Lavarsi le mani ai tempi del virus: ipocondriaci, gel e videogiochi

Se ne parla anche qui, anzi, la gente sui social guarda stupita la situazione che si è creata in Italia con il coronavirus: mettici pure falsi allarmismi, panico ed isteria generale, la ricetta per un cocktail esplosivo è pronta.

Sono convinta che sia meglio prevenire che curare, ma a volte si esagera: se non ci sono casi di persone infette nelle proprie vicinanze, è del tutto inutile prendersela con il primo cinese/italiano di turno solo per la sua nazionalità.

Comunque sia, non mancano gli ipocondriaci nemmeno qui: accanto alle casse in negozio sono apparsi magicamente dei gel antibatterici oltre al mio che era già lì da tempo, ma mica per il virus, macché! Era per pulirmi le mani alla meno peggio dopo aver maneggiato la cosa più sporca che possa esistere sul pianeta Terra: i soldi.

Ho visto gente starnutire sopra banconote di carta a mo’ di fazzoletto imperlato poco prima di passarmele di mano, senza nemmeno un sorry, strette magari assieme a un fazzoletto di carta già usato ed impregnato di raffreddore.

Mi si accappona la pelle e penso a quel 99,9% di batteri fatti fuori dal gel di turno, lasciando dietro un’aroma alla menta fresca per coprire la strage: che schifo, ma per lo meno funziona.

virus
Screenshot dal gioco Plague.

Per scaramanzia ho giocato a Plague Inc, un gioco disponibile anche per cellulare: lo scopo del gioco è infettare tutto il mondo e portare l’umanità alla distruzione, evolvendo il proprio batterio, virus o fungo che sia.

virus1
Sono arrivata anche negli Stati Uniti.

Partita dalla Cina, il mio virus è rimasto un po’ lì prima di andare in Regno Unito, manco a farlo apposta: non so come potrebbero organizzarsi in realtà qui, perché in giro si leggono avvisi del tipo niente panico, siamo pronti.

E lo spero, perché altrimenti non ci metterebbe niente a infettare mezzo paese dopo quello che vedo abitualmente.

Senza parlare di quello che c’è sui mezzi pubblici.

Ma la partita?

Ah, il mio virus dopo 3 anni ha perso perché gli umani hanno sviluppato una cura, ‘sti umani intelligenti.

Lavatevi le mani, copritevi quando starnutite, tossite in un fazzoletto e non su una bella banconota da 20 che state dando alla povera commessa di turno. Purificate il fazzoletto con  del fuoco, già che ci siete.

Grazie.

virus3
Non oggi, virus, non oggi.

Quando le multinazionali si prendono in giro: come farsi pubblicità

Ronald McDonald’s e IT

Davanti al McDonald’s del centro commerciale della mia città c’è stata per parecchio tempo una panchina con sopra un fantoccio di Ronald McDonald dalla faccia spiritata, la mascotte del fast food. Il tempo gli aveva quasi portato via il naso, facendolo diventare meno rosso e sgargiante di una volta, senza parlare della tuta gialla ormai diventata color mostarda.

Non è lui, ma lo sguardo morto è quello e rende l’idea.

Il povero pagliaccio sparì dopo uno dei grandi rinnovi del locale: mi chiedo se l’abbiano chiuso in qualche buio magazzino, pronto a fare venire un infarto a gente con la fobia dei clown; sarà anche per questo suo aspetto inquietante che all’uscita del film IT nel 2017, il Burger King in Russia aveva chiesto di vietarne la proiezione, secondo loro Pennywise somigliava troppo a Ronald, pubblicizzando il McDonald’s.

Il palloncino rosso potrebbe confondere lo spettatore e fargli venire voglia di un hamburger, già.

In realtà, il ruolo di Ronald McDonald’s era quello di invogliare le persone a fermarsi lì per un po’, i bambini ci si aggrappavano come delle scimmie e poi le madri dovevano trascinarli via in due modi: o urlando in tutti i dialetti, o comprandogli un gelato da 0,50 centesimi (adesso ti costa il doppio).

Il gioco

Ronald fu anche a suo malgrado il protagonista di un gioco parodia non ufficiale sul McDonald’s: qui interpretavi il CEO del fast food dove bisognava cercare di avere più successo possibile, comprando il silenzio di politici o nutrizionisti, scegliendo se minacciare i tuoi dipendenti o andare in bancarotta. Insomma, una risposta “simpatica” alle tante accuse che negli anni sono piovute sulla multinazionale americana.

 

Intro
Schermata iniziale del gioco
mcgame
Screenshot del gioco
mcgame1
Screenshot del gioco

Dopo averci giocato il Mc non ne usciva molto bene, ma alla fin fine era pur sempre pubblicità gratuita: come se da domani le persone non andassero più a mangiarsi un BigMac.

Magari io no, ma ho visto con i miei occhi persone che alle cinque di pomeriggio si sono fatte pranzi succulenti a base di hamburger, piuttosto che un leggero tè e biscottini.

Contenti loro.

KFC

La Kentucky Fried Chicken, conosciuta anche come KFC, è un’altra catena di fast food americana molto famosa in giro per il mondo, specializzata come da titolo nel pollo fritto: famosi sono i cesti di carta pieni di pollo che basterebbero a sfamare una città di medie dimensioni.

Nel tempo il menù è variato, così da offrire anche hamburger, patatine e ovviamente bibite gassate, quando mai.

La mascotte è il fondatore stesso, il Colonnello Sanders, il tipo con gli occhiali neri e i capelli bianchi, baffi e pizzetto. Lo trovi sui poster, internet, sui sacchetti delle patatine, ovunque, un po’ come la controparte McDonald’s.

Notizia di qualche giorno fa è l’arrivo di un gioco dating simulator (simulatore di appuntamenti) del tutto demenziale, dove il giocatore potrà conquistare il cuore del Colonnello Sanders.

Non sto scherzando, ecco le prove, soffrite insieme a me.

header

“I Love You, Colonel Sanders! A Finger Lickin’ Good Dating Simulator” sarà presto giocabile su PC solo in lingua inglese.

ss_1827166182380bec4c0475ca9f34cb660a946996
Screenshot del gioco da Steam
ss_7008ea0295933fc84276ef79976e66014ca4d94d.1920x1080
Screenshot del gioco da Steam

Box con sotto i dialoghi, personaggi patinati che sembrano usciti da un anime, musica allegra e tintinnante, non gli manca niente: ti lascia basito, ti stropicci gli occhi e ti chiedi che cosa cavolo ho appena visto?

Credevo si trattasse di una parodia come il gioco del McDonald’s, ma invece no, l’editore è proprio la KFC: il loro logo è pure nel trailer. Il gioco sarà del tutto gratuito, anche perché sfido chiunque a trovare qualcuno che ci voglia buttare dei soldi reali per averlo.

Chiamali fessi! Non è altro che un modo per farsi pubblicità, un modo bizzarro direi, ma pur sempre efficace. Prendendo in giro sia loro stessi che i videogiocatori, hanno fatto parlare del loro pollo fritto in un modo o nell’altro: chissà se aumenteranno veramente le vendite.

Devo fare un gioco anche io basato sui miei racconti? Potrebbe essere una buona idea (o un suicidio professionale).

L’Ultimo Giorno della Terra

earth-1617121_960_720
Che ci possiamo fare.

L’ultimo giorno della Terra la sveglia è suonata alle sei e mezza, stanza da letto immersa nel buio, sempre nel buio; la luce bluastra della televisione illuminava fiocamente il salotto, le immagini tetre si rispecchiavano sul bordo trasparente della tazzina da caffè.

Il sonno ancora intorpidiva il corpo stanco e pallido, ma tra un sorso alla bevanda calda e un morso ad una galletta insipida, si trovava il tempo per cercare di assimilare le notizie provenienti dal mondo spezzato.

La voce del giornalista in televisione era dura, la Terra è condannata; poi la trasmissione si interrompeva per la pubblicità di qualche profumo e si dimenticava tutto con una sgrullata di spalle.

Bisognava andare a lavoro.

Che ci possiamo fare.

***

L’ultimo giorno della Terra si andava a scuola, mascherina bianca su bocca e naso, occhiali per proteggere la vista; appena si usciva da casa, una coltre di nube scura e pesante abbracciava il tuo corpo, minacciando di avvelenarne ogni cellula.

Entrati nell’edificio ci si toglieva di dosso ogni capo protettivo, sbattendo le palpebre più volte per abituare la vista alla luce al neon improvvisa.

Luce artificiale.

“In classe, in classe,” borbottava il bidello, dando colpetti decisi al muro con un pugno, “devo chiudere le porte.”

In aula i ragazzi si sedevano ai banchi, spettegolando di qualche ragazzo di quinto e della sua ultima bravata in palestra; qualcuno mandava messaggi sul cellulare, un altro like, un altro cuore sotto una foto di una foresta in fiamme.

“Buongiorno,” l’insegnante entrava in classe salutando, posava la borsa sulla cattedra.

Ora di matematica.

Che ci possiamo fare.

***

L’ultimo giorno della Terra era come tanti altri, immerso nel buio dell’ignoranza e dell’egoismo.

Era un giorno come tanti altri.

Che ci possiamo fare.

Politica Stellare, i Palpatine Morderni

Palpatine non è diventato Imperatore Galattico in un giorno solo, si è fatto un mazzo non da poco. Apparendo come Darth Sideous, ha convinto la razza aliena dei Nemoidiani (della Federazione dei Mercanti) a bloccare ogni tipo di commercio con il pianeta Naboo, fa un gran casino che la metà basta e pure se perde alla fine dell’Episodio I, diventa Cancelliere Supremo della Repubblica. Nessuno, ma nessuno, nel Senato avrebbe mai pensato che Darth Sideous e Palpatine potessero essere la stessa persona. Vabbè, ma dove vuoi che vada da lì, ci sono pure gli Jedi. Se ne starà buono buono a farsi i fatti suoi.

Certo, certo.

Alla fine dell’Episodio III, gli Jedi vengono fatti fuori tutti e Palpatine si autoelegge Imperatore Supremo (Cancelliere gli stava stretto), tra gli applausi del Senato. Si scontra un attimo con Yoda che però decide di fuggire e andare in esilio: diciamo che il massacro degli Jedi non l’ha preso benissimo. Da lì in poi Palpatine dice addio alla facciata da serio politico per andare in giro con un asciugamano nero in testa, regnando indisturbato sulla Galassia fino all’arrivo di Luke Skywalker.

 

Quasi 20 anni di regno.

La doccia più lunga della sua vita.

Ma lui amava la democrazia, mica no, lo diceva sempre davanti a tutto il Senato, grande persona.

Salutava sempre.


Essere un cattivo politico non è un lavoro per tutti: devi avere occhi e orecchie ovunque che ascoltano, registrano, elaborano. Qualsiasi scelta deve avere uno scopo ben preciso, che magari le masse non capiranno, ma tu sì. Sei tu che conti nel grande gioco delle poltrone, un po’ come in Games of Thrones. E chissene frega se ogni tanto qualcuno viene avvelenato al tuo fianco, finché lo puoi raccontare, mors tua vita mea.

stormtrooper-1822272_960_720

Certo, non ce lo vedo Palpatine uscire dalla sua navetta per andare a offrire tè e biscotti ai giornalisti per non rispondere alle loro domande; manco a prendersela con i videogiochi per le sue sconfitte; e non ce lo vedo nemmeno troppo bene a farsi i selfie con gli Stormtrooper, ma vabbé lo scuso, sarà l’età. Palpatine è un cattivo politico vecchio stile, è un Imperatore Galattico, la gente la comanda infondendo paura ed usando il lato oscuro della Forza in una Galassia lontana lontana.

Nella nostra esistono i social, le fake news, le polemiche a colpi di tweet: sono i superpoteri del potente di turno. Si scrivono commenti da bar  che corrono liberi per il web per andare a colpire chiunque, danno il quarto d’ora di fama all’utente PierGianFrancesconio medio e si va avanti tra un Buongiorno Kaffé e un Amen seguito da ma morite tutti se non peggio.

Ah, la coerenza.

E non osare dire qualcosa in contrario, pena la gogna pubblica.

Bah. Io sarò pure per la libertà di parola, ma non tollero l’intolleranza della mia tolleranza. Tra un po’ non potrò manco andare in giro con i capelli corti e la camicia, sembrerò troppo ambigua e ricorderò la teoria gender a qualcuno che odia il prossimo e giù mazzate. Mettiamoci pure che sono straniera in un altro paese, ho fatto bingo! Per dirla come qui.

Basterebbe della civiltà, leggere un paio di libri, guardarsi Star Wars togliendosi le fette di prosciutto dagli occhi, ma che lo dico a fare.

Applaudiamo tutti.

Quindi è così che muore la libertà, sotto scroscianti applausi.

Un Festival per Pikachu? Esiste in Giappone

pikachu-1207146_960_720

Andare in giro per la città di Yokohama in Giappone in questi giorni significherebbe partecipare ad un festival del tutto bizzarro: Pikachu Outbreak! Viene organizzato ogni estate ed è il sogno per i più grandi appassionati di Pokémon. In cosa consiste? Ci sono più di 2000 Pikachu coinvolti in attività divertenti, parate e tanti spettacoli per i visitatori più curiosi.

Sì, avete letto bene, sto parlando proprio del mostriciattolo giallo simbolo di una generazione cresciuta con la merenda e Italia 1 il pomeriggio. Dei figuranti in costume si aggirano per il quartiere di Minato Mirai, sfidando il caldo estivo. Ce ne vuole di coraggio.

Durante le celebrazioni, chiunque passi il proprio biglietto per entrare nella Stazione per Minato Mirai a Yokohama non sentirà il tipico bip impersonale ma pikachu! senza sosta.

Se mi trovassi lì a fianco, dopo i primi tre pikachu! andrei a mettere l’opzione muto ai tornelli. Credo pure Pikachu non ne potrebbe più, sono 20 anni che è costretto a lavorare per noi.

E questa è solo l’accoglienza per farti entrare nel vivo del festival!

Nel quartiere di Minato Mirai si possono vedere cose del genere (Edizione 2015).  Non lasciatevi ingannare dalla faccia tenera del pokémon, a partire dai 30 secondi è capace di fare tutto, anche ballare hip hop.

Altrimenti, ci sono spettacoli serali tra luci psichedeliche e giochi d’acqua che bagnano gli spettatori, ma con il caldo estivo non mi lamenterei.

Insomma, non c’è limite alla fantasia in questi spettacoli e pare che sarà così fino al 12 Agosto!

Ho fatto un giretto sul sito ufficiale del festival e dopo averci capito praticamente meno di zero (Duolingo mi uccide), ho usato google traduttore (sia ringraziato). Nella sezione del merchandise c’è di tutto fra cappelli, orecchie da Pikachu, magliette, palloncini e portachiavi che sono quasi tutti sold out.

Decisamente un festival fuori dal comune ma che va alla grande in patria: dopotutto, Pikachu è pure diventato ambasciatore di Osaka insieme a Hello Kitty.

osaka
Il Ministro degli Esteri del Giappone in un tweet del 2017: “Ho nominato Pikachu e Hello Kitty Ambasciatori per promuovere la città di Osaka come città ospitante dell’Expo 2025.”

Come è andata a finite? Osaka ha vinto la candidatura a novembre 2018 ed ospiterà l’Esposizione Universale nel 2025.

Niente niente Pikachu porti fortuna?

Ho deciso: nella prossima vita faccio il Pikachu danzante a Yokohama.

Indifferenti

 

indifferenti
Quando non ci fu più nulla da distruggere, gli Yoxindiani offrirono ai poveri superstiti una nuova casa…

Si era svegliata presto quella mattina, per essere sicura di aver preparato tutto l’occorrente per la partenza: la valigia nera piena di graffi, la borsa a tracolla con la fascia mezza mangiucchiata dal vecchio cane Miko, il giaccone con le mille tasche per avere tutto a portata di mano. Il passaporto era in regola, aveva controllato la data di scadenza almeno una dozzina di volte; sul tesserino sanitario, c’erano scritte in ordine cronologico tutte le vaccinazioni obbligatorie per poter vivere sul pianeta Yox; la foto che la rappresentava su entrambi i documenti era recente e le era costata più di cinquanta crediti farla, ma sapeva che ne sarebbe valsa la pena.

Adesso che se ne stava in fila in una coda di centinaia e centinaia di persone disperate come lei, l’ansia stava cominciando a salire alle stelle; si mangiucchiava il labbro inferiore di continuo, giocando distrattamente con un lembo di una manica del giaccone. In lontananza, dietro il posto di blocco, l’aspettava una nave spaziale immensa, grande tanto quanto un grattacielo: l’Excelsior, una delle più grandi mai costruite nella storia dei viaggi interstellari. Ovviamente, era stata progettata insieme agli Yoxindiani, gli abitanti del pianeta Yox: ne era passato di tempo dal primo contatto alieno! Gli Yoxindiani erano sembrati degli alieni pacifici, nonostante il loro aspetto minaccioso: alti due metri, ricordavano degli scarafaggi, con quelle loro lunghe antenne e zampette munite di artigli. Dotati di due paia di occhi neri e lucidi e di una mandibola, erano tutto fuorché rassicuranti. Guardò verso il posto di blocco, dove gli Yoxindiani avevano adibito degli sportelli per scansionare gli umani da capo a piedi: uno di loro leggeva i documenti, l’altro si limitava a schioccare le mandibole ritmicamente.

Rabbrividì, sapendo che in quel momento lo Yoxindiano stava parlando con l’uomo davanti a lui: comunicavano telepaticamente, traducendo la loro lingua in quella dell’interlocutore di turno. Non per questo, le lingue non le studiava più nessuno sulla Terra. Le venne da ridere a quel pensiero, come se qualcuno studiasse ancora qui! C’era stata l’Ultima Grande Guerra che aveva messo in ginocchio l’economia mondiale, mandando in fumo i sogni di milioni di giovani come lei: bisognava stare attenti ad uscire di casa per non essere colpito dai proiettili o dai gas tossici. Internet era stato censurato, piccoli uomini erano stati innalzati a dei in terra, acclamati fino al giorno in cui vennero sconfitti anche loro. Politici, pensò, fatti di carne e sangue come tutti. Gli alieni rimasero in disparte a guardare come i diversi paesi giocarono a farsi a pezzi a vicenda; poi, quando non ci fu più nulla da distruggere, gli Yoxindiani offrirono ai poveri superstiti una nuova casa.

Yox.

Si grattò il naso per un attimo, tornando a giocare con il lembo del giaccone. Faceva freddo, tanto che delle piccole nuvolette di condensa si alzavano dalla lunga fila, con le persone strette strette fra loro; le ricordarono le colonie dei pinguini che tanto tempo prima abitavano il Polo Sud.

“No, vi posso spiegare,” un uomo allo sportello sbatté entrambi pugni sul bancone, cercando di contenere la rabbia che gli faceva tremare la voce; accanto a lui, c’era una bambina che avrà avuto quattro o cinque anni ed osservava l’alieno con la testina reclinata all’indietro. “Non ho avuto il tempo di rifare i documenti,” continuò l’uomo, “costano moltissimo le foto, vi giuro che sono io quello lì e questa è mia figlia, c’è scritto! Potete leggerlo nella mia mente!”

L’alieno addetto ai documenti si guardò con il suo vicino, poi prese il pezzo di carta e lo gettò in un inceneritore lì accanto.

Fece un segno di no con la testa.

L’uomo non si mosse, sbattendo i pugni con più forza sul bancone. “Non potete! Vi prego! Devo passare!”

“Papà?” La bambina tirò il padre per la tasca dei pantaloni, spaventata. L’alieno adesso si stava avvicinando, rizzando le antenne e gli artigli.

A quel punto, l’uomo prese la figlia in braccio, allontanandosi con un’espressione sconvolta in viso; guardò prima gli alieni, poi l’Excelsior, poi sua figlia.

“Ti vuoi sbrigare?!” Sbottò la donna che lo seguiva, “c’è una fila di gente qui!”

Senza poter dire altro, l’uomo si dileguò, degnando nessuno di uno sguardo.

La donna che aveva appena parlato commentò stizzita con un finalmente era ora, prima di avvicinarsi con il marito e valigie al seguito. Adesso che si era avvicinata allo sportello riusciva a vederla meglio: indossava degli abiti succinti ma di buona fattura, roba che non trovavi tutti i giorni ormai. Non ci mise troppo a passare il controllo, ovviamente. Lei sbuffò, alzando gli occhi al cielo: quella donna era una dei pochi ricchi rimasti, i suoi documenti erano sicuramente perfetti.

Le ci vollero altri venti minuti prima di giungere allo sportello: una coppia di donne venne portata via di peso perché non avevano dichiarato i tre pacchetti di sigarette trovati nelle loro tasche dei jeans; un altro uomo tentò di correre verso l’Excelsior, prima di stramazzare a terra, colpito da una guardia Yoxindiana; una famiglia dovette partire lasciandosi dietro zii e cugini. C’era così tanto dolore in quel luogo che doveva rappresentare la speranza e la rinascita, eppure questo non scoraggiava le persone a tentare di passare i rigidi controlli alieni.

Era il suo turno.

Timidamente camminò in avanti, con una mano stretta intorno al manico della valigia e l’altra con i documenti in bella vista.

“Buongiorno,” disse piano, porgendo le carte all’alieno.

Salve, umana.

Rabbrividì nel sentire la voce fredda e stridula dello Yoxindiano risuonare nella sua testa: era come se qualcuno le stesse entrando nel cervello, spostando ricordi ed emozioni, facendosi strada tra sogni e paure.

Si sentì nuda.

Nessuna famiglia?

“No,” rispose ad alta voce, sentendosi stupida, visto che l’alieno già doveva sapere la risposta.

L’alieno le ridiede le carte e le fece un cenno di andare.

“Grazie,” disse, affrettandosi a raggiungere la pedana della nave spaziale: la testa le girava, sentendosi svuotata da ogni emozione.

Non provava più nulla.

Si girò per guardare un’ultima volta la lunga fila di migranti come lei, in attesa di conoscere il loro destino; dietro la recinzione in ferro, lontano dagli sguardi degli Yoxindiani, c’erano l’uomo e la bambina che aveva visto prima allo sportello. L’uomo si era poggiato contro la recinzione, fissando l’Excelsior con occhi vitrei; la bambina, disegnava con un pezzo di legno bruciato sulla polvere a terra.

Ma non c’era pietà, né tristezza per loro, solo tanta indifferenza.

Sorrise, riprendendo a camminare sulla pedana.

Yox era la sua nuova casa.

 

Cose che accadono (quasi) sempre quando vai al cinema

popcorn-1085072_1280

Andare al cinema piace a un sacco di gente: l’emozione di guardare un nuovo film, la compagnia di amici o parenti, i popcorn… Bello, sì, tutto bello. Peccato che nella realtà, le cose siano molto, molto diverse! Basta poco per rovinare una bella uscita.

  1. Il tipo alto che ti si mette puntualmente davanti: è una vera e propria tragedia, sopratutto quando sei ancora bambino. Una volta, ricordo che andai a vedere un cartone animato e all’ultimo mi si sedettero davanti dei tipi usciti da una squadra di basket. Praticamente, feci ginnastica per tutto il tempo del film, dondolandomi come una scimmietta: inutile cambiare posto, ormai era troppo tardi e la sala era piena.
  2. I bambini che piangono, che ridono o che schiamazzano: ci sta seguire il film con entusiasmo, ma non puoi passare l’intero film a chiedere “perché Iron Man ha detto questo?” “perché ha fatto quello?”, come se tua mamma abbia scritto la sceneggiatura del film. Sssh, tesoro, chiudi la bocca e guarda! Non sei da solo in questa grande sala. Lo so, dispiace anche a me, la prossima volta restiamo a casa che è meglio.
  3. La gente che mangia: durante alcuni film, la più bella colonna sonora non è composta da Hans Zimmer o Alan Silvestri, ma dal pubblico in sala che con le sue ganasce fa impallidire i più bravi percussionisti del mondo. Popcorn, barrette di cioccolata, patatine, non importa cosa! State tranquilli che sarete cullati da magiche sinfonie dentali.
  4. La luce improvvisa nel buio completo AKA il cellulare di qualche tizio che ha bisogno di sapere che ore sono, mandare un messaggio, rispondere ad una telefonata improvvisa “eh, no, sono al cinema, SONO AL CINEMA NON POSSO PARLARE!!! Sì, sì, ciao, ciao.” E tu stai lì, mezzo accecato, sentendoti come se avessi appena avuto una visione mistica.
  5. Le comitive chiassose: a seconda dell’età si distinguono fra la comitiva adolescenziale che si lancia il cibo da una fila all’altra emettendo gridolini eccitati, e la comitiva di famiglia costituita da mamme, zie, cugini, passeggini, nonni, vicini di casa. In queste comitive è possibile trovare molti bambini del punto 2.
  6. Il pavimento porcile: si riaccendono le luci in sala, prendi la tua giacca e la la borsa, ti metti in piedi e… Oh. No. Ti prego, No. Sei circondato di resti di lattine di bibite gassate, sacchetti vuoti stropicciati e ti senti protagonista di The Walking Dead, chiedendoti se fuori dal cinema troverai gli zombie ad aspettarti o se per caso ci sei stato assieme per due ore. A passo lento, devi scavalcare qualche cadavere, ma alla fine esci e puoi respirare l’aria fresca della putrida città. No, non è iniziata la fine del mondo. AH! Cosa ho sotto la scarpa? Oh, resti di popcorn con una cicca masticata. Che bello!

Quando andate al cinema, rispettate chi è in sala con voi e si vuole godere un bel film in santa pace; ma soprattutto, non sporcate la sala “perché tanto poi puliscono”, facciamo le persone civili.

Grazie.

(E grazie anche a te, ignoto, che sputi la gomma a terra)

Buon cinema a tutti!

(Adesso, posso andare a vedere Deadpool 2)