Si inizia
Lo stavo predicando da tempo, sarei andata a vivere all’estero prima o poi: il poi famoso è arrivato, quindi eccomi a scrivere un resoconto dell’altro ieri, arrivati ad Edimburgo.
Prima di tutto, c’è da dire che amo gli aerei: la ressa per consegnare il bagaglio per la stiva, il metal detector, l’attesa al gate, l’attesa nell’aereo, il decollo… Ah, fantastico, davvero.
Purtroppo, c’è da dire che l’aereo è il mezzo più veloce per poter raggiungere posti in mezza giornata, quindi non è che ci sia chissà che altra scelta. Stringo i denti e via.
Svegliarsi prestissimo pensando costantemente “Ma dove sto andando?” e “Si parte!” è stato da ricovero, arrivando poi all’Aeroporto di Ciampino in anticipo… E per fortuna! Il parcheggio di questo aeroporto è adatto per ospitare una festicciola di un borgo, no persone con valigie e parenti a carico; comunque sia, siamo riusciti a districarci, dopo aver benedetto vari automobilisti, le strade e i cartelli.
Ho salutato la mia famiglia lo stesso, questo è l’importante!
Momento del metal detector?
Immaginatevi una coppia di ragazzi: lui alto 1.90, barba, spalle larghe, mentre lei 1.64, capelli corti e vestita forse un po’ troppo da punk in questo giorno particolare. Lui passa quasi indenne al metal detector (dopo che gli hanno fatto togliere dallo zaino mezzo negozio di tecnologia per disporlo nelle vaschette), lei invece viene fatta passare (senza cinta, senza scarpe, senza orecchini, senza niente, la prossima passa in bikini che fa prima) e c’è qualcosa che non va.
Mica poteva essere semplice, eh no.
MATTINA, AEROPORTO DI CIAMPINO. UN UOMO DELLA SICUREZZA SULLA TRENTINA CHE VORREBBE ESSERE SU UN ALTRO PIANETA ED UNA RAGAZZA CHE NON HA DORMITO LA NOTTE, SONO DAVANTI AL METAL DETECTOR.
Uomo Sicurezza: Alza le mani,
Ragazza: Okay.
Uomo: Palmi rivolti verso l’alto.
Ragazza: Va bene.
*Passa una pezzetta*
Uomo: Gira le mani
*Passa la pezzetta anche sotto*
*Infila la pezzetta nel macchinino lì affianco*
IL MACCHININO MACINA, MACINA, MACINA, MACINA…
La ragazza (io) inizia seriamente a pensare di essere una spacciatrice, ma il macchinino si illumina di verde. Con gli stivali in mano ed i pantaloni che vogliono solo congiungersi al terreno, si avvia a sedersi da qualche parte per rivestirsi.
Infila alla meno peggio gli stivali, poi la cinta, fa per chiuderla…
L’ha messa al contrario.
Grandioso.
Gate, Aereo, Decollo!
Il momento del gate poteva essere rappresentato in un quadro rinascimentale: persone accatastate davanti ai banchi come anime in pena, attendendo che le angeliche hostess iniziassero a far passare le persone.
Caos.
Questa che fila è? Priority? No? Che biglietto hai? Scusa, permesso, permesso…?
Poi, si sale sulla navetta ed il sole coccia, sono le 11 del mattino ma siamo a Roma ed è fine Agosto: sono gli ultimi attimi di afa, prima di salire sul tubetto di dentifricio con due pezzi di cartone attaccati ad esso aereo.
Quel coso decolla, si stacca da terra – dall’Italia – e cavolo, va sempre più in alto e ti senti schiacciato al sedile, finché si stabilizza.
Il ragazzo scozzese accanto non si è accorto di niente, mangia e lo farà per il resto del viaggio, tra un film con Tom Hanks ed una serie Netflix e l’altra.
Beato lui.
Passa un’ora e mezza, l’aereo arriva nei cieli di Francia e sembra di stare su di una gip a caccia di gazzelle; nuvole, nuvoloni, vento che soffia e dà fastidio.
Poi, come arriva, smette: il segnale delle cinture si spegne, il peggio è passato.
Slacciamo le cinture.
Fammi alzare e andare in bagno, va, pensa la ragazza e si alza, andando verso il bagno con le gambe molli. La gente nell’aereo è in uno stato mezzo comatoso, un bambino piange ed è irrequieto, un’altra donna è piegata in due sul sedile, due ragazzi mangiano rumorosamente delle patatine che profumano l’aereo di cipolla. La perturbazione ha seriamente massacrato tutti, chi più, chi meno.
La ragazza prende la maniglia del bagno e la tira più volte, ma niente, la porta non si apre.
Una vecchina seduta in prima fila fa cenno con la mano, è occupato, dice in inglese.
Okay, aspettiamo.
Passano due minuti, la ragazza ignora la sua vescica e guarda verso gli stewards che intanto passano con il carrellino del cibo: sono in fondo all’aereo.
Passano altri minuti ed inizia a pensare che qualcuno possa essersi sentito male nell’aereo, riverso nel cubicolo azzurro e soffocante.
La ragazza bussa.
L’aereo sussulta.
Nessuna risposta.
Arriva a fare la fila con la ragazza pure il vicino scozzese che ha smesso di mangiare, la guarda interrogativo: in effetti, è passato troppo tempo.
La vecchina della prima fila sorride beata.
“Ma che c’è qualcuno?” Fa lo steward, tornato indietro per prendere del resto in denaro da dare a qualche viaggiatore affamato: la ragazza alza le spalle, lui tira la maniglia ma la porta resta chiusa.
Bussa, una, due, tre volte. “Signore? C’è qualcuno?”
Ancora silenzio.
Oddio, adesso tocca fare un atterraggio di emergenza, dovranno scardinare la porta, si scatenerà l’inferno, non si arriverà mai a destinazione…
TAC
“Ah, scusate, avevo bloccato la porta io,” dice lo steward e se ne va.
Ed ecco come si passano dieci minuti buoni a fare la fila davanti ad una bagno vuoto.
Welcome to Scotland
Edinburgo. 13°.
I viaggiatori (soprattutto gli Italiani) corrono ad aprire i loro bagagli a mano per tirare fuori giacche e foulard per coprirsi alla meno peggio: le T-shirt succinte non sono la scelta migliore per la Scozia.
Si esce dall’aereo e si sente subito l’aria fredda, quella che ti sognavi fino al giorno prima mentre sudavi nella tua casa rovente ed umida in Italia.
Passi il controllo alla dogana, ti rendi conto sin da subito che non sei più nel tuo Paese perché ci sono cartelli che ti indirizzano verso la giusta direzione e la maggioranza non sono mezzi mangiucchiati o sbiaditi.
Non è per finta, è tutto vero: adesso la Scozia non è più una semplice immagine su una cartolina, è grezza con il colore grigio delle palazzine e le strade che pullulano di gente. I gabbiani ti fanno da colonna sonora e se sei fortunato (?) ti svegliano la mattina alla finestra, guardandoti minacciosamente.
Agguantare la valigia che scorre tranquilla sul nastro trasportatore è come raggiungere il Nirvana: metti le mani su un pezzetto della tua vecchia casa e sei pronto per andare avanti con la tua avventura.
Il bus c’è ogni 10 minuti, paghi al conducente, stampa il biglietto e hai fatto.
Ripenso a Latina e al problema che hanno sempre avuto nel far pagare la corsa alla gente: qui è così normale salire e pagare, se provi a non farlo vai a piedi.
L’appartamento in cui stiamo è piccolo, uno di quei monolocali che affittano di solito agli studenti, ma per due persone è più che fattibile: è tutta una salita adesso, una di quelle che fai ai parchi giochi dopo ore interminabili di fila.
E cavolo, se uno ne ha fatta di fila!
In compenso, alla fine della corsa, dopo tanta pioggia, ci sarà l’arcobaleno: non è una frase fatta, alla fine del primo giorno è uscito per davvero.
Un buon segno, che ne dite?