia, portando una valigia piena di dolci ipercalorici da far assaggiare a mezza famiglia con tanto di Iron Brew, la bevanda arancione scozzese che fa concorrenza alla Coca Cola (come se il Natale e Capodanno non siano già pieni di libagioni per conto loro).

Al metal detector una borsa di Fidanzato è stata fermata per essere controllata più a fondo: ci stavamo scervellando per capire cosa mai avessi messo di così pericoloso, immaginandomi una dopo l’altra le armi dal gioco Cluedo, per poi svelare l’arcano.

Niente candelabri o pugnali a serramanico: si trattava della carta multiuso, quella che ti apre le bottiglie, taglia i pacchi, ti fa da righello, cacciavite e volendo pure il caffè con panna.

Immagine presa da Amazon, per farvi un’idea della sua utilità.

“Non sono più permesse queste carte,” ha spiegato l’addetto alla sicurezza, mettendola nella cesta degli oggetti requisiti.

Grazie e arrivederci.

Siamo rimasti basiti, ma immagino che con il lato tagliente della carta si possa fare del male a qualcuno: adesso lo sapete anche voi.

In Italia mi ha accolto un freddo inesistente ed una tromba d’aria che si è portata via mezza città alle prime luci del mattino: il vento minacciava di portare via la casa ed è stato un mezzo trauma svegliarsi nel vecchio letto pensando di essere su un vascello pirata.

In compenso, ci sono stati tantissimi giorni di sole da far invidiare i miei colleghi scozzesi: “Ti vai ad abbronzare!”

Non esageravano, no.

Vecchi posti e cibo-cliché

Girare per la città dopo tanto tempo è stato bello, come mangiare la mozzarella di bufala che ha fatto piangere le papille gustative.

Sarà solo un cliché per alcuni, ma sul cibo non ci batte nessuno… O forse è solo la nostalgia che parla.

Dopo tanto tempo sono andata a visitare l’Abbazia di Valvisciolo: da piccola mi affascinava girare per il chiostro, anche perché andarci significava tornare a casa con la cioccolata a latte (conosciuta come la cioccolata dei frati per ovvi motivi).

E me la sono portata anche in Scozia.

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L’Abbazia di Valvisciolo

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Il Castello Caetani, Sermoneta, foto presa dal Valvisciolo.

Per concludere in bellezza, ho cucinato una cheesecake ai pan di stelle per il compleanno di mia sorella: si dice cucinare pure se non si usa il forno? Sono riuscita a non farmi male, il che è un traguardo. Ah, le decorazioni le ha fatte mia sorella, ma per lo meno eravamo sicure del risultato stellare.

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Ta-dan!

E adesso ho fame.

E oggi?

Tornata in periodo di saldi, il negozio è mezzo vuoto, manco fosse passata la tromba d’aria del mese scorso.

Ho pulito lo stand con i giocattoli, trovandoci una bibita Starbucks mezza vuota nauseabonda con tanto di cannuccia mangiucchiata (mmm, che bontà) e un ciuccio abbandonato da qualche bambino sbadato; una pallina piena di slime è esplosa ricoprendomi la mani di robaccia appiccicosa rosa shocking, sporcando un paio di peluche dandogli un tocco pop anni ’80. Ah, mi si sono rotti pure i pantaloni a piagarmi stile cartone animato, ma per fortuna porto i leggings sotto e la maglietta della divisa è lunga tanto da farmi da gonna.

Tutto regolare.

Assistente alle vendite è sinonimo di butto via la roba che il cliente getta in giro per il negozio pensando di essere entrato in una discarica.

Quanto durerà il nuovo ordine e la pulizia? Ma già oggi se ne saranno andati a farsi un giro fuori Edimburgo, con buona pace del mio stato mentale.

Strano ma vero, oggi ho potuto mettermi seduta e scrivere qualcosa, dopo tanto tempo di magra: se esistesse il bottone per avere l’ispirazione giusta l’avrei già comprato e ne abuserei tutti i giorni, ma non siamo in un videogame.

Meglio sfruttare la vena artistica finché ci sta.

Ci sentiamo prossimamente con un nuovo articolo ancora in cantiere!

Giocare a calcio dentro un negozio, viva la libertà

Il concetto di libertà è commovente: che bello poter fare quello che si vuole in ogni momento, senza aver paura del giudizio del prossimo. Zero limiti, zero preoccupazioni o pensieri.

Ah, l’ignoranza fanciullesca.

Se si parla di bambini lasciati allo stato naturale, i colpevoli sono i genitori di turno che tra il lavoro e una tazza di caffè fittizio slavato, non hanno tempo di insegnare il rispetto.

“Eh, ma tu non hai figli non puoi capire.”

Rappresentazione visiva di come ci si riduce dopo aver passato del tempo a combattere con certi clienti.

Ma cosa c’è da capire?

Entra un padre in un negozio insieme al figlio piccolo, abbastanza grande però per comprendere concetti base di giusto e sbagliato: lo lascia scorrazzare libero senza pensieri, Hakuna Matata, mentre lui si legge qualcosa dai libri in esposizione.

E poi si sente il rumore inconfondibile di un pallone che colpisce uno scaffale, una, due, tre volte.

Bum, bum, bum.

L’unica povera commessa è alla cassa bloccata con la signora di turno che si è comprata mezzo negozio, litigando con la busta di plastica; lancia un’occhiata verso l’origine del rumore e guarda il piccolo calciatore solo per un attimo, prima di allungare la spesa alla donna davanti a sé che ha fretta di andarsene.

Le pallonate non finiscono, continuano accompagnate da risate gioiose.

E la commessa come può porre fine alla sua felicità? Al suo idilliaco momento di spensieratezza? Guarda il bambino e gli sorride, un po’ come farebbe una degna regina cattiva della Disney: ma il bambino è su un altro pianeta, lui sta già avanti, non la prende nemmeno in considerazione.

Il genitore che sembrava esser sparito forse insieme al libro che stava leggendo, eccolo che appare alla cassa, annoiato.

“Hey, JimmyJohnnyTizio vieni qui forza, sto pagando.”

Lo chiama tre volte prima di portarsi la bestiolina accanto a sé, pallone finito chissà dove: l’impunito tocca qualsiasi cosa altezza bambino, tentando di mettersi pure qualcosa in tasca. Il genitore allora lo ammonisce: forse è troppo presto per iniziare la carriera da ladro, diamogli ancora un paio di anni (però buttare giù gli scaffali a pallonate va bene).

La commessa offre una busta per portare le sue compere (e metterci dentro anche il bambino) ma dice di non averne bisogno: scansiona i codice a barre, poi il cliente ci ripensa e la vuole.

“Sono 5 pence.”

Ma l’uomo non trova gli spicci, mentre dietro di lui si forma una coda di clienti spazientiti: meno male che dicevano che in Gran Bretagna le persone avessero più pazienza.  Quando li trova, paga e se ne va, giudicato dalla vecchina dietro che stringe al petto una dozzina di libri.

Tutto mondo è paese, sì.

Più tardi, la giovane commessa trova il pallone incastrato sotto uno degli scaffali che pare farsi beffe di lei: lo rimette al suo posto insieme agli altri, ma sa che come minimo lo dovrà sistemare altre millemila volte prima della fine del turno.

A questo punto sarebbe più consono cambiare il nome del negozio in ludoteca, passare da commessa a babysitter è un attimo.

E no, la busta non te la posso regalare.

No.

Scusi se le ho dato fastidio con la mia assistenza, Da The Retail Job Life su Twitter

Chi incontri alle Fiere del Fumetto

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Romics alla Nuova Fiera di Roma, 2015

Sono stata ad un po’ di edizioni del Romics nel corso degli anni e ho notato sempre le stesse persone che puntualmente lo visitavano. Vediamo un po’ di che soggetti si tratta, mmm?

  • Famiglie Numerose: questi soggetti arrivano alla Fiera in gruppi di 5 o più esemplari tra adulti e bimbetti vestiti dal loro supereroe preferito. Nel peggiore dei casi, sono accompagnati da passeggini extra-large che si incastreranno fra le porte di un padiglione e l’altro, con tanto di bimbo stato larvale urlante; inutile dire che sarai costretto a fare il salto ad ostacoli, magari aiutandoti con la tua staffa da mago (se ti sei vestito da mago e ti va bene). Importante segnalare la presenza perenne dei cellulari che scatteranno milioni di foto ai pargoli, magari quando tu ci passerai dietro da perfetto photo bomber. Ah, non dimentichiamoci dei borsoni pieni di libagioni che potrebbero sfamare un continente;
  • Famiglie Nerd: queste famiglie si distinguono da quelle di sopra, poiché generalmente arrivano alla Fiera vestiti dai loro personaggi preferiti scegliendo un tema in comune. Si segnala l’avvistamento di un nonno-Silente e nipote-Harry Potter, ma anche di un padre-Odino e di una figlia-Wonder Woman (perché ci piacciono i crossover) ed infine anche una grande famiglia tutta vestita stile Steampunk;
  • Trekkies: sono loro, i fan di Star Trek che si gireranno le Fiere almeno da illo tempore, che adesso possono interpretare i loro idoli al meglio visto che l’età è pur sempre quella. Sono la storia delle Fiere, non gli manca niente, dalle pistole al trucco e sono meravigliosi;
  • Cosplayer: ce ne sono a centinaia e si possono distinguere a loro volta in due tipi, fra quelli Occasionali e Professionisti. I primi partecipano sporadicamente alle Fiere, impegnandosi il giusto per non spendere chissà che capitale per creare il proprio abito: può capitare che qualche pezzo del vestito si distrugga nel tragitto casa-fiera, ma ce lo si aspetta; i secondi, sono coloro che partecipano ai contest, si portano dietro impalcature, luci, suoni, scettri, spade, madri e padri, cugini e fratelli, arrivando da tutta Italia. I Professionisti sono i più inquietanti poiché a volte perdono il contatto con la realtà, chiedendosi chi sono io e dove inizia il mio personaggio? Ma lasciano senza fiato per la somiglianza: non dimenticherò mai il Jack Sparrow che si aggirava per la Fiera baldanzoso a baciare le mani delle donzelle!
  • Fotografi: si aggirano di soppiatto, pagano il biglietto e fanno foto random a cosplayer ed esibizioni. Dopo, ti lasciano il biglietto da visita puntualmente con il nome sbagliato così che non troverai mai la tua foto persa chissà dove sul web – ovviamente se hai sfortuna.
  • Le Volpi: sono i soggetti che credono di poter pagare di meno il biglietto vestendosi casual con la scusa del “sto facendo il cosplay di The Sims,” oppure “ho un elmo di cartone quadrato, sono di Minecraft.” Ragazzi, non funziona mai, mettetevi l’anima in pace: se volete lo sconto cosplay, fate un cosplay.
  • I Casinisti: di età pre-adolescenziale, vanno ad eventi come questi solo per sfogarsi, correndo come matti da un padiglione all’altro, toccando tutto quello che possono toccare sugli stand (pure se severamente vietato, ex. costruzioni LEGO). Sulle spalle, non manca il fedele zaino-sacca che balza da una parte all’altra, in cui ci si trova solamente una bottiglietta d’acqua (se va bene). Di solito, la maggioranza andrà a fare la fila per incontrare qualche Youtuber che ci azzecca con una Fiera di fumetti come i cavoli a merenda.
  • I Samurai: di varie età, questi soggetti si fermano allo stand delle katana e le guardano per ore ed ore, accarezzandone la lama e sognando il giorno in cui potranno usarle in una apocalisse zombie.
  • L’Uomo Cipolla: lui è l’extra di questa lista, è il più fastidioso ma anche il più silenzioso. Fa caldo nel padiglioni e ad un certo punto, si sento questo amabile odore di soffritto, ma ti ricordi che fanno solo Sushi in quella zona. Non è soffritto, è un essere umano che sta bollendo a cottura lenta.
  • Stessa cosa la Donna Cipolla.

Vi lascio con questa immagine poetica nella mente ❤ Mi raccomando, il sapone è vostro amico.

A voi è mai capitato di andare a qualche Fiera? Chi avete incontrato di interessante?

Documenti, grazie

Che il caldo stia dando alla testa me ne ero già accorta – ho parlato del meteo in un articolo di non molto tempo fa – e se ci si trova pure in un ufficio pubblico, beh, Arkham al confronto è una rilassante spa. Sì, parlo proprio del manicomio di Gotham, dove Batman ci spedisce i pazzi e criminali un giorno sì e un giorno pure.

Nel mezzo del cammin di nostra vita

Oggi sono andata a richiedere la nuova carta d’identità, visto che quella vecchia mi scadrà tra qualche mese ed io non sarò qui: da brava cittadina a fine maggio avevo seguito le istruzioni del mio comune, prenotando l’appuntamento on-line. Entrata nella sala d’attesa, in realtà son giunta ad un girone infernale dantesco: caldo soffocante, anime urlanti, pargoli piangenti; visi contriti dal dolore e documenti usati a mo’ di ventagli esotici; le pale ipnotizzanti del vecchio ventilatore girano a fatica sul soffitto, spostando l’aria rovente senza migliorare la situazione.

Un foglio di stampante A4 lontano, lume di speranza, assicura ai peccatori con la prenotazione on-line di poter entrare all’orario stabilito: e allora, vai, mi metto dietro la porticina tappezzata di mappe della città ed avvisi per aspettare che mi chiamino. Una famiglia con pargoli sono lì prima di me, devono fare i documenti per tutta la famiglia, ma entrano subito e così mi azzardo a fare il solito pensiero ottimista: Non ci vorrà molto.

Errore fatale, non imparerò mai.

Arriva una signora che ha la faccia di chi ha passato una mattinata da dimenticare: la sua nuova carta d’identità è stata spedita nuovamente alla sede di rilascio, visto che al momento della consegna della raccomandata a casa, non c’era nessuno. Non sapendo che fine abbia fatto il desiderato documento, vuole chiedere spiegazioni a qualcuno dello sportello delle prenotazioni on-line. Non ho problemi a farla andare prima di me, è una signora educata e posso comprendere appieno la sua arrabbiatura: mi metto nei suoi panni, l’empatia ancora mi funziona.

Tanto dopo tocca a me, no? Prego, chieda pure. Fin qui ci siamo, ma ricordo siamo all’Inferno e quindi le buone azioni sono bandite.

Eccoli.

Arrivano loro: madre, padre, figlio adolescente alto tre metri, cane-batuffolo che penso voglia solo evaporare e parente (una zia?). Hanno attraversato l’Acheronte e non fanno in tempo ad arrivare alla porta, che la madre si lancia su di essa, scavalcando me e la mia cartellina; con una mano sulla fronte, si manda indietro i capelli ricci impomatati ed esclama potente, “Ho un’emergenza, fatemi passare!” Per un momento ho pensato che si stesse sentendo male, ma chiaramente non ci trovavamo in un ospedale.

Emergenza di che?

L’impiegato dentro (infastidito e sull’orlo di una crisi di nervi di prima mattina), le dice di aspettare fuori, visto che è occupato con l’altra signora; sconfitta, la donna chiude la porta e si appoggia al muro, mentre il figlio cerca di calmarla con un paio di manate dietro la schiena. “Dai, dai,” dice lui, ma lei è in preda all’isteria e fissa il soffitto affranta.

Sento qualcosa di morbido toccarmi il piede e guardo giù: il cane mi annusa un po’, scodinzola e se ne va, andandosi a sedere accanto al marito della donna, che ha gli occhi incollati al cellulare, ignaro del mondo circostante. “Devo fare il documento, è urgente,” dice più volte la donna, “è urgente.” Lui non fa una piega, lei mi guarda stizzita come se le avessi arrecato danno con la mia mera presenza: scusi, ha ragione, non dovevo uscire questa mattina, dovevo restare a casa così che lei potesse passare al posto mio.

Sciagura su di me che ho l’appuntamento.

Il figlio, vedendo che sua madre non ha intenzione di calmarsi, alza le spalle e prende il cellulare dalla tasca, imitando suo padre; l’altra donna che non ha detto nulla da quando sono arrivati, se ne sta accanto a loro e sbuffa, incrociando le braccia.

Li guardo e comincio a vagare con la mente fra i fumi infernali.

Pensieri vaganti

Ripenso a tutte quelle volte che feci passare davanti miei colleghi agli esami universitari, nonostante ci fosse un appello da seguire. Eh, scusa, ho un esame medico/devo andare dal dentista (tipico), Ho parcheggiato in doppia fila (banale), Scusami, ho il treno. (Io no, tranquilla, io vengo volando, faccio Roma-Latina e Latina-Roma usando le mie ali invisibili da angelo cherubino). Ripenso all’articolo sulla fila al mini-market. Siamo tutti nella stessa barca, c’è un ordine, rispettiamolo, vi prego, siamo o no civili? Eh, ma quella di prima l’hai fatta passare, perché questa qui col cane no? Certo, io sono qui per prendere il posto a mezza città, lo faccio per hobby. C’è modo e modo di chiedere le cose: quando pretendi che il prossimo ti faccia un favore e sei maleducato, mi dispiace, ma non ci siamo proprio. Mi passi sopra, mi scavalchi, mi spintoni, mi guardi male, non lo posso concepire. 

Tutti hanno le giornate no, andare in giro per uffici e appuntamenti non aiuta, lo so. Non sono cattiva: hai bisogno di parlare con l’impiegato prima di me? Me lo chiedi con educazione. Non sono il tuo servitore personale, non sono una cosa. Non ti sto chiedendo  di stendere il tappeto rosso, né di far piovere petali di ciliegio sulla mia testa, per farmi sentire il protagonista di un brutto anime ambientato in un comune del Centro Italia (oh mamma). Semplicemente, sono una persona. 

Epilogo

Il cane emette un guaito ed io torno al presente.

Finalmente, la porta si apre ed è il mio turno, non ci metto troppo tempo. Quando ho finito di firmare carte con una firma orripilante, la signora entra con tutti i parenti appresso; nella foga, il cane lo lasciano fuori che fissa la porta scodinzolando. Fortunatamente, qualcuno se ne ricorda e spunta fuori il marito, scollatasi dal cellulare, che prende il povero animale.

Mentre vado via, passo attraverso la coltre di fumo e d’anime piangenti, frustrate, che battono i pugni sui vetri ed esigono la risoluzione ai loro problemi; oltre gli sportelli, gli impiegati non hanno le fattezze di diavoli castigatori, ma di peccatori come noi. Sono stanchi e purtroppo persi nel mare delle lamentele, rendendo delle pratiche burocratiche apparentemente semplici, impossibili da risolvere.

Rivedo le stelle – una stella semmai – il Sole accecante che non manca di splendere alle undici di mattina.

Sicuro, prima di altri 10 anni non dovrò rifare la carta d’identità, sperando di non perderla (ultime parole famose). Chissà se per il 2028, le persone finalmente avranno capito come usare internet e prenotarsi on-line! Ma forse chiedo troppo. Impariamo prima a fare le file, va…

Alla prossima.

boop

Ah, un ringraziamento speciale va al Ministero dell’Inferno: attendo la mia bruciante carta d’identità con ansia.

Fumarsi il cervello

Arriva l’estate! Finalmente le giornate si allungano, c’è il sole, il mare, la montagna, voglia di uscire fuori all’aria aperta… Purtroppo, c’è anche il caldo asfissiante che ti porta ad aprire la finestra se non sei attrezzato di aria condizionata e sei costretto a stare in casa.

Così, apri le finestre che danno sulla tua stanza o sulla cucina e ti godi l’arietta fresca della sera, quando la senti: la puzza di fumo di sigaretta; e allora corri, corri a chiudere la finestra in camera, serra tutto, aspetta almeno un quarto d’ora (?) prima di poter riaprire la situazione.

Praticamente è come avercelo dentro casa…

Il vicino di casa fuma, cazzarola:  Che si fa a ‘sto punto?

  1. Compri un calderone ed opti per l’olio bollente: lo fai colare giù dal balcone condominiale per protesta, così stai sicuro becchi tutti i condomini, fumatori e non. Ci saranno delle vittime innocenti, certo, ma saranno martiri per la tua crociata contro il fumo;
  2. Decidi di iniziare a fumare anche tu: l’ultima volta che ci hai provato avevi 13, 14 anni, ci manca poco che ti strozzi con il fumo, ma a questo punto pensi che sia meglio controllare da te le sigarette fumate, magari ti unisci al tuo vicino e ti fai pure una birretta;
  3. Cambi casa e ti ritiri in un luogo lontano dalla civiltà, lontano da ogni dugongo irrispettoso (senza offesa per i veri dugonghi);

    Un dugongo rispettoso nel suo habitat, da Wikipedia
  4. Comunichi al tuo vicino il tuo problema, sperando che non ti rida in faccia o sgrulli le spalle (ao, che voi da me, ‘ndo fumo io?);
  5. Chiudi le finestre e aspetti, contando fino a 12000: la tua rabbia schiumerà e magari a quel punto la sigaretta sarà finalmente finita.

E siamo solo a giugno, purtroppo.


Ovviamente, io non ho nulla nei confronti dei fumatori che rispettano i non fumatori: avevo un’amica all’università che puntualmente si allontanava da me, mettendosi in modo che il vento non spingesse il fumo nei miei polmoni. Quindi, davvero, caro fumatore, se vuoi fumare fallo pure, ma non imporre a me una tua scelta. Ah, e i mozziconi, magari, non gettarli a terra (povera) o sulla sabbia, che poi con la fortuna che uno si ritrova, ci mette il piede sopra – e fa male, cacchio, ne so qualcosa! Buona sigaretta.