Sarà l’aria di Natale 🎄🔥

Non ricordo dove abbia sentito la storia sui Saturnalia degli Antichi Romani che iniziavano a festeggiare anche due mesi prima della festa effettiva. perché ci si divertiva dalla notte fino alla mattina. Immagino sia per lo stesso motivo che ormai Natale iniza a Ottobre Agosto non finisce mai. Sarà per l’atmosfera, sarà per i regali… Sarà solo per uno sfrenatissimo bisogno di consumismo schiavi del capitalismo come siamo noi, io per prima piccola ape operaia.

Ma vabbè, troppi paroloni, non fateci caso chissene frega. Capitemi, dormo e sogno di servire orde di persone imbufalite alla cassa, mentre il mio prof di programmazione è seduto alla cattedra in mezzo al negozio e fa lezione.

Tutto questo solo per dire che la gente è ancora avvelenata, ancora piena di bile, nonostante la stagione gioiosa cicciosa. E okay, da una parte forse li capisco pure, quando uno non ha nulla a cui pensare al di fuori del tuo angioletto santo che deve essere accontentato in tutto e per tutto, ci siamo passati. Una mia compagna di corso che la sera lavora come taxista, mi ha dato ragione su come in effetti ci sia stato un calo nell’educazione media dei suoi passeggeri. Fai Buongiorno e Buona Notte, ti rispondono nemmeno con un grugnito. E mica vuole sapere tutta la loro vita, per carità, ma manco un salve, hey pal how are you doing.

Passato quasi un anno abbondante dall’inizio del nuovo lavoro, posso dire che sì, effettivamente ogni negozio somiglia al’altro. Ad essere diversa, senza forse, sono io. La cassa la vedo meno ore a settimana, penso più ai progetti del college e guardo con gli occhi a cuoricino al nuovo anno pensando a qualsiasi fiera della carriera, Topolino in carrozza, circo in città, basta che ci sia un PC di mezzo.

La nevicata di ieri mattina, la neve non è durata manco 12 ore.

Pare ci debbano visitare i Mistery Shopper, aka i clienti finti che poi mandano la pagella ai piani alti per fargli sapere se siamo stati bravi a servirli, offrirgli roba i più, inchinarci alla loro entrata in negozio, eccetera, eccetera, eccetera… L’ultima volta siamo stati mediocri perchè pare non siamo stati in grado di offrire neanche mezzo stecco di candido natalizio. E vabbè.

Se poi sti mistery shopper sono intelligenti come la cliente che resta sconvolta nello scoprire che un palloncino con dentro l’elio si restringe al freddo, accusandoti di dire bugie… Io boh. Non ho parole.

“Questo palloncino non mi convince.”

Si sente un CRACK, il palloncio si gonfia e torna normale sotto i nostri occhi.

Io la guardo, penso a come glielo avevo pure detto prima che sarebbe potuto accadere visto che siamo in inverno, in Scozia, e faceva FREDDO. Ma quella niente. Immagino che le mie parole siano state ricevuto come dei suoni gutturali da uomo della caverne. “Uga uga, pallone, uga uga, “

“Signora, le garantisco è normale. Succede. Se torna a casa il palloncino sta bene.”

Quella guarda il palloncino che al caldo del negozio è tornato NORMALE. Si rende conto per un breve attimo di aver fatto la cavolata, ma ormai deve continuare la sua linea di pensiero. “Mmm, non so, non sono convinta. Vedremo che succederà domani,” aggiunge con aria di sfida, beffarda.

E io “va bene.”

😐

Se ne va, non faccio in tempo a pulire il pavimento e tirare su polvere e schifo, che due clienti iniziano a litigare su chi era arrivato prima alla cassa.

Era da dire, “nessuno, andatevene entrambi.” In castigo.

Stiamo per chiudere, mi metto con la scopa davanti all’entrata, sentendomi come i personaggi di The Walking Dead contro gli zombie. “Siamo chiusi!” Le chiavi sono inserite, ormai è fatta, è ufficiale.

“Ma solo 5 minuti dai, che vuoi che sia devo solo fare un giro, devo prendere qualcosa per mio nipote, dai!”

“No.”

“Eddai!”

Cia’.

Insomma.

A Natale sono tutti più buoni, credeteci!

Pronostico per il 2023: non lavorare più in retail. MAI più.

Incrocio le dita.

Alla prossima!

Palloncini magici e dove trovarli

Palloncini, Colorato, Multicolore, Palloncini Colorati

Una cosa che penso di non aver mai raccontato nel dettaglio, è di come nel mio lavoro debba occuparmi di gonfiare palloncini d’elio per le feste: è un servizio che offriamo dato il grandissimo amore che i locals nutruno per l’organizzazione di feste e festini, che non ci metti un bel palloncino colorato gigante che fluttua per la stanza?

Bene.

Dopo un anno e mezzo, un anno effettivo di lavoro se tolte le chiusure forzate, posso finalmente dividere in categorie i palloncini d’elio e i suoi clienti: è quello che tutti stavate aspettando da questo blog, lo so. Finalmente!

Le composizioni a fronzoloni

I palloncini più grandi sono quelli che odio di più, perchè stai certo che non c’è verso di tenerli fermi dove li vuoi tu: e okay, la stessa cosa è con quelli piccoli, ma questi grossi sono un’impresa da gestire. Sentendoti come un pirata su di una nave in tempesta, cerchi di tirare la corda e palloncino, lo leghi al peso, lo domi come un cavallone di mare, ma quello niente, fluttua e ti deride.

Ti va bene quando devi gonfiare un numero uno, meglio se si tratta di un compleanno di 11 anni, ma quando devi fare gli altri numeri il gioco si fa duro: il palloncino si gonfia, prende spazio nei cieli del negozio e tu con la mascherina e sotto le luci al neon cocenti sudi da bravo muflone nel deserto.

I palloncini mignon

Come da titolo, sono i più piccoli in commercio e sono i preferiti da coloro che vogliono legarli al polso del bambino di turno o al passeggino; qualcuno li sceglie per le feste e ne vuole tre legati tutti insieme allo stesso peso, chiedendosi poi perchè non sia abbastanza per tenerli ben saldi a terra.


Il cliente clemente e quello demente

Se il cliente è clemente (capito? cliente, clemente, che ridere), torna dopo una decina di minuti a ritirare i suoi palloncini, così che tu puoi imprecare a mezza voce quando Peppa Pig non ne vuole sapere di farsi legare ad un peso e non scappare via; altrimenti, se il cliente è demente, resterà lì a fissarti come un avvoltoio, magari con braccia e gambe incrociate e a giudicare il tuo lavoro troppo lento e poco preciso. In quel momento, dimenticherai l’uso appropriato delle dita, finendo per tentare di fare un nodo tre volte prima di legare le falangi piuttosto che il palloncino.

Il sadico

Il cliente sadico è raro, capita una volta su un milione, ma come tutti gli psicopatici, esiste e cammina fra noi. A volte, si sposta in guppi famigliari composti da quattro o cinque persone, con a carico almeno tre bambini urlanti che si diletteranno nel distruggerti il negozio.

Ti chiede di fargli mezza dozzina di palloncini, sbuffando nel sentire che ci metterai almeno 20 minuti buoni per fare un lavoro decente: a metà lavoro, si lamenterà che gli stai facendo perdere il treno, offrendosi di aiutarti a fare il tuo lavoro. Più di fermarlo e dirgli che no, per questioni di sicurezza nessuno all’infuori dei dipendenti può toccare la bombola d’elio, non puoi fare: immagini di ficcargli il bocchettone della bombola su per il naso, ma è già un pallone gonfiato quindi sarebbe solo superfluo.

Scene simili non si sono più viste nell’era post-pandemia, ma tenete gli occhi aperti perchè non si sa mai quando vi possa capitare questo avvistamento fenomenale.

Lo scienziato

Lo scienziato è colui che vuole provare a gonfiare i palloncini a casa senza elio, chiedendoti si possa funzionare lo stesso: nonostante i tuoi consigli nel comprare una piccola bombola d’elio, più semplice da usare di una gigante e con la faccia uscita da un sottomarino, lo scienziato non demorde.

“Provo a gonfiarlo a casa, se non funziona tornerò per l’elio questo fine settimana!”

“Signora, proviamo subito!”

Il palloncino si gonfia di anidride carbonica e cade a terra.

Lo scienziato non torna il fine settimana perché ha risolto così, ma contento lui, contenti tutti: meno persone nel negozio il giorno dopo.


Per il resto, mi aspettano giornate piene di lavoro: se ne sono andati via in 3, assunti però 0. Sono sempre più convinta che pur di risparmiare, la compagnia manderebbe la manager a lavorare da sola gratis anche la notte. Vediamo come si evolverà la situazione nei prossimi mesi, che tremiamo già alla parola Natale.

Nel negozio all’aroma di tè alla pesca

Abbiamo riaperto con parecchi cambiamenti che hanno fatto sentire di più i 4 mesi di lockdown, anche se poi in fondo in fondo le cose sono sempre le stesse dietro gli schermi di plastica; ho una manager nuova al negozio, una recluta in più e pare pure che una supervisor se ne andrà a breve.

Insomma, da quando ho iniziato a lavorare quasi un anno e mezzo fa se ne sono andati in 4 (5), mentre me ne resto ad osservare il mix di gente che porta un po’ del suo dentro il negozio. Quando qualche collega se ne va, ci rimani un po’ meh, perché non fai in tempo ad abituarti a qualcuno che devi ricominciare da capo. Magari con qualcuno ci parlavi di videogiochi e serie TV, con un altro avevi gli stessi interessi e ci si raccontava qualche cavolata pazzesca per passare il tempo.

Sembra di essere tornati a quando iniziavi scuola a settembre e cambiavi prof di una materia senza sapere se fosse un umano o un bastardo di livelli spropositati. Ecco, la sensazione è quella. Che poi, se non ho nemmeno turni insieme alla nuova gente, sarà pure difficile farci conoscenza in tempi brevi.

Ma si vedrà.

Clienti

Per il resto, i clienti sono sempre quelli. I castelli di libri sono stati buttati giù più volte da persone ignare del funzionamento della gravità terrestre: se devi vedere un libro, prendi quello sopra, non quello che regge tutta la baracca.

Ma a quanto pare, i miei clienti sono dei gatti.

Nemmeno una settimana dalla riapertura, ho già tirato su una bevanda al tè alla pesca ghiacciato, con tanto di ghiaccio galleggiante sul pavimento, rimanendo a pulire per buoni 15 minuti lo zucchero ormai incrostato: mi chiedo come mai le persone si ostinino a bere di tutto e di più in un negozio dove si dovrebbe indossare una mascherina sul naso e non sul mento, ma tant’è. Non mi lamento mica, solo che però lasciatemi dire che schifo. Sono ancora convinta che dovremmo mettere un cartello che inviti la gente a non entrare con cibi, bevande, pranzi natalizi e patatine varie ma ai piani alti sono dell’idea che scoraggi le persone ad entrare a spendere.

Ma io questo non l’ho detto.

Fatto sta, per un paio di ore il negozio odorava di tè alla pesca ovunque andassi, ma no, non era un arbre magique profumato. Il mocio vecchio ed aggrinzito usato per pulire somigliava più ad un vecchio polpo, le setole del tutto andate, ma penso che un polpo avrebbe tirato su più tè dal pavimento.

E forse avrebbe anche gradito il free drink.

Tornata alla cassa mi sono accorta delle orme di un bipede che probabilmente, nel lasso di tempo in cui mi sono allontanata per prendere il polpo mocio, ci aveva camminato sopra beatamente. Big foot.

“Beh, dai, poteva andare peggio.”

Ah, collega, hai ragione. Visti i tempi di oggi, avrebbe potuto lanciarci la bevanda direttamente contro lo screen di plastica solo per sfregio. Per lo meno, la cliente ci ha avvisati della diga distrutta in mezzo alla merce.



Ho avuto anche conversazioni bizzarre con gente meno avvelenata. Una signora in serio panico, aveva bisogno di un pennarello marrone. Ma doveva essere marrone, eh. Credo che dopo aver pronunciato la parola marrone così tante volte, avesse ormai perso senso tutto, il negozio, la nostra esistenza, il cosmo stesso.

Che okay, raccontata scritta così non fa neanche ridere, ma sul momento mi ha reso isterica. Brownbrownbrown.

“Avete un pennarello marrone?”

“Marrone?”

“Sì, marrone.”

“Forse nei set.”

“No, no, solo marrone.”

“Marrone?”

“Sì, sì, solo marrone.”

“Ma singolo?”

“Uno solo marrone.”

“Uhm.”

“Sì, forse è un richiesta strana, un pennarello marrone.”

Mi chiedo se sia il mio senso dell’umorismo che stia regredendo o se sia solo colpa del negozio, le mascherine e i fumi del gel antibatterico. O un mix di tutto. Boh.

Alla prossima!

Volete un tè alla pesca? Si può tirare su con la cannuccia di carta se volete.

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Albero in fiore nel giardino dietro casa durante i giorni di sole, quindi non oggi.

“Ne usciremo migliori” – Aggiornamento da dietro le quinte

Posso assicurarvi che no, non ne stiamo uscendo migliori da questo grande circo mondiale: una cosa che ho notato, ritornati dallo pseudo-lockdown i clienti incattiviti sono aumentati in maniera considerevole. Nel senso, in meno di una settimana ne ho incontrati più di uno che avevano il dente avvelenato; settimana che tra l’altro, mi è sembrata essere durata un mese.

In barba delle regole che mi dicono che non dovrei parlare dei clienti sul web, ma nemmeno del lavoro o della compagnia stile “prima regola del Fight Club, non parlate del Fight Club”, ve ne parlo perché sì. Questi clienti sono l’emblema di una categoria che è ben più grande del loro piccolissimo ego da scarabeo stercorario.

C’è quella che vuole lo sconto sul prezzo originale rimanendoci male (ma male male) alla mia risposta, no, non posso farlo, la decisione dei prezzi non è tra le mie mansioni ufficiali; quella che al mio arrivederci a fine conto, mi lancia schifata lo scontrino che le ho appena dato attraverso la buchetta senza dire una parola; quello che a dieci minuti di chiusura mentre pulisco per terra, entra con gli scarponcini pieni di fango (sperando che fosse solo fango) girandosi tutto il negozio, per poi uscire e guardarmi come se niente fosse, mentre passo gli stracci a terra per le millesima volta a scrostare le sue impronte da Big Foot.

E quelli che sbuffano perchè non posso accettare una banconota da 20£ per pagare una robina da 50 pence? Tanto vale staccare la cassa e darla al cliente, chiudere la saracinesca e buona sera. Non ho scritto banca in testa l’ultima volta che ho controllato allo specchio.

La migliore però che si merita una medaglia con trofeo su questo blog, è una donna sulla quarantina forse più; con la mascherina è difficile capire l’età di una persona, a volte dei trentenni mi passano per minorenni e lì ci si diverte.

Complimenti, carissima, questa è per te. 🙂

Sto ancora qui a chiedermi che cosa volesse che facessi quando il mio collega adolescente le ha detto che non avessimo dei libri che stava cercando: chissà, forse dovevo disegnare un pentagramma a terra ed evocarli dalle tenebre; dovevo tirarli fuori dal magico mondo del retro bottega dove non esistevano.

Domanda: avete i libri X?

Risposta: no, non ce li abbiamo, ci dispiace.

– Tipica scena che accade in miriadi di negozi sparsi per il globo.

Forse non siamo stati veloci abbastanza da scattare in suo aiuto, rintanati dietro gli schermi di plastica dove preferisco stare, visto che non si sa mai chi entra e chi no dalla strada con tanto di virus e schifezze varie. Con questo, non mi è sembrato al momento di averla ignorata o sbeffeggiata, ma forse qualcosa si è perso nella traduzione inglese-italiano.

Chissà.

Non lo saprò mai.

Di punto in bianco, ha replicato stizzita di come “non fossimo in grado di svolgere il nostro lavoro”. Ha inziato a girare come una trottola per il negozio, mostrandomi dove fossero le cose, “così da poter aiutare i prossimi clienti” toccando tutto. Lei, che aveva un’attività proficua, sapeva come mandare avanti un negozio (parole sue), come trattare i clienti che entrano per mandare avanti la sua bottega.

Ah.

Avrei potuto farmi gli affari miei, lasciarla bollire nel suo brodo di gallina mentecatta avvelenata, ma ho deciso di intervenire per spirito di squadra.

O forse sono solo troppo buona, mannaggia a me.

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Ci è mancato poco che la prendessi di peso per scaraventarla su uno degli scaffali in modo che potesse cercarseli da sola i libri ma da vicino. Ringrazio che avessi la mascherina, altrimenti avrebbe visto il mio sorriso da livello normale a livello Joker di Batman. Sul momento, più di dirle di essere al corrente dello stock in negozio e che i libri si trovassero dalla parte opposta rispetto a lei, non sapevo che altro aggiungere.

L’ho pure ringraziata per la sua premura, grazie sì, lo so che qui abbiamo le penne, ma lei voleva dei libri o sbaglio? Ma ormai era partita, era un disco rotto e stonato che non mi ascoltava poiché inferiore a lei, la grande imprenditrice Miss Trump.

Ed intanto, dentro di me pensavo, oh mio dio, ho davanti a me una Karen per la prima volta.

Karen: nome molto popolare tra le donne bianche negli Stati Uniti, viene usato per indicare lo stereotipo femminile del cliente che si lamenta di qualsiasi cosa nel negozio, culminando il più delle volte con la fantomatica frase vorrei parlare con il manager.

Come è andata a finire? Dato che stava alzando il tono di voce e di fare scenate peggiori non avevo proprio voglia, ho chiuso la discussione ribadendo che non avessimo quello che cercava. Stop.

Proprio in quel momento, un mio supervisore dallo sguardo spaesato e confuso è spuntato dal retro, chiedendomi che sta succedendo?

Ah, niente, la cliente cerca dei libri che non abbiamo, nonostante gliel’abbia detto più volte.

Grata alla porta STAFF ONLY, mi ci sono barricata per buoni dieci minuti: ho detto al mio manager di aspettarsi qualche lamentela verso la straniera che è venuta qui in Scozia a rubare il lavoro senza nemmeno saperlo fare. Il mio collega adolescente schiumava di rabbia quasi quanto me, entrambi presi alla sprovvista dal comportamento di quella cliente.

Non te la prendere, certa gente è così, mi ha detto il mio manager; fosse successa una cosa del genere pre-virus forse l’avrei gestita meglio, forse no. Dopo un anno di customer service ho scoperto che – sorpresa! – sono troppo sensibile per questo lavoro, per quanto mi vanti di essere la regina dei ghiacci.

La cosa buffa è che qualche giorno dopo sono arrivati i fantomatici libri che voleva: ho aperto il pacco e quando li ho visti sono stata tentata di prenderli e di andarli a bruciare solo per sfregio.

Ma no, non è colpa dei libri, buttare i libri è peccato.


Adesso abbiamo le divisine natalizie, così a sorpresa; ammetto che fosse l’ultima cosa che mi aspettassi, dopo il secondo lockdown imposto giù in Inghilterra. Pensavo che le priorità fossero altre, come cercare di limitare la gente nel negozio, ma no, dobbiamo vestirci a festa perchè ovviamente the show must go on.

Nonostante dovrei solo sorridere ad annuire, non posso non restare accigliata davanti alle 20 persone che entrano nel negozio insieme, come un fiume in piena; e vi assicuro che poi, sono le stesse che vanno a lamentarsi di come lo staff non faccia il proprio lavoro per mantenere il distaziamento sociale.

Come ho già detto, preferisco stare dietro l’acquario di plastica al sicuro, piuttosto che acquattata tra gli scaffali e farmi fare la doccia dalla signora/signore di turno che non indossa la mascherina per questioni mediche. E non puoi discriminarli, perchè appunto, ho il permesso del mio medico! Metti un visore allora, non ti attaccare stile koala a me che non faccio parte del tuo nucleo familiare.

Io ti rispetto se tu mi rispetti, non è difficile. E poi tanto ti rispetterò comunque perchè purtroppo il cliente è re, ma se ti comporti da scemo non vedrò l’ora che te ne esca da questo posto.

Negli ultimi giorni si sono calmati un po’, meno persone ammassate che significa più sicurezza per me. Un secondo lockdown non è stato ancora imposto in Scozia, andiamo a zone da 0 a 4, un po’ come i colori in Italia e non ci si capisce un accidente lo stesso.

Inglesi che passano il confine, gente che viaggia perchè tanto non controlla nessuno… Potrei andare avanti all’infinito.

Edimburgo è zona 3, quindi a un passo dalla 4: chi può lavora da casa, si deve uscire il meno possibile, evitare i mezzi di trasporto se si può, i negozi sono aperti così come le scuole. Sì, i pargoli piccoli e grandi scorrazzano in giro per le strade indisturbati, ebbri di adolescenza; un po’ li invidio, poi però mi ricordo che devono fare matematica ed io ho già dato.

Tanto, a sentire la cliente, non so fare manco quella.

Alla prossima!

Avventure da dentro l’acquario: clienti mascherati e sterline perse

Da quando sono dietro il visore e gli schermi di plastica alla cassa, sono diventata un pesce tropicale, ci manca solo la persona simpatica di turno che picchietta con il dito stile acquario e abbiamo fatto.

Semmai lo ha fatto un mio collega per sdrammatizzare la situazione, visto che se ci pensiamo troppo viene solo da piangere.

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Pensa positivo, pensa positivo, pensa positivo…

Ovviamente è diventato difficile capire il cliente di turno over 70, mettici pure le loro mascherine che coprono ogni parola pronunciata ed ecco qua il teatro dell’assurdo.

Vuole una busta?

Eh?

Vuole una busta?

ASDAFJKAGJlskfd—- nah.

Il cliente a quel punto parla aramaico antico ed evoca uno spirito, portando carestia e pestilenza.


L’altro giorno, mentre offrivo offerte speciali ad una coppietta munita di visori anche loro, il signore ignora totalmente le mie parole per dirmi, sembri polacca dall’accento!

In quel momento mi sono passati davanti tutti gli anni passati sui libri a studiare grammatica, accenti britannici e quant’altro.

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Ah.

Ma che ci frega delle dentali, delle sonore e non, della T troppo forte o della B di Bag (busta) che cerco di dire il meno pronunciata possibile, se poi arriva il nonnino di turno che ti sgama.

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Goodbye.

Ah, no, non sono polacca.

Eh, ma infatti ho detto che suoni polacca, eh eh eh, semmai forse qualche accento dell’est Europa ma non sei British.

Vengo dall’Italia, eh eh. 

Est Europa, no?

La signora che non aveva detto niente fino a quel punto, si illumina e mi sorride, dicendo un CIAO! che più anglosassone non si può, muovendo la mano munita di card per salutarmi.

Eh, ecco, non venivi da qui, dice lui trionfale.

Bravo signore, però non ha vinto sconti con il negozio, ritenti la prossima volta.

Arrivederci.

Almeno loro non sono come il cliente abituale pre-lockdown che mi salutava dicendo tutte le parolaccie che conosceva in italiano, potrebbe andare peggio.

Potrebbe tornare.


I clienti arrivano ad ondate, qualcuno più timido di altri; le famigliole entrano allegramente muniti di pupi che sono in vacanza da scuola, chi con le mascherine, chi senza perchè non sanno leggere i cartelli.

Ripeto, io ho il visore perchè va di moda e sta in tono con le scarpe, eh già.

Ho gestito una coda alla cassa notevole che non capitava da parecchio, risolvendo anche la crisi della sterlina perduta: la signora allunga una banconota da 5 per pagare 4, le dò il resto di 1£ e la donna lo fa cadere per terra.

Sapete che fine ha fatto? Io no, ho smontato tutte scatole e scatoline che erano lì sotto, ma niente eh. So solo che le ho dato un altro resto per mandarla via, perchè la gente in coda iniziava a spazientirsi: immagino che qualche furbastro se la sia instascata.

Eh, scusami tanto eh, scusami.

Ma si figuri signora, in tempi di coronavirus mi crocifiggeranno in piazza per aver perso la sacra sterlina con l’effige della Regina Elisabetta.

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Dal 24 luglio le mascherine sono obbligatorie nei negozi in Inghilterra, ma non è niente di nuovo visto che in Scozia già lo facevamo; sarà perchè adesso lo deve fare anche Londra, ma sono arrivate una miriade di e-mail avvisandoci su come indossarla a lavoro, nel bus, in giro per strada o dal medico.

Ecco, credevo che fosse ridicolo dover spiegare alle persone come indossare una mascherina, ma non lo è proprio. Di indossatori matti seriali ce ne sono di ogni tipo ed ovviamente, sono entrati tutti nel negozio.

Il Bandito

L’indossatore di mascherina sotto il naso: un classico, il soggetto indossa la mascherina coprendo solo la bocca ma lasciando il naso all’aperto, appendice che prende il sole (?) beatamente. Il motivo di questo comportamento è molto semplice, visto che alla domanda perchè non ti copri la faccia? La risposta è quasi sempre eh, ma non respiro. Certo.

Il Pattinatore

Il pattinatore è tale poiché indossa la mascherina sui gomiti: raro da avvistare, si lega la mascherina intorno alle braccia e la mascherina penzola stile gomitiera troppo larga. Gli mancano solo i pattini ed è pronto per le Olimpiadi che non ci saranno. Se per caso ne porta una per gomito, una apparterrà a un possibile figlio/nipote/fidanzata stanco/a di avercela in faccia.

Il Giocatore di Rugby

Quando bocca e naso sono in libertà, questo essere si copre solo il mento, mascherina attaccata stirata dalle orecchie che si piegano a mo’ di ali. L’indossatore spicca il volo, fiero di non attenersi alle regole, magari guardandoti con aria di sfida mentre indossi il visore di plastica anti schizzo tossico, schiumando di caldo. Lui è intelligente, ha capito tutto della vita, tu no.

Il Ninja

Il Ninja è ancora bambino, se la mette legata alla testa e scorrazza per i negozi indisturbato: il genitore non ha idea di dove si trovi naso e booca, ergo il pargolo fa come vuole, coprendosi la fronte. Dopotutto, è risaputo che i bacilli partano dalla fronte per infettare il resto del mondo, no? Di solito ha dei pupazzi disegnati sopra, da Baby Shark a Minecraft, fino al classicissimo Paw Patrol con i cagnolini spiritati.

Il Commensale

La mascherina è legata al collo a mo’ di bavaglino, copre il collo o la scollature pseudo estiva, ma non è che sia utile a qualcosa. Tanto vale mettersi un vero bavaglino o uno scialle per copririsi, ma no, i tempi di oggi sono duri e hanno bisogno della mascherina perchè questo è il 2020.


Il detto dice, il mondo è bello perchè vario. 

Mah.

Forse il mondo sì, ma l’acquario un po’ meno.

Alla prossima!

Chiudere o non chiudere, cronache dal Regno Unito ai tempi del coronavirus

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Chiesa di San Cuthbert, Edimburgo.

Le scuole in Regno Unito hanno chiuso venerdì, dopo tanti vedremo, chissà, detti a mezza voce; era inevitabile che si arrivasse ad una decisione simile, decisione pari a nulla se confrontata con quelle prese in giro per l’Europa. Il social distancing, ovvero la distanza di sicurezza da mantenere da persona a persona di almeno un metro, non viene applicata a dovere, ve lo garantisco.

Qui ad Edimburgo hanno chiuso i ristoranti, i pub, i musei, il castello, le attrazioni per turisti in generale, turisti che nel migliore dei casi sono in quarantena nel loro paese ad aspettare che tutto torni alla normalità.

Chi può lavora da casa, mentre qualche negozio ha chiuso a tempo indeterminato, vedi Primark (abbigliamento) o la Apple (telefonia) per salvaguardare i clienti e il loro staff.

Eh.

Per quanto riguarda la compagnia per cui lavoro, hanno lasciato inendere tra le tante belle parole che non si chiuderà fino ad una direttiva ufficiale ufficiosa del Governo: e ci credo, stanno vendendo manco fosse Natale, vogliono salvaguardare il loro business.

Certo, un Natale oscuro ed incerto, senza Babbo Natale, regali ed una data sicura.

Quando mi trovo in negozio sembra che debba accadere qualcosa da un momento all’altro: non si sa bene che cosa, ma si percepisce un’ombra sui libri e giochi patinati, un suono distorto sotto la musica allegra.

Se prima ero l’unica a preoccuparmi, le notizie dall’Italia stanno iniziando a colpire anche il resto dello staff (o quasi). Qualcuno mi ha chiesto notizie in generale, altri mi hanno chiesto se la mia famiglia stesse bene o come stessero vivendo in quarantena.

Punto Interrogativo, Importante, Segno, Problema

Quando chiuderemo? Ma perché, chiuderemo? Resteremo aperti per sempre, assieme ai supermarket? Posso stare a casa? Me ne sto in autoisolamento? O vengo lo stesso e rischio? E se mi ammalo? E se non mi ammalo, ma poi mi ammalo lo stesso? E lo stipendio, come campo?

– Tante domande che ho sentito, poche risposte chiare per ora.

Accanto alla cassa sono apparsi cartelli che invitano ad usare la carta per pagare ed evitare il contatto fisico, evitare di far girare la moneta batteriologica; qualcuno ha la premura di indossare i guanti, altri se ne strafregano e ti passano le monete dopo averti toccato la mano a dovere.

Se agli over 70 hanno detto di restare in casa, qualche signore entra a testa alta e va alla cassa giustificandosi con un “mi annoio, fa niente pure se mi ammalo,” lasciandomi basita.

Il gel per le mani è introvabile, niente di nuovo lo so: un negozio vicino a quello per cui lavoro ha avuto una consegna speciale di gel che è finito nel giro di due ore, con tanto di litigi a tutto spiano. Già, pare che una signora volesse portarsene via una dozzina ma è stata fermata dalla commessa: solo uno a persona, ha ricordato, facendola diventare paonazza.

Eh, ma io li compro per tutta la mia famiglia.

E io invece ci condisco la pasta, sa, quel sapore di aloe vera mista ad alcool è sublime, che bontà.

Roba da matti, storie uguali a tante altre che si sentono in giro per il mondo: altruismo zero. Basti pensare ai supermarket, dove i panic buyers hanno saccheggiato pure farina, pane, frutta e verdura: chi non può fare una grande spesa o stacca da lavoro la sera, non trova nulla sugli scaffali, restandosene a mani vuote. Si stanno organizzando in questi giorni per dedicare la prima ora solo per gli anziani, i disabili e lo staff medico (NHS).

E meno male.

Le mascherine in giro per le strade sono poche, ma iniziano a fioccare timide qua e là, qualcuno usa un foulard e si getta intrepido nella folla che non dovrebbe essere lì.

Qualche collega ha deciso di restare a casa: non se la sentono di stare a contatto con le decine e decine di persone che entrano nel negozio a caccia di puzzle.

E fanno bene, perché lo farei anche io.

Ma resisto, per ora.

Adesso è primavera e per gli scozzesi i primi raggi di sole sono irresistibili: quanto vorrei far vedere a tutti le scene dall’Italia, cosa sta succedendo nel mio paese.

Ho raccontato di Bergamo ad una collega che ha sgranato gli occhi.

Ma come sempre, lavatevi le mani e non state troppo vicini, dice Johnson.

Chi incontri alle Fiere del Fumetto

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Romics alla Nuova Fiera di Roma, 2015

Sono stata ad un po’ di edizioni del Romics nel corso degli anni e ho notato sempre le stesse persone che puntualmente lo visitavano. Vediamo un po’ di che soggetti si tratta, mmm?

  • Famiglie Numerose: questi soggetti arrivano alla Fiera in gruppi di 5 o più esemplari tra adulti e bimbetti vestiti dal loro supereroe preferito. Nel peggiore dei casi, sono accompagnati da passeggini extra-large che si incastreranno fra le porte di un padiglione e l’altro, con tanto di bimbo stato larvale urlante; inutile dire che sarai costretto a fare il salto ad ostacoli, magari aiutandoti con la tua staffa da mago (se ti sei vestito da mago e ti va bene). Importante segnalare la presenza perenne dei cellulari che scatteranno milioni di foto ai pargoli, magari quando tu ci passerai dietro da perfetto photo bomber. Ah, non dimentichiamoci dei borsoni pieni di libagioni che potrebbero sfamare un continente;
  • Famiglie Nerd: queste famiglie si distinguono da quelle di sopra, poiché generalmente arrivano alla Fiera vestiti dai loro personaggi preferiti scegliendo un tema in comune. Si segnala l’avvistamento di un nonno-Silente e nipote-Harry Potter, ma anche di un padre-Odino e di una figlia-Wonder Woman (perché ci piacciono i crossover) ed infine anche una grande famiglia tutta vestita stile Steampunk;
  • Trekkies: sono loro, i fan di Star Trek che si gireranno le Fiere almeno da illo tempore, che adesso possono interpretare i loro idoli al meglio visto che l’età è pur sempre quella. Sono la storia delle Fiere, non gli manca niente, dalle pistole al trucco e sono meravigliosi;
  • Cosplayer: ce ne sono a centinaia e si possono distinguere a loro volta in due tipi, fra quelli Occasionali e Professionisti. I primi partecipano sporadicamente alle Fiere, impegnandosi il giusto per non spendere chissà che capitale per creare il proprio abito: può capitare che qualche pezzo del vestito si distrugga nel tragitto casa-fiera, ma ce lo si aspetta; i secondi, sono coloro che partecipano ai contest, si portano dietro impalcature, luci, suoni, scettri, spade, madri e padri, cugini e fratelli, arrivando da tutta Italia. I Professionisti sono i più inquietanti poiché a volte perdono il contatto con la realtà, chiedendosi chi sono io e dove inizia il mio personaggio? Ma lasciano senza fiato per la somiglianza: non dimenticherò mai il Jack Sparrow che si aggirava per la Fiera baldanzoso a baciare le mani delle donzelle!
  • Fotografi: si aggirano di soppiatto, pagano il biglietto e fanno foto random a cosplayer ed esibizioni. Dopo, ti lasciano il biglietto da visita puntualmente con il nome sbagliato così che non troverai mai la tua foto persa chissà dove sul web – ovviamente se hai sfortuna.
  • Le Volpi: sono i soggetti che credono di poter pagare di meno il biglietto vestendosi casual con la scusa del “sto facendo il cosplay di The Sims,” oppure “ho un elmo di cartone quadrato, sono di Minecraft.” Ragazzi, non funziona mai, mettetevi l’anima in pace: se volete lo sconto cosplay, fate un cosplay.
  • I Casinisti: di età pre-adolescenziale, vanno ad eventi come questi solo per sfogarsi, correndo come matti da un padiglione all’altro, toccando tutto quello che possono toccare sugli stand (pure se severamente vietato, ex. costruzioni LEGO). Sulle spalle, non manca il fedele zaino-sacca che balza da una parte all’altra, in cui ci si trova solamente una bottiglietta d’acqua (se va bene). Di solito, la maggioranza andrà a fare la fila per incontrare qualche Youtuber che ci azzecca con una Fiera di fumetti come i cavoli a merenda.
  • I Samurai: di varie età, questi soggetti si fermano allo stand delle katana e le guardano per ore ed ore, accarezzandone la lama e sognando il giorno in cui potranno usarle in una apocalisse zombie.
  • L’Uomo Cipolla: lui è l’extra di questa lista, è il più fastidioso ma anche il più silenzioso. Fa caldo nel padiglioni e ad un certo punto, si sento questo amabile odore di soffritto, ma ti ricordi che fanno solo Sushi in quella zona. Non è soffritto, è un essere umano che sta bollendo a cottura lenta.
  • Stessa cosa la Donna Cipolla.

Vi lascio con questa immagine poetica nella mente ❤ Mi raccomando, il sapone è vostro amico.

A voi è mai capitato di andare a qualche Fiera? Chi avete incontrato di interessante?

Fumarsi il cervello

Arriva l’estate! Finalmente le giornate si allungano, c’è il sole, il mare, la montagna, voglia di uscire fuori all’aria aperta… Purtroppo, c’è anche il caldo asfissiante che ti porta ad aprire la finestra se non sei attrezzato di aria condizionata e sei costretto a stare in casa.

Così, apri le finestre che danno sulla tua stanza o sulla cucina e ti godi l’arietta fresca della sera, quando la senti: la puzza di fumo di sigaretta; e allora corri, corri a chiudere la finestra in camera, serra tutto, aspetta almeno un quarto d’ora (?) prima di poter riaprire la situazione.

Praticamente è come avercelo dentro casa…

Il vicino di casa fuma, cazzarola:  Che si fa a ‘sto punto?

  1. Compri un calderone ed opti per l’olio bollente: lo fai colare giù dal balcone condominiale per protesta, così stai sicuro becchi tutti i condomini, fumatori e non. Ci saranno delle vittime innocenti, certo, ma saranno martiri per la tua crociata contro il fumo;
  2. Decidi di iniziare a fumare anche tu: l’ultima volta che ci hai provato avevi 13, 14 anni, ci manca poco che ti strozzi con il fumo, ma a questo punto pensi che sia meglio controllare da te le sigarette fumate, magari ti unisci al tuo vicino e ti fai pure una birretta;
  3. Cambi casa e ti ritiri in un luogo lontano dalla civiltà, lontano da ogni dugongo irrispettoso (senza offesa per i veri dugonghi);

    Un dugongo rispettoso nel suo habitat, da Wikipedia
  4. Comunichi al tuo vicino il tuo problema, sperando che non ti rida in faccia o sgrulli le spalle (ao, che voi da me, ‘ndo fumo io?);
  5. Chiudi le finestre e aspetti, contando fino a 12000: la tua rabbia schiumerà e magari a quel punto la sigaretta sarà finalmente finita.

E siamo solo a giugno, purtroppo.


Ovviamente, io non ho nulla nei confronti dei fumatori che rispettano i non fumatori: avevo un’amica all’università che puntualmente si allontanava da me, mettendosi in modo che il vento non spingesse il fumo nei miei polmoni. Quindi, davvero, caro fumatore, se vuoi fumare fallo pure, ma non imporre a me una tua scelta. Ah, e i mozziconi, magari, non gettarli a terra (povera) o sulla sabbia, che poi con la fortuna che uno si ritrova, ci mette il piede sopra – e fa male, cacchio, ne so qualcosa! Buona sigaretta.