Miss, posso andare al bagno? Invigilator all’attacco

Avevo accennato a come avrei preso parte ad un esame dall’altra parte della cattedra, giusto? Ecco, durante il training avevano accennato a come con molta probabilità avrei dovuto fare da cane da guardia ad un paio di ragazzini, non di più. 3, 4, massimo 5, toh.

Arrivo la mattina dell’esame bella ansiosa all’ufficio e la direttrice mi saluta e mi chiede il nome. “Ah, Laura, eccoti qui,” e punta il dito su di un foglio excel che ha sulla cattedra davanti a lei con tanti numeretti e nomignoli.

Vicino al mio nome ci sta scritto 20.

20 cosa? Caramelle? Patate? Si tratta di un punteggio? Wow, penso, come è alto, è il più alto di tutti, vedo solo 4 o 5 agli altri nomi…

“Devi andare in questa classe, è bella grande sai, hai 20 persone da invigilare :D”

La guardo.

Guardo il foglio.

Guardo di nuovo lei.

Ha gli occhi stanchi.

Pure io, non ho dormito tanto.

Mmm.

Laura. 20.

Ah.

Meno male che dovevano essere 4 o 5. Massì dai, 20 è pur sempre un multiplo di 4 o 5 no?

“Oh, va bene,” dico sorridente e affabile, da grande attrice premio Oscar, mentre dentro credo il mio unico neurone abbia commesso seppuku.

La direttrice mi consegna un bustone pesantissimo, un orologio da attaccare al muro perché la classe non ha i PC, mi dà pure un cartello gigante EXAM IN PROGRESS, e pure un’altra busta perché magari era poca la roba che avevo in braccio.

“Sai dove andare?”

“Mah, oddio, non sono tanto familiare di questo posto…”

“Dall’altra parte del palazzo 😀 buona fortuna.”

Good Luck.

Così, esco dall’ufficio mezza intontita ripensando a quel 20, ringraziando di avere un’ora abbondante per sistemare l’aula.

Mi perdo, ovviamente, quel posto sembra un labirinto.

Vago per l’edificio con ‘sta roba in braccio, mi affaccio in un corridoio, mi sento come Asterix e Obelix alla ricerca del lasciapassare A38. Qualcuno mi guarda curioso, vado alla reception dove il tipo non capisce che sono un Invigilator, pensando che io sia uno studente.

Gli mostro il mio bottino, indico col mento la busta.

“No, sono un Invigilator, devo andare in questa stanza, come ci arrivo?”

“Ma devi fare un esame?”

“Sì, ma non io, sono un Invigilator.”

“Ma a che ora?”

“Tra un’ora.”

“Hai un esame tra un’ora.”

Fisso il mio bustone e ripenso a come sia arrivata a questo punto, un po’ sconsolata. Comprendo perché non abbiano persone che vogliano fare da cani da guardia e abbiano chiesto a gente stolta come me.

“Okay, allora, vai dritta, gira a destra, vedi il bar, ecco, non lo guardare, sali le scale, poi a destra e vai dritta e segui il corridoio, ci arrivi. Chiedi al folletto magico la parola d’ordine, fa una piroetta su te stessa, salta su una gamba e apri la porta.”

“Ma quindi a che serve la parola magica?”

Non lo sapremo mai.

Arrivo all’aula, controllo che sia quella giusta, saluto due studenti ansiosi che vogliono iniziare al più presto, mi chiudo dentro e sistemo la classe alla meno peggio. L’orologio lo metto al muro e casca per terra, si frantuma in mille pezzi dopo nemmeno 10 minuti di onorato servizio: guardo nella bustona e ne ho un altro di riserva.

Qualcosa mi dice che non sia successo solo a me.


I 20 studenti hanno sì e no 18 anni ed alcuni mi trattano con una reverenza che mi fa sentire un professore. Mi guardo dietro le spalle, ma no, non c’è nessuno dietro di me con più autorità, in quel momento l’autirità sono io. Io. Una professoressa mi chiede un informazione prima di chiudere la classe al mondo intero e pure lei, mi parla con un linguaggio così ricercato e professionale che mi chiedo chi sia diventata nel giro di una notte.

Oh Povere anime.

Mi chiedono in mille di andare al bagno, ci vanno, aspettiamo, qualcuno sta morendo per l’attesa. Io pure, gli vorrei dire, ma in effetti meglio stare dall’altra parte che rispondere a chissà che domande e di chissà che materia.

Confisco un paio di bigliettini, ma erano solo fogli di carta senza niente scritto sopra, pare; un altro finisce la penna, un altro finisce il compito in 30 minuti, consegna e se ne va. Vorrei andarmene anche io ma non posso per ovvi motivi.

Passa un’ora in modo lento ed inesorabile; cammino un paio di volte su e giù, non so dove mettermi le braccia, quindi le incrocio, resto vicina a qualcuno che sembra voler fare il furbo, non fiata una mosca. Guardo fuori dalla finestra, i gabbiani starnazzano e tira vento, ma dentro quella classe si muore di caldo. In Scozia fa freddo, dicono, serve la giacca.

Piano piano sono sempre di meno in classe, prendo i loro compiti e se ne vanno. Scade il tempo, finiscono gli ultimi due e resto sola dentro la classe. Poggio i compiti, mi siedo sulla sedia e faccio un sospiro di sollievo: è finita. Guardo il soffito, mi pento di essermi messa una maglia pesante quella mattina.

Rificco a forza i compiti sudati dei ragazzi nel bustone, raccatto cartelli e orologi, prendo la mia borsa e attraverso l’edificio per riportare tutto dalla direttrice: questo è il momento in cui devi proteggere quei compiti con la tua stessa vita, che ne so, metti caso qualcuno ti prenda a bastonate perché vuole cambiare qualche frase o crocetta. Ma non c’è quasi nessuno in giro, i miei passi rimbombano nei corridoi derserti: le lezioni sono quasi finite per tutti.

“Oh, Laura, come è andata?”

Credo di avere la faccia sconvolta, più per la fame che per altro, “good, good,” rispondo con la voce roca.

Bene bene, che tradotto sarebbe li mortacci vostri.

Non mi aspettavo mica 20 persone sai, scherzo, mentre le consegno il bustone.

“Eh sì, arrivati a questo punto ci sono classi numerose a volte, prenotare le aule grandi poi è sempre un’impresa…”

Un altro collega arriva, sconvolto pure lui, e pure lui con un bustone in mano. Fare l’invigilator è uno sporco lavoro che qualcuno deve pur fare.

“Grazie mille per averci aiutato :D!”

Saluto tutti, esco, me ne vado quasi correndo. Chiudo la giornata con del bubble tea zuccherosissimo che resuscita il neurone morto quella mattina.

Bene.

Torno a fare lo studente ancora per qualche tempo!

Sarà l’aria di Natale 🎄🔥

Non ricordo dove abbia sentito la storia sui Saturnalia degli Antichi Romani che iniziavano a festeggiare anche due mesi prima della festa effettiva. perché ci si divertiva dalla notte fino alla mattina. Immagino sia per lo stesso motivo che ormai Natale iniza a Ottobre Agosto non finisce mai. Sarà per l’atmosfera, sarà per i regali… Sarà solo per uno sfrenatissimo bisogno di consumismo schiavi del capitalismo come siamo noi, io per prima piccola ape operaia.

Ma vabbè, troppi paroloni, non fateci caso chissene frega. Capitemi, dormo e sogno di servire orde di persone imbufalite alla cassa, mentre il mio prof di programmazione è seduto alla cattedra in mezzo al negozio e fa lezione.

Tutto questo solo per dire che la gente è ancora avvelenata, ancora piena di bile, nonostante la stagione gioiosa cicciosa. E okay, da una parte forse li capisco pure, quando uno non ha nulla a cui pensare al di fuori del tuo angioletto santo che deve essere accontentato in tutto e per tutto, ci siamo passati. Una mia compagna di corso che la sera lavora come taxista, mi ha dato ragione su come in effetti ci sia stato un calo nell’educazione media dei suoi passeggeri. Fai Buongiorno e Buona Notte, ti rispondono nemmeno con un grugnito. E mica vuole sapere tutta la loro vita, per carità, ma manco un salve, hey pal how are you doing.

Passato quasi un anno abbondante dall’inizio del nuovo lavoro, posso dire che sì, effettivamente ogni negozio somiglia al’altro. Ad essere diversa, senza forse, sono io. La cassa la vedo meno ore a settimana, penso più ai progetti del college e guardo con gli occhi a cuoricino al nuovo anno pensando a qualsiasi fiera della carriera, Topolino in carrozza, circo in città, basta che ci sia un PC di mezzo.

La nevicata di ieri mattina, la neve non è durata manco 12 ore.

Pare ci debbano visitare i Mistery Shopper, aka i clienti finti che poi mandano la pagella ai piani alti per fargli sapere se siamo stati bravi a servirli, offrirgli roba i più, inchinarci alla loro entrata in negozio, eccetera, eccetera, eccetera… L’ultima volta siamo stati mediocri perchè pare non siamo stati in grado di offrire neanche mezzo stecco di candido natalizio. E vabbè.

Se poi sti mistery shopper sono intelligenti come la cliente che resta sconvolta nello scoprire che un palloncino con dentro l’elio si restringe al freddo, accusandoti di dire bugie… Io boh. Non ho parole.

“Questo palloncino non mi convince.”

Si sente un CRACK, il palloncio si gonfia e torna normale sotto i nostri occhi.

Io la guardo, penso a come glielo avevo pure detto prima che sarebbe potuto accadere visto che siamo in inverno, in Scozia, e faceva FREDDO. Ma quella niente. Immagino che le mie parole siano state ricevuto come dei suoni gutturali da uomo della caverne. “Uga uga, pallone, uga uga, “

“Signora, le garantisco è normale. Succede. Se torna a casa il palloncino sta bene.”

Quella guarda il palloncino che al caldo del negozio è tornato NORMALE. Si rende conto per un breve attimo di aver fatto la cavolata, ma ormai deve continuare la sua linea di pensiero. “Mmm, non so, non sono convinta. Vedremo che succederà domani,” aggiunge con aria di sfida, beffarda.

E io “va bene.”

😐

Se ne va, non faccio in tempo a pulire il pavimento e tirare su polvere e schifo, che due clienti iniziano a litigare su chi era arrivato prima alla cassa.

Era da dire, “nessuno, andatevene entrambi.” In castigo.

Stiamo per chiudere, mi metto con la scopa davanti all’entrata, sentendomi come i personaggi di The Walking Dead contro gli zombie. “Siamo chiusi!” Le chiavi sono inserite, ormai è fatta, è ufficiale.

“Ma solo 5 minuti dai, che vuoi che sia devo solo fare un giro, devo prendere qualcosa per mio nipote, dai!”

“No.”

“Eddai!”

Cia’.

Insomma.

A Natale sono tutti più buoni, credeteci!

Pronostico per il 2023: non lavorare più in retail. MAI più.

Incrocio le dita.

Alla prossima!

Aiuto! C’è un troll nel negozio!

Come da titolo, fonte Pixabay.

Ho partecipato ad un colloquio che credo possa essere comparato a quei test Che amica sei? che facevano sulla rivista Cioè o Ragazza Moderna. Ma sì, quelli che si completavano alle medie tra i banchi tanto per passare il tempo, poi dopo leggevi il profilo che usciva fuori e ti dimenticavi anche di averlo completato a penna, tanto poi avresti buttato la rivista nella carta da lì a poco.

Ecco, sono stata in questo posto dove mi sono trovata a dover rispondere a domande del tipo, quale oggetto ti rappresenta di più in questo negozio e quale sceglieresti, e perché? E poi, come lo venderesti ad un eventuale cliente?

  • A. Una collana
  • B. Un porta penne
  • C. Una Barbabietola da zucchero

Scelgo la C, perché la trovi ovunque ed era l’unica cosa che almeno sapevi di trovare a geografia mentre si imparavano le regioni.


Ma andiamo per ordine. All’inizio tutto normale, parli con la tizia X a capo di turno, sorrisi e moine, please please thanks thanks come tanto piace qui, ci manca poco che mi stendo a terra a mo’ di tappetto per farmici camminare sopra. Un colloquio normalissimo: mi chiede chi sono, chi ero e chi sarò in futuro, mi chiede di descrivere un servizio clienti stellare e robe così.

Stavo anche iniziando a pensare di averli giudicati troppo male ‘sti tipi, guarda che cura nel dettaglio che hanno.

Mica male. Forse le recensioni negative di alcune persone erano esagerate, magari erano in Inghilterra.

Eh, come no…

Le Ultime Parole Famose

Bene, è stato un piacere parlare con te, adesso andiamo a fare una prova in negozio per vedere come ti comporti 😀

Eh?

Sì, tranquilla, giusto per vederti nell’ambiente 😀 Non è un problema vero? Bene andiamo 😀 Stai con la mia collega, ti spiega tutto 😀 Ciao.

Eh?!

Tizia X tanto gentile decide di smollarmi ad un’altra collega che pensavo fosse un manichino del negozio; le sorrido, pure se ho la mascherina, ma quella mi squadra da capo a piedi e poi mi fissa.

Gira nel negozio e parla con i clienti, mi dice catatonica.

Partono così 10 minuti buoni a fare la bella statuina in piedi in mezzo a ‘sto confetto negozio, a farmi ammirare mentre servivo i clienti inesistenti o che giustamente nel vedermi borbottavano un “no no no grazie guardo solo”.

Dentro di me pensavo vi prego, vi prego, parlatemi non guardatemi male, ma tranne una dolce vecchina che si è messa a rispondere alle mie domande da tipico commesso rompiballe, il resto non mi ha filato di striscio.

Good Morning Reaction GIF by Satisfied Customer
Aiuto.

Resto in piedi a girovagare in quel posto del tutto sconosciuto, di clienti nuovi non ne entrano, ignorata sia dalle future colleghe che da tizia X che ricordate mi aveva già salutata.

Un fantasma. Mmm. Vabbè, avevo capito che potevo già andarmene: far perdere tempo alle persone non mi piace, né mi piace perdere tempo. Semplicemente non era il posto per me, i miei neuroni specchio si stavano dando fuoco.

Al che torno da Miss Manichino, che mi fa la domanda trabochetto che oggetto ti piace di più?

Risposta: Questa bellissima barbabietola che è la meno confettosa e che stranamente vendete solo per attirare in inganno un troll delle caverne come me.

Miss Manichino: Bene, adesso prova a vendermela

Nervous Ted Striker GIF by filmeditor
Io.

Non sono una venditrice nata, non lo sarò mai. Vi dico solo che è stato uno spettacolo pietoso, con Miss Manichino che nemmeno mi reggeva il gioco facendo finta di essere una cliente… Regole che aveva imposto lei, tra l’altro.

Vede questa barbabietola? Non crede che possa essere un ottima idea regalo?

Silenzio.

Il prezzo poi è molto conveniente, se pensa che la qualità è ottima.

Nada.

Abbiamo terminato la scena quando mi ha chiesto “come pensi di essere andata?”

Non mi sono trattenuta dal ridere, benissimo, grazie dell’opportunià lo stesso.


Non è una sorpresa che alla fine in meno di 24 ore mi facessero sapere che non mi avrebbero mai più voluto vedere, il sentimento era reciproco.

Resto un po’ perplessa da questa farsa di colloquio, quando era palese avessero già deciso appena fossi entrata nel negozio che no, quello non era il posto per me. Dal curriculum immagino si fossero immaginati un altro tipo di persona, non è un segreto che se potessi andrei a lavorare in jeans e t-shirt – cosa che alla fine ho fatto fino ad ottobre.

Ergo i negozi terra-terra esistono, basta solo aspettare che cerchino gente.

Che poi non è che fossi andata in giro come una stracciona, Aladin della Disney e senza scarpe (Wabuu della Dingo Pictures)

Io avrò sbagliato a mandare curriculum “””in luoghi altolocati””” che si spacciano per la bottega del fornaio sotto casa, ma figli miei, leggetelo bene e non chiamatemi proprio a questo punto. Vivo nella mia caverna da nerd e sto studiando per rimanerci, alla domanda cosa faccio nella vita non posso rispondere “mi gratto tutto il giorno, fate di me quello che volete, vi prego”. Non fate pubblicità fuorvianti, parlando di part-time con dedizione da full-time. Ho già dato.


Rilassiamoci con un alpaca intento a mangiare.

Questo non sarà né il primo né l’ultimo colloquio, ma mi ha veramente lasciata perplessa. Morale della favola: credete alle recensioni su internet, a volte ci prendono in pieno.

Alla prossima figura barbina.

Aggiornamenti e Abbandoni vari – che cosa ho combinato

Registrati, Registratore Di Cassa, Moderno, Commerciale
Maledetta.

Aver passato una vita intera dietro i libri a studiare, mi ha portato ad essere una persona del tutto ignara di come funzionasse il mondo del lavoro; mettiamoci anche il trasferimento all’estero, lo scontrarsi con la gente di qua che parlano una lingua del tutto diversa dalla tua, che non sono cresciuti a pane e nutella e Melevisione; senza dimenticarci anche del casino Brexit, covid e compagnia bella che ormai saprete anche voi a memoria grazie a quello raccontato sui TG.

Ecco, l’insieme di tanti fattori diversi, mi hanno portato alla situazione in cui mi trovo oggi e che più ci penso, più mi fa sganasciare dalle risate perché di piangere non ne abbiamo poi tanta voglia.

Avrei voluto scrivere un articolo più sagace, ma è uscita ‘sta roba qui, ce la faremo bastare: che pesantezza! Ma tranquilli sto bene, mi sto togliendo un po’ di sassi dalle scarpe perché sono ancora incredula che nel giro di poco tempo la situazione sia sprofondata così in basso.

Nelle puntate precedenti

Ricorderete di come avessi lavorato tutta l’estate, pure andando nel centro città durante il Fringe Festival ad aiutare un altro negozio laggiù; ricorderete anche di come i miei colleghi stavano scomparendo uno dopo l’altro, lasciando lo staff a quota 4 e mezzo, del tutto inadatta a mandare avanti un negozio per 7 giorni dalla mattina alla sera.

E ricorderete anche di come fossi stata “promossa” a supervisore, che poi era andata un po’ così:

Hey, mancano persone, ti va di darmi le chiavi?

Okay, tienile!

Quando avevo commentato che in effetti, mi sembravano un po’ disperati nel volermi con più responsabilità, non avevo tutti i torti: quello era solo l’inizio del crollo del castello di carte farlocche.

Ero lì pronta a sacrificarmi e loro l’avevano capito molto bene.

La vita nel mirabolante circo automatico

I problemi sono arrivati uno dopo l’altro, settimana dopo settimana, portandosi sempre qualcosa di nuovo e del tutto inaspettato.

Il mio training non è mai iniziato ed è stato molto, clicca questo bottone, bene, complimenti, hai fatto. La manager era scomparsa in giro per altri lidi a coprire altri negozi, quando il nostro aveva più bisogno di aiuto;

Proprio nella settimana che dovevo iniziare ‘sto benendetto training, scopro che volevano mandarmi giù in Inghilterra oltre il confine per coprire un negozio lì senza dirmi nulla: insomma, per loro dovevo organizzarmi da un giorno all’altro. Ma ti paghiamo le spese! Non vuol dire niente, mi parli come una persona normale, no che arrivo a lavoro e mi fai le sorprese scritte sui fogli. L’ultima volta che ho controllato, abbiamo ancora una bocca per parlare, usiamola;

La mia chiave non funzionava a dovere, restando buoni cinque minuti di prima mattina a scassinare la porta del retro sudando freddo, fino a quando non ho capito il meccanismo che consisteva nel prenderla a spallate mentre si girava la chiave nella toppa, rischiando di spezzarla… E mi è stato detto di continuare a far così;

C’è stata una brutta esperienza interna che mi ha un po’ scossa. Per la manager, la questione era stata “risolta” con un non parliamone più, facciamo squadra siamo tutti amici che tradotto in italiano è finché riesci a cliccare i tasti sulla cassa puoi anche essere un morto vivente, zitta e lavora, non badare a un tuo sottoposto chi ti ha praticamente urlato addosso davanti ai clienti facendoti rimanere male visto che non sei un robot ed ognuno ha la sua sensibilità;

Sono dovuta stare a capo del negozio un paio di volte da sola ad aprire e chiudere, causa mancanza di staff/organizzazione, nonostante i miei continui lamenti e quelli della nuova assistente manager che condivedeva le mie stesse preoccupazioni;

Uno dei supervisori della vecchia guardia con cui ho lavorato dai miei primi giorni ha lasciato anche lui, facendomi rendere conto di dove stessi restando. L’ultimo turno insieme, lui finiva mezz’ora prima di me, lasciandomi così da sola (ma va) a gestire un negozio; la mascherina è stato un ottimo fazzoletto e ha nascosto lo stato pietoso in cui mi trovavo dai pochi clienti rimasti quel giorno che avranno pensato fossi allergica a qualcosa;

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Io con i miei colleghi preferiti che se ne stavano andando uno dopo l’altro.

Rispondere al telefono era un incubo, dato che 4 volte su 5 non avevo la più pallida idea di cosa dover rispondere alla gente delle consegne: non avendolo mai fatto e non essendo un mio compito, ho dovuto chiedere alla ragazza dall’altro lato della cornetta di guidarmi su internet passo per passo per cercare di capire come fare. “Hey, sì, scusa non ho idea di cosa tu voglia da me :D” Povera donna. Morale: ho fatto arrivare tre pallet invece che uno, non vi dico in che condizioni era il retro quel giorno. Poteva essere evitato se qualcuno mi avesse comunicato cosa fare, invece che affibiare colpe a destra e a sinistra. Siamo ancora sotterrati da scatoloni traballanti che farebbero impallidire quelli di Health & Safety.

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La caffeina non ha aiutato.

La mancanza di un manager in negozio sempre impegnato a fare altro, coprire negozi, fare riunioni interne, messaggiare al telefono in ufficio con le gambe all’aria, presente solo tramite post-it e bigliettini dal tono despota dovete vendere, dovete fare, quando da che mondo è mondo, pure il manager dovrebbe partecipare e far squadra;

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La mia reazione alla nuova manager pensando a chi c’era prima.

A ripensarci oggi

A breve sarà il mio ultimo giorno di lavoro, il circo covo di tante storie bizzarre che ogni tanto vi raccontavo qui.

Il giorno prima della consegna della lettera delle mie dimissioni, ho chiuso la saracinesca da sola pensando okay, per me è finita qui. Sono fuori dal gioco, spegnete le telecamere, tenete il microfono, io non ci sto più. Vedevo la merce in esposizione e ripensavo solo a come l’atmosfera fosse ormai tossica e pesante, come non avessi più tempo per poter scrivere, giocare o solo pensare ad altro che non fosse quella stramaledettissima cassa o vendere più buste per centrare il target settimanale, pena crocifissione in sala mensa.

Sono venuta qui in Scozia per stare meglio, non sentirmi miserabile: dopo quasi due anni di assenza dall’Italia, zero vacanze prese, forse la mia decisione era più che comprensibile. Potevo prenderle e tornare anche solo per un po’? Sì. Ho voluto farlo con il rischio di beccarmi il covid a forza di toccare mani sudaticcie bramose di penne a sfera e passarlo alla mia famiglia? No.

Aspetta, aspetta dai, arriverà Natale, pensavo stringendo i denti, resisti.

Nah.

Ma chi ci arrivava a Natale dopo quello che è successo.

La cosa buffa? Non ci crederete mai, ma pure l’assistente manager ha consegnato la sua lettera di dimissioni.

Credo che il fatto che adesso dovrò passare attraverso una exit interview sia solo prassi, che dite? Già, devo fare un colloquio d’uscita. Insomma, ancora non ci credo ma sì: lascio il mio primo lavoro e parte un’indagine interna sul perché tutte queste persone stanno fuggendo da quel negozio? Vi dico solo che perfino ai piani alti, e sto parlando di gente amicona del CEO, si sono interessati alla vicenda. In 3 se ne sono andati nel giro di due settimane tra giugno luglio, un’altra non ha mai iniziato, il mio ex-supervisore ha lasciato un paio di settimane fa, io me ne vado a breve e così pure l’assistente manager.

Insomma, una moria.

Mi fa ridere che stiano facendo i finti tonti; hanno appiccato il fuoco e adesso si stanno chiedendo perché sia andato tutto in fiamme. Da dove viene questo fumo? Mah! Fate un po’ voi.

Ma come Laura, mi lasci pure tu adesso?

Sì, lettera di dimissioni significa quello. Non un giorno di più, non un giorno di meno. Best wishes to you and bla bla bla, whatever.

Quindi?

Quindi sono partita a caccia di lavoro, non con l’ansia che avevo di due anni fa, nonostante il periodo storico in cui ci troviamo. A ripensarci, sono in una situazione ben più rosea: ho esperienza, conosco le magagne interne e magari potrò proteggermi meglio da gente che della mia persona non ha assolutamente alcun interesse se non quello di usarmi come carne da cassa. Inoltre, ho conosciuto persone in questi anni che terranno un occhio aperto su qualche posto che possa uscire in ogni momento.

Se devo dirla tutta, vorrei finire nel (rinascente?) turismo a questo giro, ma non l’ho detto ad alta voce. Troppo bello per essere vero.

Mi dispiace solo per l’unico solo collega rimasto della vecchia squadra, quella di due anni fa, che pure lui sta meditando sulla grande fuga. Mi lasci da solo! Già. Purtroppo lavorando di rado insieme, avrei dovuto scontrarmi con gente nuova e sarei stata lasciata a me stessa molte, troppe volte… Il gioco non valeva la candela.

Quando è una cliente ad essere il problema sai che se ne andrà; ma quando si parla di un collega, un manager o qualcuno che comunque fa parte dei dietro le quinte, cosa fai? O butti giù ed abbozzi, abbozzi, altrimenti te ne vai sulle tue gambe quando ancora puoi farlo prima che ti azzoppino. Ti spacchi la schiena e dita con gli scatoloni e i taglierini, e poi ti senti dire dietro le spalle di come tu non abbia dedizione verso il tuo lavoro solo perché il modo di lavorare è diverso da un altro; o perché, molto più probabilmente, sei giovane, già supervisore e a qualcuno rode un po’.

Dovresti scriverci un libro, mi hanno detto, sarebbe interessante vederne il risultato.

Possibile, quando sarà passato un po’ di tempo e saprò il finale di tutta questa storia. Perché ne avrei da raccontare, ma insomma, per contratto ancora non posso dire nulla. Tecnicamente non avremmo nemmeno il permesso di parlare male dei clienti grezzi che ci trattano male, pensate un po’. Bisogna soffrire in silenzio mentre si tira il sorriso di Barbie Cassiera Esaurita. Ed io mi sono proprio stufata. Con l’atmosfera sempre più lugubre, ogni turno che facevo era l’ultimo con qualcuno, ci si abbracciava e ci si salutava.

Scrivimi, fatti sentire, buona fortuna.

Adesso basta.

Il detto dice chiusa una porta si apre un portone: mi serviranno nuove chiavi. E se non ci sono, lo sfondo a colpi di ariete.

Nel negozio all’aroma di tè alla pesca

Abbiamo riaperto con parecchi cambiamenti che hanno fatto sentire di più i 4 mesi di lockdown, anche se poi in fondo in fondo le cose sono sempre le stesse dietro gli schermi di plastica; ho una manager nuova al negozio, una recluta in più e pare pure che una supervisor se ne andrà a breve.

Insomma, da quando ho iniziato a lavorare quasi un anno e mezzo fa se ne sono andati in 4 (5), mentre me ne resto ad osservare il mix di gente che porta un po’ del suo dentro il negozio. Quando qualche collega se ne va, ci rimani un po’ meh, perché non fai in tempo ad abituarti a qualcuno che devi ricominciare da capo. Magari con qualcuno ci parlavi di videogiochi e serie TV, con un altro avevi gli stessi interessi e ci si raccontava qualche cavolata pazzesca per passare il tempo.

Sembra di essere tornati a quando iniziavi scuola a settembre e cambiavi prof di una materia senza sapere se fosse un umano o un bastardo di livelli spropositati. Ecco, la sensazione è quella. Che poi, se non ho nemmeno turni insieme alla nuova gente, sarà pure difficile farci conoscenza in tempi brevi.

Ma si vedrà.

Clienti

Per il resto, i clienti sono sempre quelli. I castelli di libri sono stati buttati giù più volte da persone ignare del funzionamento della gravità terrestre: se devi vedere un libro, prendi quello sopra, non quello che regge tutta la baracca.

Ma a quanto pare, i miei clienti sono dei gatti.

Nemmeno una settimana dalla riapertura, ho già tirato su una bevanda al tè alla pesca ghiacciato, con tanto di ghiaccio galleggiante sul pavimento, rimanendo a pulire per buoni 15 minuti lo zucchero ormai incrostato: mi chiedo come mai le persone si ostinino a bere di tutto e di più in un negozio dove si dovrebbe indossare una mascherina sul naso e non sul mento, ma tant’è. Non mi lamento mica, solo che però lasciatemi dire che schifo. Sono ancora convinta che dovremmo mettere un cartello che inviti la gente a non entrare con cibi, bevande, pranzi natalizi e patatine varie ma ai piani alti sono dell’idea che scoraggi le persone ad entrare a spendere.

Ma io questo non l’ho detto.

Fatto sta, per un paio di ore il negozio odorava di tè alla pesca ovunque andassi, ma no, non era un arbre magique profumato. Il mocio vecchio ed aggrinzito usato per pulire somigliava più ad un vecchio polpo, le setole del tutto andate, ma penso che un polpo avrebbe tirato su più tè dal pavimento.

E forse avrebbe anche gradito il free drink.

Tornata alla cassa mi sono accorta delle orme di un bipede che probabilmente, nel lasso di tempo in cui mi sono allontanata per prendere il polpo mocio, ci aveva camminato sopra beatamente. Big foot.

“Beh, dai, poteva andare peggio.”

Ah, collega, hai ragione. Visti i tempi di oggi, avrebbe potuto lanciarci la bevanda direttamente contro lo screen di plastica solo per sfregio. Per lo meno, la cliente ci ha avvisati della diga distrutta in mezzo alla merce.



Ho avuto anche conversazioni bizzarre con gente meno avvelenata. Una signora in serio panico, aveva bisogno di un pennarello marrone. Ma doveva essere marrone, eh. Credo che dopo aver pronunciato la parola marrone così tante volte, avesse ormai perso senso tutto, il negozio, la nostra esistenza, il cosmo stesso.

Che okay, raccontata scritta così non fa neanche ridere, ma sul momento mi ha reso isterica. Brownbrownbrown.

“Avete un pennarello marrone?”

“Marrone?”

“Sì, marrone.”

“Forse nei set.”

“No, no, solo marrone.”

“Marrone?”

“Sì, sì, solo marrone.”

“Ma singolo?”

“Uno solo marrone.”

“Uhm.”

“Sì, forse è un richiesta strana, un pennarello marrone.”

Mi chiedo se sia il mio senso dell’umorismo che stia regredendo o se sia solo colpa del negozio, le mascherine e i fumi del gel antibatterico. O un mix di tutto. Boh.

Alla prossima!

Volete un tè alla pesca? Si può tirare su con la cannuccia di carta se volete.

May be an image of flower and nature
Albero in fiore nel giardino dietro casa durante i giorni di sole, quindi non oggi.

Come (non) ammazzare il cliente e vivere felici

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Foto del centro qualche giorno fa, zero turisti, zero persone.

Il cliente ha sempre ragione, il cliente ha sempre ragione, il cliente ha sempre ragione, è un mantra che ha davvero stancato, vi devo dire la verità; il cliente non è una creatura mitologica sacra, né un arcangelo a dodici ali venuto giù dal cielo per annunciarvi la salvezza divina, né una creatura occulta che può portare sventura su di te, la tua famiglia e la tua mucca (citazione).

La’, hai stancato co ‘sti clienti, ringrazia che lavori e sta in silenzio.

Ma chi dice nulla contro il lavoro in sè: butto tutti gli scatoloni che vuoi, rifaccio gli scaffali se me lo chiedi, pulisco anche la pipì santissima del bambino perso dentro il negozio senza mamma dietro perché persa sul suo cellulare – e questo è pure troppo. Non voglio mica crocifiggere il bambino in pieno spannolimento, chi non se l’è fatta addosso non è un essere umano, ma al primo “mamma bagno”, tu, oh madre scozzese, attivati.

Ma andiamo oltre, andiamo oltre. 

Perchè scrivo questo articolo? Perchè non posso lasciarvi senza aggiornamenti, devo raccontarvi le cronache dall’acquario sommerso di bacilli, devo.

Ho trovato i miei colleghi più nervosi di prima, ma credo sia del tutto naturale dopo mesi di chiusura, ritrovadosi davanti a della gente che sembra essere diventata peggio di prima: stai fresco a meditare! Con certa gente, non ce la puoi fare, no, nemmeno se provi a sognare ad occhi aperti.

E quando ci si mette pure la compagnia che va in ansia pre-Natale, ecco, lì vorresti solo dare fuoco a tutto per protesta, lasciando solo un misero cumulo di cenere e tornare allo stato naturale.

“Ma la colpa è vostra”

Ricorderete di quando trovai slime e glitter ovunque nello stand riservato ai giocattoli: ecco, immaginatevi che gioia quando l’altro giorno è successo un finimondo simile.

Non c’erano chissà quante persone oltre a me e ad un mio giovane collega: dico giovane perchè non ha ancora vent’anni, quando io sono più vicina ai trenta (non è vero, sono una ragazzina).

Ad un certo punto, una mamma (Karen) che era entrata poco prima nel negozio con una mezza dozzina di bambini – saranno stati tutti suoi? Erano nipoti? Figli di amici? Chissà – arriva a passo deciso alla cassa e annuncia con sottofondo il pianto di un pupo, “si è rotta una di quelle palline viscide vostre”.

Ovvio no, le cose viscide si rompono da sole, che non lo sapete? Lo sanno tutti. A volte basta guardarle ed esplodono.

explode nuclear explosion GIF by Star Wars
Rappresentazione grafica di una roba che esplode.

Il mio collega si è mosso per primo essendo più vicino, replicando con un passivo-aggressivo “nessun problema, però evitate di toccare le cose se non dovete comprarle.”

Non l’avesse mai detto.

C’è stato un attimo di silenzio, non ho udito nemmeno il bambino piangere, ho trattenuto il respiro: mi sono sentita come in un film western, nascosta dietro la finestra del saloon in lunghe sottane ad osservare i pistoleri pronti a fare fuoco.

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I clienti ed il commesso.

La nostra Karen ha fatto prima una smorfia, forse pensando di esser stata criticata del suo ruolo di madre/educatrice/balia, per poi sbottare, “ma la colpa è vostra che non avete le confezioni di plastica.”

Ma come!? Stiamo cercando di esser tutti plastic free, usiamo le borse di yuta, facciamo gli ecologisti e poi la colpa è nostra che non abbiamo le confezioni di plastica? Mah.

A quel punto mi sono avvicinata anche io con degli scottex in mano, raccogliendo lo schifo e ringraziando che il danno non fosse stato catastrofico, “don’t worry, don’t worry”,” ho detto subito, evitando che il mio collega uccidesse giustamente Karen. Lui è andato nel retro a prendere il mocho schiumante di rabbia, la cliente ha strattonato via il figlio piangente, seguita dagli altri della compagnia dell’anello comprando non ricordo che cosa ed andandosene per sempre.

Ho sorriso da brava Barbie durante tutta la durata, forse risultando psicopatica. “Sono cose che capitano,” ho detto da brava scimmietta ammaestrata, “non si preoccupi.”

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Grazie ed arrivederci.

Al ritorno del mio collega, ci siamo chiesti del perché certa gente esista a priori: se fosse stato mio connazionale, avrei esplicitamente espresso che le mani se le dovrebbero mettere nelle loro graziosissime tasche.

Oh, però Karen aveva la mascherina su bocca e naso.

Non si può volere tutto dalla vita, no?

Alla prossima.

Avventure da dentro l’acquario: clienti mascherati e sterline perse

Da quando sono dietro il visore e gli schermi di plastica alla cassa, sono diventata un pesce tropicale, ci manca solo la persona simpatica di turno che picchietta con il dito stile acquario e abbiamo fatto.

Semmai lo ha fatto un mio collega per sdrammatizzare la situazione, visto che se ci pensiamo troppo viene solo da piangere.

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Pensa positivo, pensa positivo, pensa positivo…

Ovviamente è diventato difficile capire il cliente di turno over 70, mettici pure le loro mascherine che coprono ogni parola pronunciata ed ecco qua il teatro dell’assurdo.

Vuole una busta?

Eh?

Vuole una busta?

ASDAFJKAGJlskfd—- nah.

Il cliente a quel punto parla aramaico antico ed evoca uno spirito, portando carestia e pestilenza.


L’altro giorno, mentre offrivo offerte speciali ad una coppietta munita di visori anche loro, il signore ignora totalmente le mie parole per dirmi, sembri polacca dall’accento!

In quel momento mi sono passati davanti tutti gli anni passati sui libri a studiare grammatica, accenti britannici e quant’altro.

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Ah.

Ma che ci frega delle dentali, delle sonore e non, della T troppo forte o della B di Bag (busta) che cerco di dire il meno pronunciata possibile, se poi arriva il nonnino di turno che ti sgama.

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Goodbye.

Ah, no, non sono polacca.

Eh, ma infatti ho detto che suoni polacca, eh eh eh, semmai forse qualche accento dell’est Europa ma non sei British.

Vengo dall’Italia, eh eh. 

Est Europa, no?

La signora che non aveva detto niente fino a quel punto, si illumina e mi sorride, dicendo un CIAO! che più anglosassone non si può, muovendo la mano munita di card per salutarmi.

Eh, ecco, non venivi da qui, dice lui trionfale.

Bravo signore, però non ha vinto sconti con il negozio, ritenti la prossima volta.

Arrivederci.

Almeno loro non sono come il cliente abituale pre-lockdown che mi salutava dicendo tutte le parolaccie che conosceva in italiano, potrebbe andare peggio.

Potrebbe tornare.


I clienti arrivano ad ondate, qualcuno più timido di altri; le famigliole entrano allegramente muniti di pupi che sono in vacanza da scuola, chi con le mascherine, chi senza perchè non sanno leggere i cartelli.

Ripeto, io ho il visore perchè va di moda e sta in tono con le scarpe, eh già.

Ho gestito una coda alla cassa notevole che non capitava da parecchio, risolvendo anche la crisi della sterlina perduta: la signora allunga una banconota da 5 per pagare 4, le dò il resto di 1£ e la donna lo fa cadere per terra.

Sapete che fine ha fatto? Io no, ho smontato tutte scatole e scatoline che erano lì sotto, ma niente eh. So solo che le ho dato un altro resto per mandarla via, perchè la gente in coda iniziava a spazientirsi: immagino che qualche furbastro se la sia instascata.

Eh, scusami tanto eh, scusami.

Ma si figuri signora, in tempi di coronavirus mi crocifiggeranno in piazza per aver perso la sacra sterlina con l’effige della Regina Elisabetta.

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Dal 24 luglio le mascherine sono obbligatorie nei negozi in Inghilterra, ma non è niente di nuovo visto che in Scozia già lo facevamo; sarà perchè adesso lo deve fare anche Londra, ma sono arrivate una miriade di e-mail avvisandoci su come indossarla a lavoro, nel bus, in giro per strada o dal medico.

Ecco, credevo che fosse ridicolo dover spiegare alle persone come indossare una mascherina, ma non lo è proprio. Di indossatori matti seriali ce ne sono di ogni tipo ed ovviamente, sono entrati tutti nel negozio.

Il Bandito

L’indossatore di mascherina sotto il naso: un classico, il soggetto indossa la mascherina coprendo solo la bocca ma lasciando il naso all’aperto, appendice che prende il sole (?) beatamente. Il motivo di questo comportamento è molto semplice, visto che alla domanda perchè non ti copri la faccia? La risposta è quasi sempre eh, ma non respiro. Certo.

Il Pattinatore

Il pattinatore è tale poiché indossa la mascherina sui gomiti: raro da avvistare, si lega la mascherina intorno alle braccia e la mascherina penzola stile gomitiera troppo larga. Gli mancano solo i pattini ed è pronto per le Olimpiadi che non ci saranno. Se per caso ne porta una per gomito, una apparterrà a un possibile figlio/nipote/fidanzata stanco/a di avercela in faccia.

Il Giocatore di Rugby

Quando bocca e naso sono in libertà, questo essere si copre solo il mento, mascherina attaccata stirata dalle orecchie che si piegano a mo’ di ali. L’indossatore spicca il volo, fiero di non attenersi alle regole, magari guardandoti con aria di sfida mentre indossi il visore di plastica anti schizzo tossico, schiumando di caldo. Lui è intelligente, ha capito tutto della vita, tu no.

Il Ninja

Il Ninja è ancora bambino, se la mette legata alla testa e scorrazza per i negozi indisturbato: il genitore non ha idea di dove si trovi naso e booca, ergo il pargolo fa come vuole, coprendosi la fronte. Dopotutto, è risaputo che i bacilli partano dalla fronte per infettare il resto del mondo, no? Di solito ha dei pupazzi disegnati sopra, da Baby Shark a Minecraft, fino al classicissimo Paw Patrol con i cagnolini spiritati.

Il Commensale

La mascherina è legata al collo a mo’ di bavaglino, copre il collo o la scollature pseudo estiva, ma non è che sia utile a qualcosa. Tanto vale mettersi un vero bavaglino o uno scialle per copririsi, ma no, i tempi di oggi sono duri e hanno bisogno della mascherina perchè questo è il 2020.


Il detto dice, il mondo è bello perchè vario. 

Mah.

Forse il mondo sì, ma l’acquario un po’ meno.

Alla prossima!

Un puffo blu saldatore ci salverà

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I Prices Street Garderns, una domenica mattina deserta

Per chi si fosse perso la puntata precedente, le mascherine sembravano non essere ancora obbligatorie qui in Scozia: colpo di scena, adesso se le devono mettere tutti per entrare nei centri commerciali, negozi vari e stare sui bus.

Ho messo piede nel negozio a saracinesche abbassate, dopo quasi tre mesi e mezzo di lockdown, per dare una mano nel sistemare la merce nuova e togliere quella vecchia pasquale; vestita comoda, con i capelli a cascata con un mezzo laccetto a tenerli presentabili, la mascherina nera in faccia, ho tolto almeno un centinaio di prezzi per mettere quelli nuovi.

Ho ascoltato colleghi che mi raccontavano di come non vedessero le famiglie da marzo, chi da febbraio, chi aveva saltato la Pasqua tutti insieme allegramente stile Mulino Bianco Anglosassone; quando ho detto che non vedevo nessuno da Natale si sono spenti un po’, forse per un attimo si sono ricordati che no, non ho familiari in Inghilterra dai quali passare la quarantena in giardino.

E poi riempi gli scatoloni, sistema le penne, decifra le fotocopie sui nuovi comportamenti da tenere in negozio, sposta le penne, rileggi le fotocopie, striscia per terra con un metro mezzo rotto in mano per capire quanto siano effettivamente i 2 metri della distanza di sicurezza (sì, qui qualche collega non ha tanta dimestichezza con i metri, abituato ai piedi e pollici).

La prossima settimana si riapre ai clienti in sicurezza, forse pure con tanto di visiere da farmi diventare un puffo blu saldatore pronto a servire i clienti scatarrosi – se ci saranno.

Già.

Ho fatto un giro per il centro ed è stato surreale camminare per le stradine vuote, con i negozi chiusi e numero turisti pari a 0. Qualcuno non ce la farà proprio a ripartire, la mazzata del covid-19 è stata grossa da far chiudere le attività.

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Camminando per la Royal Mile: non capita mai di poter scattare delle foto senza nessuno in giro.

Ho visto due turisti di numero che scattavano qualche fotografia in mezzo alla Royal Mile, con i loro borsoni in spalla e mascherine in faccia: mi immagino già in un futuro (quale?) chissà quanto lontano a rivedere queste foto, a pensare a quanto respiravamo meglio prima con lo smog.

Ah, no.

Non respiravamo lo stesso, avevamo sempre un altro problema.

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Macchine? Dove sono le macchine?

Un grande mah.

Vi farò sapere: nel frattempo, fate i bravi e mascherinatevi tutti che rendete una commessa contenta.

Alla prossima!

Chiudere o non chiudere, cronache dal Regno Unito ai tempi del coronavirus

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Chiesa di San Cuthbert, Edimburgo.

Le scuole in Regno Unito hanno chiuso venerdì, dopo tanti vedremo, chissà, detti a mezza voce; era inevitabile che si arrivasse ad una decisione simile, decisione pari a nulla se confrontata con quelle prese in giro per l’Europa. Il social distancing, ovvero la distanza di sicurezza da mantenere da persona a persona di almeno un metro, non viene applicata a dovere, ve lo garantisco.

Qui ad Edimburgo hanno chiuso i ristoranti, i pub, i musei, il castello, le attrazioni per turisti in generale, turisti che nel migliore dei casi sono in quarantena nel loro paese ad aspettare che tutto torni alla normalità.

Chi può lavora da casa, mentre qualche negozio ha chiuso a tempo indeterminato, vedi Primark (abbigliamento) o la Apple (telefonia) per salvaguardare i clienti e il loro staff.

Eh.

Per quanto riguarda la compagnia per cui lavoro, hanno lasciato inendere tra le tante belle parole che non si chiuderà fino ad una direttiva ufficiale ufficiosa del Governo: e ci credo, stanno vendendo manco fosse Natale, vogliono salvaguardare il loro business.

Certo, un Natale oscuro ed incerto, senza Babbo Natale, regali ed una data sicura.

Quando mi trovo in negozio sembra che debba accadere qualcosa da un momento all’altro: non si sa bene che cosa, ma si percepisce un’ombra sui libri e giochi patinati, un suono distorto sotto la musica allegra.

Se prima ero l’unica a preoccuparmi, le notizie dall’Italia stanno iniziando a colpire anche il resto dello staff (o quasi). Qualcuno mi ha chiesto notizie in generale, altri mi hanno chiesto se la mia famiglia stesse bene o come stessero vivendo in quarantena.

Punto Interrogativo, Importante, Segno, Problema

Quando chiuderemo? Ma perché, chiuderemo? Resteremo aperti per sempre, assieme ai supermarket? Posso stare a casa? Me ne sto in autoisolamento? O vengo lo stesso e rischio? E se mi ammalo? E se non mi ammalo, ma poi mi ammalo lo stesso? E lo stipendio, come campo?

– Tante domande che ho sentito, poche risposte chiare per ora.

Accanto alla cassa sono apparsi cartelli che invitano ad usare la carta per pagare ed evitare il contatto fisico, evitare di far girare la moneta batteriologica; qualcuno ha la premura di indossare i guanti, altri se ne strafregano e ti passano le monete dopo averti toccato la mano a dovere.

Se agli over 70 hanno detto di restare in casa, qualche signore entra a testa alta e va alla cassa giustificandosi con un “mi annoio, fa niente pure se mi ammalo,” lasciandomi basita.

Il gel per le mani è introvabile, niente di nuovo lo so: un negozio vicino a quello per cui lavoro ha avuto una consegna speciale di gel che è finito nel giro di due ore, con tanto di litigi a tutto spiano. Già, pare che una signora volesse portarsene via una dozzina ma è stata fermata dalla commessa: solo uno a persona, ha ricordato, facendola diventare paonazza.

Eh, ma io li compro per tutta la mia famiglia.

E io invece ci condisco la pasta, sa, quel sapore di aloe vera mista ad alcool è sublime, che bontà.

Roba da matti, storie uguali a tante altre che si sentono in giro per il mondo: altruismo zero. Basti pensare ai supermarket, dove i panic buyers hanno saccheggiato pure farina, pane, frutta e verdura: chi non può fare una grande spesa o stacca da lavoro la sera, non trova nulla sugli scaffali, restandosene a mani vuote. Si stanno organizzando in questi giorni per dedicare la prima ora solo per gli anziani, i disabili e lo staff medico (NHS).

E meno male.

Le mascherine in giro per le strade sono poche, ma iniziano a fioccare timide qua e là, qualcuno usa un foulard e si getta intrepido nella folla che non dovrebbe essere lì.

Qualche collega ha deciso di restare a casa: non se la sentono di stare a contatto con le decine e decine di persone che entrano nel negozio a caccia di puzzle.

E fanno bene, perché lo farei anche io.

Ma resisto, per ora.

Adesso è primavera e per gli scozzesi i primi raggi di sole sono irresistibili: quanto vorrei far vedere a tutti le scene dall’Italia, cosa sta succedendo nel mio paese.

Ho raccontato di Bergamo ad una collega che ha sgranato gli occhi.

Ma come sempre, lavatevi le mani e non state troppo vicini, dice Johnson.

Imparare l’inglese da capo: altro che i libri di scuola

Se mi seguite da tempo, saprete sicuramente della mia grande passione per la lingua inglese e di tutti i suoi accenti e varianti: avevo scritto anche un articolo informativo un po’ di tempo fa.

Da quando mi trovo a contatto con la gente del posto qui ad Edimburgo, ho capito che 23 anni di lingua inglese su 26 di vita sono stati del tutto fuorvianti: non troverai mai nella vita reale gli esempi identici e spiccicati presentati nei libri di scuola.

Me l’aspettavo eh, sarei stata molto naive nel pensare che ci fosse anche la musica strumentale di sottofondo ad accompagnarmi sul bus e il narratore annunciare, “Laura goes to work, page 1 exercise 3” (Laura va a lavoro, pagina 1 esercizio 3).

Tipica scena idilliaca nei libri di lingua a scuola, magari nel capitolo “Al Ristorante”.

C’è il signore coi baffi e gli occhiali che parla con voce roca, emette suoni gutturali che sì, sono parole dette a metà, si perdono nel discorso scozzese: scopri più tardi che chiedeva informazioni su una squadra di calcio locale, ma avrei fatto una figuraccia pure in Italia, non ci ho mai capito niente.

Oppure il ragazzo indiano che ti chiede informazioni su cosa comprare al figlio in un inglese stentato, facendoti fare il tour guidato del negozio, per poi andandosene insoddisfatto.

O come non parlare della donna di nome Mary che ti fa lo spelling del nome alla velocità della luce, facendoti dubitare anche della tua conoscenza dell’alfabeto base? Se masticate un po’ di lingua, saprete che la A è pronunciata “ei” in inglese.

Come mai lo potrà dire una signora sulla sessantina locale scozzese doc?

“Em, Eeeee…”

“Ei?”

“Eeeee!”

Buonanotte.

Certo, che poi la signora in questione abbia mormorato sotto voce “questa non capisce niente” all’amica sua, l’ho capito pure bene, peccato non aver avuto il tempo di replicare nella confusione pre-natalizia da negozio a novembre.

Ergo qualcosa lo capisco, signora: provi lei a parlare con una persona di una certa età di Napoli, Roma, Belluno usando l’italiano imparato sui libri.

Porti pazienza.


Ho raccontato al mio manager di quanto me la cavassi in lingua inglese a scuola e di come alla fin fine riesca a capire il 99% delle conversazioni (grazie al cielo): si è fatto una risata dicendomi che non ho mai avuto a che fare con degli scozzesi di Scozia.

E ha ragione, ma se fossi stata proprio rubbish, probabilmente neanche mi avrebbero considerato a fare il colloquio in primis. Poteva andarmi sicuramente peggio: a Glasgow ricordo che l’accento fosse più duro di qui.

Se magari parlassero un attimino più piano, eh, saremmo tutti più contenti.

Ma chissà, magari tra un anno capirò senza sforzi anche loro, con buona pace dei vecchi libri di inglese.

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Il Castello di Edimburgo al tramonto alle 16 e 20 di pomeriggio. A novembre il sole non piace.

PS: un mio supervisore ha detto che se parlasse italiano come parlo inglese, potrebbe dire di sapere l’italiano: buono, no?