2023 seconda parte – let’s go! 😎

Qualcuno starà in ferie, altri avranno finito, ma intanto qui le scuole hanno già riaperto, why not. Avevo già scritto un po’ di volte di come il 15 di Agosto si potessero vedere ragazzini in divisa invernale, con tanto di cartella pesante sulle spalle, quindi niente di nuovo. Per dire, sono uscita oggi e un signore aveva il cappotto pesante che penso sia esagerato anche per il clima lunatico di qui. Piove, piove, poi esce il sole e sudi, poi piove di nuovo e sudi ancora perché è pur sempre estate. Comprendo i confusi che indossano ciabatta aperta pelosa ed impermeabile a questo punto. Ma poi vabbè, c’è il Fringe Festival in città fino a fine mese, non dà nell’occhio nessuno.

☀️Di sicuro niente a che vedere con il clima mediterraneo infernale – posso confermare anche io – visto che questa stagione me la sono passata buona parte a morirmi di caldo in Italia, perché a me non piace il caldo. Ha senso? Non proprio. Ma il mare merita sempre una visita, anche perché è l’unico posto dove si respira – in acqua. Ho un minimo di abbronzatura che non vedevo da anni e sono sopravvissuta con il ventilatore puntato addosso al massimo. Ah, ecco perché vivo in Scozia, giusto.

Io e Fidanzato siamo tornati con un volo notturno che ha fatto un ritardo di un’ora e mezza, capitati in mezzo ad una perturbazione con i fiocchi quando arrivati sulla stretto della Manica. Nel bel mezzo del servizio di cene e drink dal carrello sgangherato, il capitano ha chiesto gentilmente allo staff di andarsi a sedere. Bello, molto bello, da rifare, esperienza TARDIS di Docotor Who compresa nel biglietto aereo.

“Immagina se cadiamo giù!” Ma anche no, stellina bella, che vai a dire, mi fai come quella bambina inglese all’aeroporto con il papà che tutta emozionata e sorridente diceva “Daddy we are going to fall, daddy we are going to DIE!” (“Papà cadremo, papà moriremo”). Istinti suicidi alla tenera età di nemmeno 3 anni. Piccoli emo crescono, sono commossa.

🛬Poi siamo arrivati a destinazione, fatto il controllo passaporti, recuperato la valigia di Fidanzato anche troppo velocemente, ed aspettato un Uber che sembrava non giungere mai. Ci siamo fatti a piedi mezzo parcheggio davanti l’aeroporto perché non si capisce una ceppa di dove dover aspettare questi benedetti Uber che sono trattati come il figlio povero e disgraziato della famiglia. Sì, la diatriba con i Taxi c’è anche qui a Edimburgo, solo che fondamentalmente se vuoi fare l’autista Uber deve prenderti la licenza come un taxista e lavori con la tua auto per il comune. Se sei invece un taxista lavori per una delle agenzie della città e con le loro auto nere, fine.

La mia testa ha toccato cuscino alle 3 del mattino.

Mia mamma mi è venuta a trovare con mia sorella e ho fatto la turista e la tour operator insieme. Alla terza giornata forse mi avrebbero volentieri licenziata, ma mi faccio anche volere bene delle volte. Non possono dire di non aver visitato Edimburgo come si deve – forse. Siamo andate a vedere il Royal Yacth Britannia dove tempo fa la Regina ci faceva i suoi giretti dal 1954 fino al 1997, così posso dire di aver visto il letto dove dormiva quando andavano in mare o aver fatto io il saluto sul ponte rialzato con balaustre importanti a coprire le gambe e sottane reali. Dovrei farci un articolo dettagliato, o magari sarà solo una di quelle cose che si dicono per dire, come i caffè che non si vanno mai a prendere al bar. Dovremmo uscire insieme un giorno! Sì! E non uscirono mai più.

Tra un po’ inizio il college e sono di nuovo in quello stato di pre-primo giorno di scuola, solo che adesso non puoi metterti a fare i capricci o a chiedere di tornare a casa in lacrime alla mamma, insomma, uno ha anche una dignità e pare brutto. E la mia mamma ci metterebbe pure un po’ a venirmi a prendere, aerei permettendo. Parte dei miei compagni di corso continueranno insieme, io da brava ragazza che sono continuo per un altro dipartimento. Evviva!

🇯🇵Ah, mi sono appassionata ai drama Giapponesi. Il salto video giochi – serie TV è stato quasi naturale, ci si tiene impegnati. Da che avevo la scusa del “li guardo solo per imparare la lingua”, in realtà mi sono appassionata da fare invidia alle vecchiette incollate a Cento Vetrine il pomeriggio. Sono un guilty pleasure.

Buon rientro, buon tutto, keep up the good work gente, ci sentiamo alla prossima (?).

Intanto, qui piove di nuovo. Ah, no c’è il sole. Ah no – vabbè, avete capito.

The Beatles Story Museum – Liverpool

Di tour, bus e musei sui Beatles non ne mancano di certo a Liverpool, città natale di una delle band più influenti e famose al mondo. Al che per scegliere, mi sono fidata di Tripadvisor e devo dire di aver fatto bene: The Beatles Story merita sicuramente una visita, o più di una se siete grandi fan.

L’entrata del museo

Situato nel suggestivo Royal Albert Dock, è difficile farselo scappare: la musica dei Beatles risuona per il quartiere, facendo da sottofondo ai vacanzieri seduti ai tavolini del locale poco più in là: ci passi 10 minuti e ti rendi conto che fanno passare però le stesse 3 canzoni messe in croce di 13 album e quintali di materiale. Mmm. Però vabbè, chissene frega, si scendono le scale e si va dritti a fare i biglietti, prendendosi anche l’audioguida inclusa nel prezzo.

Si segue un percorso ben delineato, dalla nascita dei Fab Four, alle prime band e concerti in simpatia; al periodo in Germania e il Cavern Club di Liverpool, quest’ultimo ricreato nello spazio del museo.

Ricostruzione del Cavern Club

Praticamente ancora ragazzini, con le giacche di pelle e pantaloni attillati, avevano riscosso non poco successo. Ascoltando la mia guida, mi veniva da sorridere a pensare a queste signore che una volta facevano carte false per restare fuori fino a tardi per andarsi a divertire, bere e stare in compagnia: un po’ come quando avrei pagato oro per starmene le ore sotto l’Intendenza di Finanza a Latina, ad atteggiarmi da grande ad ascoltare i Nirvana. Certo, queste signore possono dire di avere avuto a che fare con i Beatles: quindi non me ne voglia Fidanzato che resterà sempre il mio batterista preferito dopo Ringo Starr.

Un biglietto per i Beatles al Cavern Club

E quindi non può mancare la storia di Brian Epstein, il manager della band nonché il “quinto” Beatles, e dello studio di Abbey Road. Lo spazio è stato riprodotto fedelmente ed è interessante affacciarsi per vedere gli strumenti lasciati lì, come se da un momento all’altro debba tornare qualcuno per suonarli. Durante la visita, finisce una track della guida e così ne cerco un’altra, mentre scatto foto a più non posso; c’è un gran silenzio, interrotto dai passi dei visitatori come me e per un attimo sembra di essere in chiesa.

Più avanti si parla della Beatlemania, al loro periodo negli Stati Uniti, dove sconvolgono le masse di teenagers con la loro musica: tutti li vogliono e tutti vogliono essere come loro. Non mancano quindi gadgets come magneti, cartoline, perfino calze con i volti dei Beatles su di esse… Passando prima per la riproduzione dell’aereo su cui viaggiarono!

Una sezione del museo è dedicata ovviamente a Yellow Submarine, il cartone animato psichedelico del 1968, nonché il film che per molti Millennials è stata l’introduzione ai Beatles: di sicuro lo è stato per me, tanto che per anni è stato un comfort movie, quel cartone che riguardi più volte con piacere e che non ti stanchi mai di seguire. Si parla anche del film Help! ovviamente, con tanto di locandina.

Molto interessante la parte finale della visita, con sezioni per il loro perido in India e singole zone dedicate ad ogni singolo membro della band dopo la rottura: c’è perfino la riproduzione della white room, famosa location del video di Imagine di John Lennon, oltre che i suoi iconici occhiali sotto teca.

Finita la visita riconsegni audioguida con cuffie annesse, ritrovandoti così nel café e successivamente nel negozio con souvenir di ogni tipo. Da brava ragazza che sono, ho pure fatto visita ai bagni che sono fantastici e in tema sottomarino giallo anche loro, ridevo come una scema mentre mi lavavo le mani e canticchiavo “She Loves You YEAH YEAH YEAH!”

Fuori ci sono 32°, il sole spacca le pietre e i camioncini vendono gelati al modico prezzo di 5£ a conetto(!!!). I gabbiani polletto fanno il bagno e un po’ fanno invidia, ma solo un po’, perché che ne vuoi che se ne faccia un polletto dei Beatles: non ne ha idea.

Qui il sito ufficiale del museo.

Welcome Back! Forse è meglio andare a piedi.

Gli omini salva-vita della Ryanair che ti accompagnano per tutto il tuo viaggio

Viaggiare con la Ryanair è un’esperienza che toglie letteralmente il fiato: se per la malaugurata sorte, il tuo aereo partirà per l’ora di pranzo con un’ora di ritardo, l’aria si riempirà di odori sopraffini di panini precotti, pizzette, birra e vino di accompagnamento. Buon appetito. E se le mascherine adesso sono a scelta, te ne penti di indossarla quando la zaffata di cipolla raggiunge le tue povere narici.

Poi oh, metti caso devi anche alzarti per usufruire del bagno, che fai non ci vai? Ti alzi e ti fai sottile sottile, raggiungendo la porta della toilette-loculo, cercando di ricordarti la funzione di una semplicissima maniglia. La giovane hostess nel frattempo prepara il carrello perché è ora degli snack-profumi-acqua santa.

E lo sai già, sì, lo sai che hai scelto il momento peggiore per andare al bagno: quando hai finito ed esci dallo stanzino, il carrello e la hostess sono davanti a te sbarrandoti la strada verso il tanto agognato posto. Inizia la processione, stazione dopo stazione con il capo chino, offerta dopo offerta. Una carta non funziona, il pin è errato, spiacente non accettiamo cash e via, si perde ulteriore tempo. La testa di Fidanzato spicca dal sedile e sembra solo allontanarsi sempre di più.

Il passaggero accanto al tuo posto si alza per pietà. Esiste ancora gente cortese al mondo.

L’occhio stanco si chiude, fluttui nel dormi-veglia infernale cullato dal cuscino soffocante da viaggio, quando una voce ti desta all’improvviso: è il tuo capitano a 4000 decibel che ti fa sapere che siete quasi arrivati a destinazione. Nello spavento dai anche una gomitata al tuo vicino di posto, che non è Fidanzato, è il poveraccio che per pura sfiga si trova accanto a te durante questa lunga tratta.

Ma non fa niente, non fa niente. Ancora è vivo, non si è fatto male. Era il modo per ringraziarlo della cortesia precedente.

Il paesaggio sotto cambia, si passa la Manica ed arriva puntuale il Regno Unito con le sue nuvole fitte fitte che sembrano dire “stiamo bene qui Europa, crepate di caldo”. Tempo mezz’ora e l’aereo finalmente tocca terra, sequestrando equipaggio e passeggeri per un tempo che sembra immenso, causa mancanza di personale di terra all’aeroporto di Edimburgo.

Traduzione: mancava la scaletta.

“Signori, un attimo, cercherò di capire cosa sta accadendo, ci scusiamo per il disagio.” Il povero capitano è stanco e provato tanto quanto l’aereo stesso. L’aria condizionata spenta all’arrivo, viene riaccesa per non asfissiare i passeggeri zuppi di sudore.

In lontananza, ecco tre ragazzi di corsa che giungono in soccorso.

“Fateci scenneeeeee!!!” Urla qualcuno, scalpitando per un piatto di haggis e Mars fritti locali.

Si scende.

Ed anche oggi, non si dorme in aereo.

Yep.

Si parla dell’arrivo di un’ondata di caldo anomala, la gente sta correndo ai ripari per lunedì e martedì, quando le temperature quissù toccheranno i 30 gradi. Vi farò sapere come se la caverà la fauna del posto, non abituata ai 40 gradi all’ombra italiani durante una semplice gita a Roma.

Estate in vista: sole, turisti, vaccini e gli immancabili gabbiani

Dopo un po’ di assenza dal blog, torno con un aggiornamento: che fine ho fatto? Sono ancora qui, dove dovrei mai andare! Solo che ho avuto alcune settimane intense tra lavoro a far la trottola per la città e Fidanzato con il vaccino.

Arrivato giugno, Edimburgo regala qualche giornata estiva di caldo improvviso: abbiamo raggiunto i 24° che per gli abitanti di qua è sinonimo di vestitini estivi, bibitoni XXL pannati dallo Starbucks, birra ghiacciata sotto il sole con la panza di fuori seduti al pub e mascherina penzolante da un orecchio sudato.

Che brutta visione, scusate, mi faccio perdonare.

Calton Hill

Ecco, rifacciamoci gli occhi.

Mi sono presa un po’ di sole anche io, ricordandomi dell’esistenza della palla infuocata nel cielo che se ci si mette scalda pure qui, sperduti in mezzo alle montagne. Le prime giornate di calura me le sono passate dentro il negozio, correndo fuori all’aria aperta per la pausa, attenta a non farmi mangiare la merenda dai gabbiani: da quando ho assistito ad un gabbiano mangiare un panino intero di un turista a Glasgow, la mia vigilanza è costante.

E adesso che sono anche in fase da genitori apprensivi (sì, ci sono i pulcini nei nidi) sono ancora più pericolosi.

Un piccolo l’anno scorso

Summer Time

La compagnia ha pure organizzato delle giornate a tema ESTATE, dicendoci che potevamo vestirci come più ci piaceva: cappelli, occhiali da sole, vestitini. Non ho potuto indossare infradito, pantaloncini e canottiera poichè: 1. la maggioranza dei miei fantastici outfit estivi si trova ancora in Italia e 2. la temperatura di 18°di quel giorno non mi sembrava così eccessiva da dovermi denudare in negozio.

Io al negozio

Se avessi deciso di comprare un cappello e degli occhiali da sole, il risultato sarebbe stato più simile a non voglio farmi scoprire da nessuno sono un’infiltrata del KGB piuttosto che ad una vacanziera. Aggiungete anche che dovevo stare dietro una cassa, roba da far chiamare la polizia a qualche vecchina dal cuore debole.

Ammetto che la mia compagnia e l’Italia abbiano una concezione del tutto diversa di estate.

Sono finita a lavorare anche ad un altro negozio della stessa catena per cui lavoro, trovandomi sorpresa nel servire turisti che in fin dei conti ci sono eccome al centro città: ovviamente, parlo di persone provenienti dall’Inghilterra, il loro accento inconfondibile poiché riuscivo a capirlo senza dover fare i salti mortali. Oh, guarda, sembrano usciti dal CD di inglese del ’98. Che poi vabbè, dopo quasi 3 anni qui, la comprensione linguistica è migliorata parecchio: il mio vecchio manager aveva il turbo e se doveva dirmi qualcosa non è che poteva farmi i disegnini da un lato all’altro del negozio.

I vaccini

Ed arriviamo anche al tanto famoso vaccino che io ancora devo fare: ho l’appuntamento a fine mese, mentre Fidanzato già ha fatto la sua prima dose la scorsa settimana. Lui è entrato da solo, mentre io sono rimasta fuori il centro vaccinale ex-banca pensando a come fosse bizzarro leggere in grande COVID VACCINATION CENTRE. L’avrei detto quando arrivai qui 3 anni fa? No. L’avrei scritto? Forse sì, apocalittica come sono. Nel racconto de “La Tuta” bisognava indossare una tuta al posto di una mascherina… Ma sono dettagli.

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Il centro vaccinale

Insomma, adesso aspetto solo il mio turno per andare ad incontrare un ago, che non è che mi faccia paura tanto quanto i ragni, ma se posso evitarlo lo evito. Sicuramente non era nella lista delle cose da fare prima dei 30 anni, ma siamo in ballo ergo balliamo. Almeno gli aghi non sono senzienti e non minacciano di vivere nel tuo lavandino.

E alla fine…

Domani la temperatura pare crollerà di almeno 8°, quindi se dovrò uscire tirerò fuori il cappotto che non è mai andato via: sta dietro la porta pronto ad ogni evenienza. Gioca la Scozia agli Europei di calcio ed è un’altra partita che seguiremo, forse non con le stessa veemenza di quella dell’Italia.

Come credo si sarà capito, non me ne frega niente del calcio, ma i Mondiali o gli Europei li seguo insieme a Fidanzato che per lo meno conosce le regole e me le spiega… Ma tanto, puntualmente, le dimentico e rifaccio le stesse domande alla partita successiva.

Come giusto che sia.

Al prossimo articolo, attenti ai gabbiani.

Fringe Festival, l’arte nelle strade

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Arrivata l’anno scorso la prima cosa che notai scesa dal bus aeroporto-centro città, fu la grande ruota panoramica che venne messa proprio accanto allo Scott Monument, seguita dall’orda di gente ammassata per via principale, Princes Street. Non dico che tra un po’ si soffocasse, ma tra valigie, bambini, carrozzine, bambini (già l’ho detto?), si faceva veramente fatica a camminare.

Ecco, è dal 1° del mese che la situazione è tale e quale all’anno scorso, specialmente in orario di punta pranzo/pomeriggio/sera…

Sempre. Direi sempre.

Il perché di tanta gente? Il Fringe Festival!

Musica in ogni angolo, palchi che spuntano dai muri e dal pavimento, sedie e tavolini davanti ai pub che invitano a sederti e a restarci fino al giorno dopo; e poi gli artisti di strada che improvvisano assaggi di spettacoli per tutti, ma anche acrobati e comici.

La maggioranza degli spettacoli sono pubblicizzati in ogni angolo disponibile da locandine e manifesti; altrimenti, vieni assalito da ragazzi sorridenti con la faccia truccata multicolor che ti invitano a vedere il John di turno a teatro, vendendoti anche il biglietto.

Torni a casa carico di volantini tanto che potresti metterti a darli tu in giro (a gratis).

Parodie di Game of Thrones, musical più o meno seri, spettacoli con veterani della Seconda Guerra Mondiale, produzioni per i più piccoli, comici e ancora comici: sì, la comicità va alla grande al Festival, con il loro humor nero al limite del buon gusto che forse non sarebbe tanto apprezzato in Italia.

Oggi finisce in grande stile con tanto di fuochi artificiali sparati dal Castello di Edimburgo; la ruota panoramica verrà smontata e rimontata in tempo per Natale; i turisti torneranno alle loro case e gli studenti riempiranno gli edifici fino all’orlo.

Tutto regolare.

Foto di repertorio del Fringe, alcuni artisti di strada in mezzo alla strada (mi sembra ovvio)

Che bello andare all’IKEA

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“Stretti sotto la fermata, sembriamo tutti una strana razza di pinguini con un borsone blu al posto delle uova: magari l’uovo lo si mette lì dentro per comodità…”

Andare all’IKEA è come decidere di andare a fare un viaggio lungo e tortuoso, senza sapere se e quando tornerai a casa. Mi dicono di essere esagerata, ma no, in questo caso giuro di averci azzeccato, maledetto pessimismo.

Ci servivano un paio di scatole belle da vedere in modo da poter ordinare fogli, fogliettini, quadernini e varie ed eventuali; e come posso dimenticare pure un paio di ciabatte per ospiti, visto che far camminare qualcuno su questa moquette è una condanna a morte per la stessa? Sembra di stare in Giappone, solo che non è per cultura ma per igiene: devi cercare di levarti le scarpe fraciche nel minor tempo possibile, in equilibrio precario, in modo da non insozzare irrimediabilmente la maledetta.

Comunque sia, dove andare se non all’IKEA?

L’ultima volta che ci siamo stati eravamo due zombie, trasferiti da poco e acciaccati per aver dormito su materassi che tutto erano tranne che comodi: sarebbe stato meglio riposare sul pavimento nudo. Per andare all’IKEA di Edimburgo bisogna prendere due bus da dove ci troviamo, essendo fuori città come ogni edificio IKEA che si rispetti in giro per il mondo.

Il tempo prometteva pioggia, ma anche vento, sole, neve, fate voi: il meteo è un optional.

Scendiamo dal bus con altre persone, camminando sul marciapiede che ti porta comodamente fino all’entrata dell’IKEA: per lo meno non rischi di essere messo sotto da mezzi pesanti.

Appena entri nelle porte girevoli, passetto dopo passetto, schiacciato contro gli altri clienti che come te hanno pensato di andare di sabato in quel luogo di perdizione, ti rendi conto che forse era meglio restarsene a casa. Ormai però sei lì, ti scrocchi le dita ed inizi la caccia alla roba.

La parte dell’esposizione sembra mostrarti il dito medio con tanto di linguaccia: la moquette per terra non ci sta, c’è solo il parquet. Le camere da letto sono minuscole, ma mi rendo conto che nella maggioranza delle case vecchie (fine 1800) gli spazi siano quello che sono, quindi pure l’IKEA si adatta alle necessità del paese. Dove 200 anni fa ci vivevano famiglie di 7 o 8 persone, ci hanno tirato fuori appartamenti “moderni” (eh, avoja, ma che te lo dico a fa).

Camminiamo in giro per le stanze, mi siedo su un paio di divani per la gioia delle mie membra, assaporando l’ebbrezza di riposarsi due secondi su un mobile da poter definire tale. Sarei rimasta volentieri lì dentro per viverci, ma poi sarebbe stato scomodo per la posizione in effetti.

Per lo meno ho la decenza di non togliermi le scarpe, come vedo fare a due signore che se ne stanno in un salotto con le gambe all’aria. Eh, vabbè dai scusiamole, avevano le infradito, che dovevano fare. Ma sì, allora a questo punto cuciniamoci pure nelle cucine a vista e non vi dico cosa dovremmo fare nei bagnetti allora, senza manco un bidet in mostra.

Certe stanze per bambini sono un vero e proprio parco giochi, con tanto di inquilino nel letto.

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Beato lui.

Ma dove sono queste ciabatte?

Le scatole le abbiamo trovate subito, ma delle pattine manco l’ombra: sul sito diceva che si trovassero nella zona BATH. Mi guardo intorno, circondata da asciugamani, spugne e rubinetti: sì, ci sono in bagno, ma non le vedo ‘ste ciabatte.

E ci credo che non le vedessi, le avevano ficcate nell’angolo più lontano della zona: da qui, inizio la ricerca di ciabatte di una taglia normale e non taglia Fidanzato. Vuoi la M o la S? Fai prima a cucirtele con le tende da bagno che sono lì accanto. Scava, scava, scava, ciabatte ogni dove, imprecando in un italiano forbito e benedicendo le capacità organizzative dei negozi in Scozia (ce ne sono certi che fanno accapponare la pelle, roba a terra, polvere, manca solo il topo con la divisa del negozio e via).

Fidanzato mi fa da palo, manco stessi cercando di prenderle e rubarmele tutte dentro la busta gialla IKEA: e che siamo, un albergo? Le trovo dopo aver toccato il fondo, leggendo la loro etichetta lunga quanto un papiro: la prima cosa che faccio a casa, la taglio senza pietà con un sadico luccichio negli occhi.

Ho vinto io questa volta.

L’imprevisto…

Uscire è più semplice quando non devi andare nel magazzino a caricarti di mobili megagalattici o lunghi un chilometro e mezzo; guardo con pietà una povera famiglia con almeno tre carrelli e tre ragazzini saltellanti intorno, incastrati insieme a un commesso per organizzare il trasporto. Buon divertimento.

Usciamo fuori, seguendo altre persone che come noi hanno la busta blu colma di roba: sembriamo dei piccoli sfollati, diretti verso la fermata del bus…

Ma c’è qualcosa di strano per la strada.

C’è la polizia.

La strada è chiusa, il traffico è deviato.

Sui nostri sguardi c’è una leggera preoccupazione, il sole non c’è, le nuvole grigie corrono nel cielo e lo so che ci stanno per fregare: non vedono l’ora.

Un addetto ai lavori si avvicina, spiega che ci vorrà almeno un’altra ora e mezza per riaprire la strada.

La piccola folla si incammina verso il semaforo, dondolanti di borse IKEA e cuscini che rischiano di uscire fuori da un momento all’altro: pare ci sia un’altra fermata da qualche parte.

Siamo catapultati in un quartiere tipicamente britannico: bambini che giocano sui marciapiedi, fregandosene del fatto che da un momento all’altro possa cadere giù l’Inferno. In Italia una madre sarebbe uscita fuori urlando al figlio di entrare di corsa in casa, ma qui come fai a farli entrare in casa se questo è il meglio che ti può offrire il meteo delle volte? Se io mi sto morendo di freddo, ecco due bambini che si gustano un ghiacciolo.

Punti di vista.

…E il diluvio

Il bus è sbagliato chiamarlo tale, quando il termine più adatto sarebbe nave, barca, crociera. L’acqua che è venuta giù in quel quarto d’ora non è venuta in tutta la primavera, meno male che in Scozia piove.

Stretti sotto la fermata, sembriamo tutti una strana razza di pinguini con un borsone blu al posto delle uova: magari l’uovo lo si mette lì dentro per comodità.

Ci vuole un po’ prima che il bus si faccia vedere, ma quando arriva sembra la luce alla fine del tunnel.

Tuoni, fulmini, saette.

Dal finestrino non si vede niente se non goccioloni grossi quanto noccioline colare giù e ritornare.

Altri tuoni.

Passiamo davanti a case in costruzione, una è abbandonata e pare uscita da un film horror o un romanzo di Stephen King.

Poteva andare peggio.

Conclusione

Riusciamo a raggiungere casa dopo altri venti minuti di bus, visto che al centro c’è una congestione che il mio raffreddore di un mesetto fa era nulla al confronto: il Fringe Festival è nel pieno delle festività, sai quanto gliene frega se cascano due gocce grosse come cocomeri.

La prossima volta si ordina online, con buona pace dell’IKEA.

#Heatwave, l’ondata di caldo che ha sciolto il mondo

L’ondata di caldo anomalo che si è abbattuto sull’Europa pare che stia per terminare: o meglio, dove fa caldo di norma continuerà a farlo, mentre i gradi in nord Europa scenderanno un po’. Ma va tutto bene, no? Mica ci sta un problema di surriscaldamento globale, nah, sono tutte cavolate del web. Sono fake news, non c’è stato un caldo anomalo ieri, ma che cosa dite.

#Heatwave

Diciamo che le temperature sono impazzite:

  • Parigi ha toccato i 42° di pomeriggio;
  • Londra è arrivata a 38°;
  • sia in Olanda che in Belgio le temperature sono arrivate a 40°.

Edimburgo ha raggiunto i 28° il che non sembrerebbe chissà che cosa se confrontato con le altre città, ma è pur sempre un problemone. In Scozia si sono sfiorati i 30°, quando la temperatura media estiva sarebbe intorno ai 18° (se arrivasse a 20° si farebbe festa rara).

Tutti quei numeri che ho scritto sopra, non sono normali. Sveglia, mondo.

Mi veniva un po’ da ridere a vedere queste persone in preda al panico qui in UK morire di caldo, quando un giorno in gita a Roma credo di aver sentito anche 45° e oltre. Ma anche di notte a cercare di dormire nel lontano caldo record del 2003, quando a soli 10 anni credo di aver capito cosa significasse boccheggiare.

C’è da dire però, che queste persone non sono abituate al caldo estremo come magari potremmo esserlo noi. Sia chiaro, io ho sempre detestato il caldo, ma sapevo che in estate prima o poi sarebbe sempre arrivata la mazzata. Se vivi in certi luoghi sei abituato all’idea, incrociando le dita che non ti faccia pentire di essere nato (sì).

I paesi freddi non sono attrezzati ad affrontare la calura estiva come quelli caldi. I bus sono dei forni su quattro ruote, la case scure e con il tetto spiovente sono fatte apposta per trattenere il calore all’interno; non esistono i nasoni in giro per i parchi, quindi niente fontanelle in città dove poterci ficcare la testa e rinfrescarti.

Non parliamo poi se si vuole aprire una finestra di sera! Zanzare ovunque assetate di sangue, finendo per lanciare ciabatte in giro per le stanze sperando di beccarle una volta per tutte. No, non ci sono le zanzariere, o per lo meno nel mio quartiere sembrano essere un optional radical chic: qui in casa abbiamo messo una rete da appendere davanti alla finestra, più inutile che altro. Da fuori pare un velo di una sposa fantasma.

“Fa freddo in Scozia” – Qualcuno parlando del freddo della Scozia che non c’è.

Rappresentazione  chiara del nostro mondo.

Eppure basterebbe che i grandi potenti della Terra mettessero da parte le loro avidità da piccoli uomini per pensare al bene comune una volta per tutte. Viviamo su questo puntino blu perso in un vasto universo sconosciuto e che ci facciamo?

Lo facciamo diventare un accendino.

I poli si sciolgono, tra un po’ andremo al mare in Islanda a fare castelli di sabbia in bikini. Gli Oceani diventeranno brodi primordiali dove cucinarci la zuppa, l’aria irrespirabile.

Come si dice in islandese, siamo fregati? 

Estate che viene, App che va: la nuova moda di FaceApp

Il logo di FaceApp, preso da Wikipedia.

Ogni Estate c’è una moda che si estende più o meno per tutto il globo. Mettici internet in mezzo, hai fatto un cocktail esplosivo di like e cuoricini. Non voglio fare la vecchia babbiona brontolona nel dire che qualsiasi cosa esca fuori dal web sia il male assoluto: nah, non sono così.

Più o meno.

Sono la prima che si scaricò Ruzzle, il gioco ispirato a scarabeo dove vinceva chi formava più parole nel tempo prestabilito. Ricordo lunghi viaggi in bus con il sottofondo del trillo ogni volta che veniva formata una parola dal mio vicino di posto: per lo meno, cavolo, giocaci in modalità silenziosa. Fu popolare tra il 2013 e 2014, per poi scemare e finire nel dimenticatoio.

Flappy Bird fu anche uno dei giochi più scaricati nel 2013, nonostante la semplicità della grafica e del gameplay. Si doveva cliccare sullo schermo per far volare l’uccellino giallo in un mondo fatto di pixel stile Super Mario, facendo attenzione a non sbattere contro dei tubi verdi. Sparì dalla circolazione l’anno dopo quando il creatore non riuscì a gestire lo stress causategli dall’improvvisa popolarità del gioco.

O ancora, come non nominare 2048? Nel 2014 si trovava ovunque, sui cellulari e PC. Creato da un ragazzo italiano, rimase sconvolto tanto quanto me nel vedere come milioni di utenti in tutto il mondo scaricarono la sua applicazione. Lo scopo del gioco era molto semplice: bisognava far scorrere con il dito delle piastrelle con sopra il numero ed unirle coppia a coppia (2, 4, 8, 16…) Se non lo ricordate, lo trovate qui. Ci ho passato qualche minuto scrivendo questo articolo, tanto per cambiare.

2019 – FaceApp alla riscossa

FaceApp è un’app (ma va) russa in giro dal 2017: ricordo come durante una cena c’erano un paio di persone a sghignazzare davanti al cellulare, guardandosi in versione incartapecorita sullo schermo.

Il risultato ammetto fosse impressionante.

Come funziona? Carichi una tua foto e l’app ti permette di vederti vecchio, giovane o di un altro sesso. Ci sono pacchetti a pagamento, come per vedersi con la frangia, ma quello che sta interessando tutti è gratuito. Il mondo pare dire voglio vedermi vecchio, visto che con molta probabilità la Terra ci sgrullerà di dosso prima di raggiungere una veneranda età. Insomma, altro che photoshop, ci pensa il filtro e ti togli la curiosità per un paio di secondi, magari ti fai una risata o ti metti a piangere (fate voi).

Controversie

faceapp

Ha avuto un po’ di problemi prima di diventare così virale: nel 2017 è stata criticata pesantemente poiché il filtro Hotness (più sexy) applicato su volti di persone di colore, schiariva la tonalità della pelle. Il CEO Yaronslav Goncharov si scusò per l’equivoco: era “un effetto collaterale dovuto delle reti neurali alla base del sistema di Intelligenza Artificiale.” Praticamente, avevano insegnato all’Intelligenza Artificiale dell’applicazione a riconoscere solo volti caucasici.

Si sa, le IA non si fanno da sole.

Erano anche presenti filtri che permettevano il cambio di etnia (Asian, Black and Indian filters) e furono criticati poiché considerati filtri razzisti e stereotipati. Ovviamente, sparirono dall’applicazione.

Privacy

Io non l’ho provata con mie foto, ho solo visto attori o cantanti in giro per i social: sinceramente, non ci tengo ad offrire dei miei selfie (brutti) alla società di FaceApp che come minimo se li terrà cari sui suoi server.

Sì, perché non ho trattato del problema della privacy: offriamo le nostre foto, certo, ma chi ci garantisce che FaceApp non si prenda pure altro dal nostro cellulare? Quando si dice dare una mano, si prende anche il braccio. E la faccia vecchia.

Comunque sia, simpatico il risultato eh, ma finisce lì.

Morta FaceApp se ne farà di sicuro un’altra: alla prossima moda estiva. 

Si aprono le scommesse.

A quando la prossima App?

La Tempesta (in ciabatte)

Ti dici, andiamo al mare, manca poco alla partenza, poi te lo scordi! Okay ma piove, allora che fai? Giri per la città in cerca delle ultime robe utili per l’espatrio e te ne fai una ragione.

Un lampo squarcia il cielo, seguito da un rumore sordo di un tuono.

Perfetto.

Vabbè, dai, ci metti poco tempo: vai al negozio di articoli sportivi.

Inizia a piovere e sei sotto l’acqua, non senti nemmeno i tuoi pensieri da quanto forte la pioggia batte sul tettuccio della macchina.

Non si vede più nulla, le luci dei semafori e delle auto si confondono e credi di essere su un brutto set di un film apocalittico di serie F: ti aspetti che spunti il tipico tornado fatto al PC per portarti via, ma fortunatamente non c’è.

Arrivi al negozio che ovviamente non ha posti al coperto, ma solo un grande spazio di cemento.

Parcheggi.

L’acqua cade così forte che il solo pensiero di dover raggiungere la porta d’ingresso ti inzuppa.

(Segue una discussione con il resto dei passeggeri in auto.)

A – Prova ad aprire la porta.

L – Che? Come? E poi?

E – Usiamo l’ombrello, proviamo.

Guardi giù per terra appiccicando la faccia al finestrino ghiacciato e per un attimo hai l’impressione di essere su una nave, più che su una macchina: ecco qualche pesce saltare per le strade, pronto a conquistare la terra ferma dopo anni ed anni di solo mare. Quanti centimetri d’acqua saranno? Uno, due, tre? Forse sei davvero in un film apocalittico.

Finisce che opti per andare al centro commerciale più vicino e dopo un’oretta, il sole fa capolino, le nuvole si diradano; se non fosse per le pozzanghere grosse quanto piscine, nessuno penserebbe mai che sia appena passato il diluvio universale.

E dopo tutto questo, ti mancano ancora le scarpe per la pioggia, perché siamo pur sempre ad agosto.

Che ci fa, andiamo in ciabatte.

Andiamo bene…

Ho incontrato Houdini (ma non gli ho chiesto il numero per WhatsApp)

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Io, pronta a conquistare il parco!

Ieri sono andata al parco di divertimenti Rainbow Magicland, a Valmontone, con fidanzato e sorella, dopo cinque anni che l’avevo visitato per la prima volta. Amo i parchi a tema e visto che quando ero piccola, gli unici più grandi in Italia si trovavano sempre a chilometri di distanza da Latina, averne uno più vicino mi ha reso molto felice. Vi racconto un po’ cosa ho visto, magari se vi capita di essere nei dintorni di Roma, potete farci un salto, c’è da divertirsi!

Il Parco

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Veduta del Parco 

Rainbow Magicland è un parco molto giovane, aperto nel 2011, con temi che spaziano dalla magia (maghi, Winx), allo steampunk (rotelle, rottami, macchine a vapore, orologi vittoriani). Ci sono zone “acquatiche” (dove ci si bagna e parecchio) ma anche zone per i più piccoli e zone adrenaliniche per i più grandi. La mascotte è questo gattone che ricorda molto lo Stregatto di Alice nel Paese delle Meraviglie – Gattobaleno.

Acqua da tutte le parti

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Yucatan dall’alto!

Abbiamo iniziato il giro subito con Yucatan in uno scenario Maya, facendo un paio di discese in cui ci siamo inzuppati per bene – ma il caldo era asfissiante e siamo rinati dopo l’attesa per il biglietto lì fuori. Alla seconda discesa (quella di destra), credevo di sputare i polmoni visto che urlavo senza ritegno, tanto da aver pensato ma quando si scende? e anche ma perché mi diverto in questo modo!?  Uscita da lì, la mia schiena protestava, ma avevo solo iniziato, nulla mi poteva fermare!

Subito dopo, siamo andati sulle Rapide, a tema norreno tra i vichinghi. Saliti su un gommone circolare, ci siamo lasciati trasportare dalla corrente e fatti fare pure delle docce a tradimento.

Meno male che uno aveva il costume sotto ;).

Ottovolanti al sole e al buio

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Cagliostro, la Dark Ride (letterale)

L’Olandese Volante è stata l’attrazione che ho apprezzato di più, peccato per la fila sotto al sole: c’erano un paio di tendoni che facevano ombra dalla parte opposta della fila, perché si sa, i parchi a tema vogliono farti morire di caldo da regola. Per lo meno, saliti sui vagoncini, tutta quell’attesa ci ha ripagati! Sballottolati a destra e a sinistra – non a testa in giù – a tutta velocità, mi ha fatto venir voglia di rifarlo almeno altre due volte.

C’è la possibilità di salire a bordo con tanto di visore per la realtà virtuale da tenere con la mano sinistra (come hanno fatto alcuni): con la mia fortuna, l’avrei fatto volare via nella corsa, distruggendolo per sempre. Alla prossima, semmai!

Successivamente, siamo andati su Cagliostro, una Dark Ride. Ora, Cagliostro ha una storia particolare: mi innamorai perdutamente di questa giostra cinque anni fa. Appena ti sedevi, partivi a tutta velocità, girando sul tuo posto ed entrando in questo castello pieno di luci di colore diverso… Una discoteca!

Bene, ieri ci andiamo e che scopro? Beh, è una dark ride, no?

BUIO!

Buio pesto!

Per ripetere l’esperienza, sedetevi su una sedia da ufficio, chiudete gli occhi, girate su voi stessi e poi magari chiedete a un vostro amico di prendervi per le spalle e strattonarvi: ecco a voi Cagliostro 2018.

Spero davvero che sia stato un caso unico, altrimenti perde una parte della magia: chissà, forse il conte Cagliostro non ha pagato le bollette… Ciò nonostante, l’ho fatta tre volte, i sedili erano veramente comodi!

Huntik 5D

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L’entrata di Huntik 5D

 

Il videogioco dal vivo per eccellenza: entri, guardi il video di presentazione, ti metti gli occhialetti 3D, ti siedi sul vagoncino, prendi la pistola laser e spari a (quasi) QUALSIASI cosa. Ci siamo messi in fila e fortunatamente non c’era tanto da aspettare, così che ci siamo immersi nell’avventura.

I riflessi da video giocatrice mi hanno aiutata fino a un certo punto, visto che puntualmente sparavo verso i miei alleati (poveri) e perdevo 100, 200 punti a colpo. Scusate, piccoli amici, non era mia intenzione.

L’importante è vincere, no?

Maison Houdini

Oh, qui dentro siamo finiti davvero sotto sopra! Entrati al buio nella casa, abbiamo fatto la fila per andare dentro quello che abbiamo scoperto essere un ascensore: accecati dal sole che c’era fuori, eravamo tutti disorientati.

Scesi a -16 metri, una ragazza ci ha portati in una grande sala con delle panche affacciate su delle cattedre con sopra tante artefatti magici (palle di cristallo, ampolle, occhi, crani). Ci siamo seduti e la stanza ha iniziato a girare su sé stessa, facendoci rimpiangere di aver mangiato il pranzo poco prima.

Tra una risata e l’altra, mi sono girata alla mia sinistra perché un fastidioso bagliore mi distoglieva dall’illusione: c’erano tre ragazzine per niente colpite dalla giostra che se ne stavano su WhatsApp, in stato catatonico.

Non volevo crederci.

Ho pensato che forse, alla veneranda età dei 25 anni, mi emozionavo troppo.

Son tornata indietro di 10 anni quando andai a Fasanolandia in Puglia con la classe, divertendomi come una matta: il cellulare ce l’avevamo tutti, okay che non c’era la messaggistica istantanea, però vuoi mettere? Non ti capita tutti i giorni di andare su una giostra! 

Poi boh, chi sono io per giudicare?

Poco dopo, nell’ascensore, una delle ragazzine ha ricevuto una telefonata, rispondendo a gran voce: “Eh, no, ma’, non posso parlà, sto sulla giostra.” Se lo dici tu… Poi fammi sapere se Houdini ti ha dato il numero, abbiamo così tanto in comune io e lui (tipo la data di nascita), potrei seriamente andare a fare l’illusionista.

Comunque sia, se non ci sono cellulari a dar fastidio durante il giro, Maison Houdini è un’attrazione godibile per tutti. 🙂

Lo Shock mancato

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Entrata di Shock

No, non siamo saliti su Shock, il roller coaster più famoso del parco, ci tengo ancora alla mia salute fisica. Passare da 0 a 100 km/h? Non sono così coraggiosa, arg, ma se volete farvi venire i capelli bianchi, è perfetto!

Nella zona di Shock, tutto è a tema Steampunk, ci ho fatto parecchie foto! C’e anche la sala giochi e un bar.

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Lady DeXter, mia sorella, al lavoro!

Quindi

Che dire, se vi piacciono i parchi a tema, questo non ha niente da invidiare ai grandi nomi di Mirabilandia o Gardaland: certo è piccolino e qualche zona avrebbe bisogno di una ripassata di colore (sole e pioggia non risparmiano niente e nessuno). Inoltre, ci sarebbe bisogno di qualche spettacolo in più, oltre al Planetario o a quello di Peter Pan.

Speriamo che possa diventare grande negli anni!

Vi saluto, con la schiena incriccata ma felice.


 

Houdini comunque non ha WhatsApp, a quanto pare non è tecnologico, è un tipo più mentale… Sarà per un’altra volta.