Quarta parete, questa sconosciuta – VIDEOGIOCHI

Non è un segreto che molti giochi ultimamente si divertino a rompere la famosa quarta parete, quel muro immaginario che esiste fra il pubblico di un’opera e l’opera stessa rappresentata a teatro, al cinema o sullo schermo di un semplice PC.

Ecco tre dei giochi più conosciuti dove il giocatore si ritrova sotto i riflettori!

Attenti agli spoiler!

The Stanley Parable

Screenshot del menu del gioco.

Qui per il trailer del gioco.

Gioco del 2014 sviluppato da Galactic Cafè, The Stanley Parable è il primo gioco che mi viene in mente quando parlo di rottura della quarta parete. Il giocatore interpreta un uomo di nome Stanley, che lavora in un ufficio dove tutti i suoi colleghi sono scomparsi; la voce del narratore lo accompagna alla ricerca della soluzione di questo mistero che si cela tra le tante stanze vuote e corridoioi infiniti.

Ma è davvero così semplice?

Il giocatore più di una volta potrà andare contro le indicazioni del narratore, scegliendo di girare a destra invece che a sinistra, decidendo di restare in una stanza e rifiutandosi quindi di mandare avanti la storia: inizia così una vera sfida tra il giocatore dietro lo schermo del PC ed il narratore stesso, conscio di trovarsi davanti ad una persona reale e non al fittizio Stanley.

Inquientante e strampalato a tratti, ci sono diversi finali interessanti.

Esiste una Demo gratis a cui poter giocare se volete farvi un’idea dello stile di questo gioco.

Toki Doki Literature Club!

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Schermata del gioco, presa da wikipedia.

Qui per il trailer del gioco.

Questo gioco non è adatto ai bambini o alle persone facilmente impressionabili, dice un avvertimento.

Gioco del genere visual novel sviluppato dal Team Salvato, è parodia di quei giochi romantici dove il protagonista maschile è circondato da bellissime compagne di classe in una scuola atipica in Giappone, tra le quali scegliere la sua fidanzata. C’è la migliore amica d’infanzia, la tipa intelligente, quella più maschiaccio… Tutte con una cotta per te e nello stesso club di letteratura!

Il gioco cambia del tutto narrativa non appena ci si fidanza con una delle ragazze disponibili: i giorni perderanno senso, ci saranno eventi inquietanti e molto violenti che richiamano al genere horror; si scoprirà che Monika, l’unica ragazza con la quale non ci si può fidanzare, sia consapevole di trovarsi in un videogioco, costretta a guardare il personaggio principale scegliere sempre una delle sue compagne di classe al suo posto.

Verso la fine della storia, ci si troverà costretti a cancellare i dati della ragazza proprio dalla cartella del gioco, andando a rovistare nei file del sistema del nostro PC.

Gratuito su Steam, ha ricevuto recensioni positive ed è stato per un po’ il gioco del momento anche su Youtube. Da poco è uscita una versione più estesa a pagamento, Toki Doki Leterature Club Plus!

Undertale

The logo shows the text "UNDERTALE" in white pixel-art text, with a red heart making up the counter in the "R".
Logo del gioco di Toby Fox, sito ufficiale.

Qui per il trailer del gioco.

Gioco del 2015 creato da Toby Fox, è un RPG dalla trama ricca popolata da personaggi strampalati. Si interpreta un bambino che è caduto nel mondo dei mostri, luogo dove vennero relegati dopo la guerra contro gli umani: qui incontrerà Flowey, un fiore senziente che gli spiega subito i meccanismi del gioco. Vuoi sopravvivere nel mondo dei mostri? Devi ucciderli e guadagnare EXP, esperienza. Flowey lo attacca ma fortunatamente, arriva Toriel che lo salva e gli spiega la possibilità di poter risparmiare la vita dei mostri.

Questo è molto importante poiché le scelte del giocatore modificheranno la trama in modo sostanziale.

La quarta parete viene del tutto annullata dal cattivo, proprio il fiore Flowey, cosciente di come il giocatore abbia la possibilità di salvare la partita e di poter iniziare il gioco da capo. Ovviamente, questo andrà a nostro vantaggio, sconfiggendolo e riuscendo a salvare anche i nostri amici mostri (se siete stati clementi…)

Musica orecchiabile e puzzle intricati, il gioco ha riscosso grande successo guadagnando fan in tutto il mondo.

Due fra le traduzioni e gli adattamenti più strani in anime e videogiochi

Avevo pubblicato tempo fa un articolo riguardo la traduzione dei titoli dei film dall’inglese all’italiano, parlando di come in alcuni casi le traduzioni fossero risultate un po’ strane, facendo passare un film drammatico per una commedia – caso eclatante di Se Mi Lasci Ti Cancello.

Ma quando parliamo di anime, cartoni animati tratti dai manga giapponesi, la situazione non migliora mica, anzi.

Il più delle volte la traduzione italiana veniva effettuata prendendo come riferimento il prodotto già tradotto in inglese: vediamo quindi che cosa hanno combinato gli americani per quanto riguarda i Pokémon e Ace Attorney.

Le stranissime “ciambelle” di Brock, Pokémon

Nel cartone animato dei Pokémon, Ash, Misty e Brock erano i protagonisti indiscussi della serie, viaggiando in lungo e in largo per catturare Pokémon, i piccoli mostriciattoli colorati dai poteri tutti diversi. Gottacheccemmol era la famosa sigla storpiata da tutti, cantata in italiano da Giorgio Vanni.

Voglio andare dove mi va e non fermarmi qua…

Nell’episodio 25 dell’anime, Brock ha in mano dei tipici onigiri, polpette di riso con ripieno di pesce, piatto tipico giapponese.

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Brock con le sue “ciambelle” – fonte WikiPokemonCentral

Come li chiama nel doppiaggio? Ciambelle al gusto di salmone. Le ciambelle. Al samone.

Che bontà!

In Inglese, avevano tradotto gli onigiri con doughnuts, pensando che il termine fosse più familiare allo spettatore occidentale: peccato che Brock non stesse reggendo per niente delle ciambelle.

Nel nuovo doppiaggio italiano sono chiamate polpette di riso: chissà se oggi avessero deciso di mantenere il termine onigiri anche nell’adattamento inglese visto il successo della cucina orientale dopo quasi 25 anni.

L’America di Ace Attorney

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Phoenix Wright

Ma le ciambelle di Brock non sono nulla se si pensa a cosa si è fatto per la traduzione di Ace Attorney, serie di videogiochi iniziata nel 2001 per il GameBoy Advance che poi negli anni è arrivata anche su tutte le altre piattaforme.

Si interpreta il giovane Phoenix Wright, avvocato alle prime armi, che deve cercare di provare l’innocenza dei suoi clienti durante il processo, presentando prove e scegliendo le parole giuste per convincere il giudice.

Ogni riferimento alla cultura giapponese è stato eliminato; la storia che si svolge chiaramente in Giappone, nell’edizione occidentale è ambientata a Los Angeles; la giovane assistente di Wright, Maya Fey, è ghiotta di hamburger invece che di ramen; l’accento di un personaggio proveniente da Osaka ha un forte accento texano che viene reso nei sottotitoli del gioco. Quest’ultimo è un escamotage usato anche in altri videogiochi (es. la serie Yakuza) ed anime, per cercare di rendere la differenza tra l’accento di un personaggio ed un altro che altrimenti nella traduzione e doppiaggio si perderebbe del tutto.

Con il passare del tempo, mettici pure che i giocatori più giovani sono cresciuti e sanno ormai cosa sia il Giappone, certi dettagli saltano all’occhio subito e stonano con l’ambientazione. Per esempio, c’è un omicidio che avviene in un templio sperduto nelle montagne, chiaramente legato alla fede shintoista; o ancora, quando il personaggio di Phoenix Wright ha il raffreddore, indossa una mascherina: in Giappone è sempre stato normale indossarla se malati, mentre nel 2001 in Occidente le indossavano solo i medici. Il personaggio nella traduzione deve spiegare che il suo medico gli ha consigliato di indossarla per non far ammalare gli altri…

E ci fermiamo qui.

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Obiezione! Tipica scena durante un caso in Ace Attorney.

Insomma, tradurre ed adattare un’opera da una lingua all’altra non è mai semplice, ma ci si prova alla meno peggio. Fortunatamente più si va avanti e meno si stravolge l’opera originale, come giusto che sia: più onigiri e meno ciambelle!

Come un videogioco ha predetto la pandemia – o quasi

Sto parlando di World of Warcraft, un videogioco MMORPG (massively multiplayer online role-playing game, ovvero gioco di ruolo in rete multigiocatore di massa) che permette di giocare come un personaggio fantastico di questo mondo vastissimo, esplorando nuove terre e combattendo i nemici.

Ma cosa hanno in comune un gioco online e la pandemia moderna?

Hakkar e la sua maledizione

Hakkar the Soulflayer, illustrazione ufficiale del mostro, Blizzard Entertainment Inc.

Era il 13 settembre del 2005, quando finalmente i giocatori poterono scontrarsi contro un nuovo mostro, Hakkar, un serpente piumato e boss finale di una nuova zona chiamata Zul’Gurub. Per la prima volta nella storia di World of Warcraft, gruppi di 20 giocatori potevano unire le forze per sconfiggere Hakkar. Una sua abilità, Corrupted Blood (sangue corrotto), lo rendeva molto difficile da sconfiggere: infliggeva tra i 263 e i 337 danni ogni 2 secondi e durava ben 10 secondi, potendo portare alla morte certa.

Ovviamente, questa maledizione era stata pensata per restare solo nella zona in cui i giocatori dovevano affrontare Hakkar, ma le cose andarono diversamente.

Corrupted Blood si diffonde in tutto il gioco

Screenshot dal gioco, dove un giocatore si trova nella città di Ironforge circondato dagli scheletri dei personaggi, Blizzard Entertainment Inc.

La maledizione di Hakkar poteva colpire anche i pet dei cacciatori e degli stregoni, due classi giocabili che a differenza delle altre potevano avere dei famigli durante le loro avventure. Una volta sconfitto Hakkar, tornando nelle città principali, i famigli colpiti da Corrupted Blood iniziarono a diffondere la maledizione a giocatori di ogni livello e classe.

La maledizione aveva fatto il salto di specie.

Purtroppo, anche gli NPC (Non Playable Caratcher) ovvero i personaggi non giocabili del gioco che fornivano missioni e ricompense erano stati vittime della maledizione, senza però morire: in parole povere, erano asintomatici.

Il problema si presentò per i nuovi giocatori di livello basso e con punti vita minori, ritrovandosi costantemente a dover morire perchè infetti, per poi tornare in vita nello stesso luogo e prendersi di nuovo la maledizione in un loop infinito. Nel gioco infatti, alla morte si può muovere il proprio spirito per raggiungere il luogo del proprio corpo e tornare in vita.

Corrupted Blood era diventata la prima pandemia virtuale e sembrava non finire mai.

La città di Orgrimmar disseminata di scheletri, Blizzard Entertainment Inc.

Trovare una soluzione

Eric Lofgren, epidemiologo e grande video giocatore, nel 2007 aveva osservato con interesse il modo in cui i giocatori si comportarono durante quella situazione così bizzara: poteva essere una simulazione di come gli esseri umani avrebbero affrontato una vera pandemia?

C’è da dire che le similitudini a ciò che è successo oggi sono inquietanti.

Alcuni giocatori di livello più alto con abilità curative (sacerdoti, druidi e paladini), cercarono di aiutare quelli di livello più basso creando degli spazi di quarantena così da contenere la maledizione e non propagarla ulteriormente, finendo però infetti anche loro. La stessa Blizzard, sviluppatore del gioco, cercò inizialmente di forzare i giocatori infetti in una quarantena contenitiva.

Ovviamente, non tutti volevano trascorrere il proprio tempo di gioco fermo in un solo luogo, andando contro le regole e propagando ancora di più la maledizione: vi ricorda qualcuno?

E altri ancora decisero di ritirarsi nei luoghi meno affollati, fuggendo dalle grandi città come i ragazzi del Decamerone di Boccaccio, barricandosi in zone incontaminate senza però poter proseguire con le missioni o recarsi all’asta cittadina. Già perché anche in questo mondo, le città sono pur sempre il fulcro economico che manda avanti la società.

La fine?

La Blizzard dovette riavviare il server di gioco infetto, modificando l’effetto di Corrupted Blood: se un personaggio fosse stato colpito, non avrebbe più diffuso l’effetto mortale ai propri vicini.

Pensando che noi non possiamo riavviare il server della Terra per portarla alla versione senza virus e che non possiamo nemmeno modificare il virus in sè e dirgli come comportarsi… L’unica cosa che possiamo fare è essere meno troll e comportarci da persone civili, non trattare la pandemia come un semplice gioco.

Senza offesa per i troll di World of Warcraft.


Link agli articoli in inglese consultati: Wired e Corrupted Blood

Escape the Dark Sector, un gioco da tavolo sci-fi contro mostri, alieni e mercanti

Scatola di Escape The Dark Sector
La scatola del gioco

Ti risvegli in una stazione spaziale sconosciuta con i tuoi compagni di viaggio: la tua nave è stata sequestrata, voi incarcerati da chissà quale entità che trama nell’oscurità. L’obbiettivo? Fuggire al più presto possibile restando in vita!

I personaggi di Escape the Dark Sector

Escape the Dark Sector (che si può tradurre Fuggi dal Settore Oscuro) è un gioco da 1 a 4 giocatori della Themeborne Ltd. dove bisogna collaborare per riuscire a raggiungere la libertà. Se si è da soli, si può interpretare due personaggi in una partita, altrimenti ognuno interpreta un membro della Galactic Alliance, con diverse statistiche tra might (forza), cunning (astuzia) e wisdom (saggezza); tirando il proprio dado, si cerca di sconfiggere alieni, assassini spaziali e torrette di sicurezza!

Profilo del proprio personaggio: la foto, l’inventario con armi e medicine, l’impianto cibernetico che dà un potere bonus e il medical record.

Bisogna fare attenzione a non prendere danni, altrimenti si deve aggiornare al più presto il medical record con la matita, partendo da una vita di 12 punti… E se si arriva a 0 è game over.

Uno dei mostri che possono attaccare dal un momento all’altro. I dadi rappresentano la vita del mostro e per poterlo sconfiggere, bisogna tirare un segno uguale con il proprio dado…

La storia si sposta da un introduzione, per poi proseguire con un primo capitolo, un secondo, un terzo ed un boss finale da sconfiggere proprio come in un libro di fantascienza. In tutto, una partita può durare dai 45 minuti ad un’ora e mezza se sia ha paura di lanciare i dadi e perdere contro dei mercenari assetati di sangue!

Il combattimento si divide tra close combat (ravvicinato) e ranged combat (a distanza) con svariate armi da poter usare: fortunatamente le istruzioni sono molto chiare, tanto che perfino io sono riuscita a capire come giocare correttamente.

Strano, eh?

Non tutte le carte dei capitoli hanno riscontri negativi: si possono incontrare alieni benevoli che ti regalano strumenti utili come armi o kit medici oppure mercanti ambiziosi che sono disposti a scambiare la propria merce per la tua. Tanto per dire, io ho avuto un incontro ravvicinato con un individuo che mi ha curata dopo aver fatto un tiro positivo con il dado… A Fidanzato è andata peggio, beccandosi un brutto trip mentale.


I concept art del gioco creano un’atmosfera avventurosa e adrenalinica, trasportandoti su questa nave spaziale ai confini dell’universo in un futuro prossimo; anche i testi che precedono i combattimenti hanno un ritmo incalzante che lascia senza fiato.

Il gioco si può trovare facilmente su Amazon ed è in lingua inglese. Se la fantascienza non è il vostro genere, della stessa serie esiste anche Escape the Dark Castle dove ci si trova nei sotterranei di un castello misterioso.

Esiste un video trailer del gioco su YouTube e credo renda l’idea di cosa si possa incontrare in una partita! Trovate il video qui.

Censure e Politically Correct nei videogiochi

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Screenshot dal gioco Overwatch, una scena tranquilla di esplorazione di una mappa nuova.

Overwatch è un gioco spara-tutto in prima persona a squadre, dove lo scopo è quello di neutralizzare gli avversari; che sia proteggere un carico, una zona, prendere una bandiera per portarla alla propria base, si spara e si cura per ottenere la vittoria.

Insomma, niente di complicato, fa parte di quei giochi che adesso vanno tanto di moda come Fortnite: vince chi resta in vita e via, si va avanti per ore partita dopo partita.

Ricordo che ancora prima dell’esistenza di questi giochi, ne facevo uno online insiema a mia sorella alla tastiera: io muovevo il carro armato e lei sparava con il tasto ctrl o viceversa; c’era anche la chat e ci si scriveva le peggio cose, vi lascio solo immaginare… E si interpretavano dei carri armati in un mondo squadrato a due colori, eh, niente di chissà quanto elaborato.

Giocare online può essere divertente se preso con leggerezza, senza arrabbiarsi troppo se si perde contro qualche ragazzino di prima media: è solo un gioco a cui partecipano persone reali, certo, ma pur sempre un gioco.


Tutto questo preambolo per parlarvi di un fatto curioso accaduto su Overwatch con l’ultimo aggiornamento, dove lo spray di un personaggio, il cowboy futuristico McCree, è stato cambiato in un altro. Gli spray sono come degli adesivi che i giocatori possono incollare in giro per l’ambiente in cui giocano, sui muri o colonne, cliccando un tasto giusto per divertimento.

Da quanto ho capito leggendo tra i commenti di gente più o meno civile, pare che lo spray originale del cappio venisse usato in modo violento nei confronti di altri giocatori, minacciandoli di morte. Adesso, con il nuovo aggiornamento, i giocatori del pistolero potranno usare un ferro di cavallo al contrario con su scritto Bad Luck (Sfortuna).

Non c’è stata una vera dichiarazione ufficiale da parte della Blizzard, azienda sviluppatrice di Overwatch, sul perché del cambio dello spray: alcuni giocatori su forum ufficiali, dicono che si sia trattato di un modo per scoraggiare il razzismo e il suicidio.

Personalmente? Credo sia stata solo una trovata pubblicitaria della compagnia per evitare problemi dopo lo scivolone di Hong Kong: per chi non lo sapesse, durante uno streaming in diretta ufficiale di un altro loro gioco (Hearthstone), il giocatore professionista conosciuto come blitzchung aveva dichiarato il suo supporto verso le rivolte di Hong Kong.

Photo of Ng Wai Chung voicing support for the pro-democracy protests in Hong Kong.
blitzchung a destra con il volto coperto come i partecipanti alle rivolte di Hong Kong, screenshot di Mary Mijares – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=87901115

La Blizzard, spaventata da una possibile ritorsione della Cina che è sinonimo di soldi, tanti ma tanti soldi, aveva deciso di bannarlo e ritirargli il premio in denaro che aveva vinto: ovviamente, il mondo del web non è stato a guardare.

Critiche sono piovute da ogni parte, ritenendo che la compagnia avesse privato il giocatore del suo diritto di libero pensiero – ed una compagnia americana dovrebbe essere per la libertà dell’individuo (eh, come no).

Il ragazzo ha avuto modo di prendere parte al gioco dopo solo sei mesi di allontanamento, ma il danno ormai era stato fatto: non per questo, molti giocatori hanno smesso di giocare ai loro prodotti come forma di protesta.


Uno spray è così tanto importante da tirarci su un polverone di proteste? No, si vive anche senza. Sicuramente, non sarà uno spray a salvare il mondo dal razzismo o dalla violenza, in un gioco dove si spara e si ammazza in tutta tranquillità.

Ho sempre creduto che il cappio fosse un riferimento ai famosi film western stereotipati, con l’eroe di turno che si salva all’ultimo momento ancora con i polsi legati dietro alla schiena: ed Overwatch cosa credete che sia? Si tratta di un mondo futuristico con personaggi stereotipati (la mafia italiana, tanto per dirne una), colorati, che lottano contro dei robot impazziti o criceti.

Con il passare degli anni, si fa sempre più fatica a capire cosa sia politically correct e cosa no: una semplice immagine può essere innocua per me ma può rappresentare la fine del mondo per te. 

Basterebbe mettere un avvertimento all’inizio del tipo: si tratta di un lavoro di fantasia frutto del suo tempo, i personaggi sono finti doppiati da gente vera che lo fa per lavoro, siamo tutti aperti di mente, non pensiamo che vi dobbiate ammazzare con un cappio, né che vi dobbiate uccidere in base al colore della pelle. Se dovete uccidervi, fatelo nel gioco e proteggete il carico senza insultare il giocatore di turno, grazie. Se la vita vi ha fatto così male che dovete prendervela con qualcuno da dietro uno schermo, dovete dare un ordine alle vostre priorità. Finire tutto con una bella faccina 🙂 passivo-aggressiva.

Vi giuro che esistono giocatori che mettono cuoricini ❤ a fine partita, quelli che ringraziano o che fanno due battute simpatiche.

Oh.

Non siamo tutti cattivi.

Google Doodle, passatempo dal motore di ricerca

Per far fronte alla noia da quarantena, Google è corso ai ripari! Non sapete come impegnare solo 5, 10 minuti (oppure un intero pomeriggio)? Le serie TV vi hanno stancato o avete guardato l’intero catalogo Netflix?

Provate un po’ dei vecchi doodle che sono apparsi negli anni al posto del logo di Google sulla sua pagina principale.

Ma che cosa sono i Google Doodle?

Doodle in inglese è la parola per scarabocchio, i doodle sono rappresentazioni artistiche del logo di Google che in occasione di anniversari, feste, celebrazioni di ogni tipo è stato modificato.

Ogni paese può avere un doodle diverso in base all’occasione festeggiata: una festa prettamente britannica non comparirà sulla pagina di Google Italia per ovvi motivi e viceversa.

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Il primo doodle di Google, da Wikipedia.

Il primo Doodle fu ideato nel 1998 in occasione del festival Burning Man del Nevada, Stati Uniti; tra musica, arte e divertimento il sabato sera si brucia questo fantoccio chiamato appunto burning man (l’uomo che brucia).

Se all’inizio si trattava solo di immagini statiche, ad oggi il logo di Google è diventato interattivo, con tanto di video informativi, mini giochi musicali e quiz.

Ecco l’archivio completo: buon divertimento!

Cosa fai a Capodanno?

Domanda cliché entrata nell’immaginario di tutti, usata nei film, giornali scandalistici, internet e pure muri dei bagni, perché no.

Per quanto mi riguarda, io a Capodanno scrivo l’ultimo articolo del mese, nonché dell’anno 2019 che ci lascia per un nuovo a visione 2020.

(E mi riprendo dal caos che è stato il circo delle compere di Natale al negozio…)

Giochi da fare aspettando la mezzanotte

  • Monopoli non è consigliabile se siete permalosi: la partita finirebbe con un gran lancio di tabellone e pedine, case e alberghi inclusi.
  • Non si può non nominare il detective game Cluedo: chi è l’assassino? Puntualmente sarete voi e verrete fregati, magari senza nemmeno avere il tempo di formulare un’ipotesi degna di questo nome.
  • Se non siete capaci a disegnare, Pictionary è il gioco giusto: perderete contro il vostro parente o amico artista che farà indovinare qualsiasi cosa da lui disegnata alla sua squadra; nel frattempo, voi farete fatica nel cercare di disegnare una semplice casetta con giardino, in barba alle proporzioni.
  • Taboo è un altro gioco che vi farà rendere conto di come non sappiate sinonimi nella vostra stessa lingua, facendovi perdere la fiducia in voi stessi.

E che si fa a mezzanotte?

Sta per spegnersi e non ci vedrai più nulla nel buio, intontito dai botti.

Le stelline sono un classico del Capodanno, quelle che ti pizzicano le mani se non porti i guanti: si spengono dopo aver fatto un po’ di luce, lasciandoti con un tizzone usato nell’oscurità alla ricerca di una stellina nuova.

Le lanterne di carta sono un’ottima alternativa ai fuochi artificiali, magari esprimendo un desiderio per poi lasciarla volare sempre più in alto; peccato che poi possano prendere fuoco e piombare sui panni stesi, per le strade o sui giardini, provocando danni che forse sarebbe meglio evitare all’inizio di un nuovo anno.

Magari limitatevi alle stelline, va.

Consigliabile fare attenzione nel tenere il cellulare in mano, potrebbe scivolare fra un conteggio alla rovescia ed un bicchierino di spumante: se dovete fare gli auguri, fateli più tardi o non fateli proprio.

Se dovete mangiare le immancabili lenticchie che portano soldi, scaldatele un po’ che forse tiepide su un piatto di plastica non sono il massimo.

Passate una buana nottata, iniziate il 2020 al meglio e godetevi i fuochi artificiali.

Buon anno.

Quando le multinazionali si prendono in giro: come farsi pubblicità

Ronald McDonald’s e IT

Davanti al McDonald’s del centro commerciale della mia città c’è stata per parecchio tempo una panchina con sopra un fantoccio di Ronald McDonald dalla faccia spiritata, la mascotte del fast food. Il tempo gli aveva quasi portato via il naso, facendolo diventare meno rosso e sgargiante di una volta, senza parlare della tuta gialla ormai diventata color mostarda.

Non è lui, ma lo sguardo morto è quello e rende l’idea.

Il povero pagliaccio sparì dopo uno dei grandi rinnovi del locale: mi chiedo se l’abbiano chiuso in qualche buio magazzino, pronto a fare venire un infarto a gente con la fobia dei clown; sarà anche per questo suo aspetto inquietante che all’uscita del film IT nel 2017, il Burger King in Russia aveva chiesto di vietarne la proiezione, secondo loro Pennywise somigliava troppo a Ronald, pubblicizzando il McDonald’s.

Il palloncino rosso potrebbe confondere lo spettatore e fargli venire voglia di un hamburger, già.

In realtà, il ruolo di Ronald McDonald’s era quello di invogliare le persone a fermarsi lì per un po’, i bambini ci si aggrappavano come delle scimmie e poi le madri dovevano trascinarli via in due modi: o urlando in tutti i dialetti, o comprandogli un gelato da 0,50 centesimi (adesso ti costa il doppio).

Il gioco

Ronald fu anche a suo malgrado il protagonista di un gioco parodia non ufficiale sul McDonald’s: qui interpretavi il CEO del fast food dove bisognava cercare di avere più successo possibile, comprando il silenzio di politici o nutrizionisti, scegliendo se minacciare i tuoi dipendenti o andare in bancarotta. Insomma, una risposta “simpatica” alle tante accuse che negli anni sono piovute sulla multinazionale americana.

 

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Schermata iniziale del gioco

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Screenshot del gioco

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Screenshot del gioco

Dopo averci giocato il Mc non ne usciva molto bene, ma alla fin fine era pur sempre pubblicità gratuita: come se da domani le persone non andassero più a mangiarsi un BigMac.

Magari io no, ma ho visto con i miei occhi persone che alle cinque di pomeriggio si sono fatte pranzi succulenti a base di hamburger, piuttosto che un leggero tè e biscottini.

Contenti loro.

KFC

La Kentucky Fried Chicken, conosciuta anche come KFC, è un’altra catena di fast food americana molto famosa in giro per il mondo, specializzata come da titolo nel pollo fritto: famosi sono i cesti di carta pieni di pollo che basterebbero a sfamare una città di medie dimensioni.

Nel tempo il menù è variato, così da offrire anche hamburger, patatine e ovviamente bibite gassate, quando mai.

La mascotte è il fondatore stesso, il Colonnello Sanders, il tipo con gli occhiali neri e i capelli bianchi, baffi e pizzetto. Lo trovi sui poster, internet, sui sacchetti delle patatine, ovunque, un po’ come la controparte McDonald’s.

Notizia di qualche giorno fa è l’arrivo di un gioco dating simulator (simulatore di appuntamenti) del tutto demenziale, dove il giocatore potrà conquistare il cuore del Colonnello Sanders.

Non sto scherzando, ecco le prove, soffrite insieme a me.

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“I Love You, Colonel Sanders! A Finger Lickin’ Good Dating Simulator” sarà presto giocabile su PC solo in lingua inglese.

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Screenshot del gioco da Steam

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Screenshot del gioco da Steam

Box con sotto i dialoghi, personaggi patinati che sembrano usciti da un anime, musica allegra e tintinnante, non gli manca niente: ti lascia basito, ti stropicci gli occhi e ti chiedi che cosa cavolo ho appena visto?

Credevo si trattasse di una parodia come il gioco del McDonald’s, ma invece no, l’editore è proprio la KFC: il loro logo è pure nel trailer. Il gioco sarà del tutto gratuito, anche perché sfido chiunque a trovare qualcuno che ci voglia buttare dei soldi reali per averlo.

Chiamali fessi! Non è altro che un modo per farsi pubblicità, un modo bizzarro direi, ma pur sempre efficace. Prendendo in giro sia loro stessi che i videogiocatori, hanno fatto parlare del loro pollo fritto in un modo o nell’altro: chissà se aumenteranno veramente le vendite.

Devo fare un gioco anche io basato sui miei racconti? Potrebbe essere una buona idea (o un suicidio professionale).

The Shadow World, un gioco di carte con storie sempre nuove

The Shadow World come da titolo, è un gioco di carte dove la fantasia del giocatore è stimolata continuamente. Vediamolo insieme, perché io mi sono molto divertita a giocarci. Fidanzato me l’ha regalato tempo fa per il compleanno, essendo appassionati di giochi da tavolo: qui ci hanno seguito solo una minima parte di quelli che sono rimasti in Italia!

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La scatola ricorda proprio un libro pronto per essere letto: la copertina è una piccola opera d’arte. Non mancano balene volanti, robot ed ingranaggi… Sì, va bene, tutto bello, ma come si gioca? E queste carte, come sono?

Il Gioco

Benvenuto nello Shadow World, un mondo oscuro che si trova proprio sotto la Londra Vittoriana: chi si nasconde alla gente comune, che creature si celano fra le ombre? Sta al giocatore a raccontarlo.

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Ci sono ben 20 carte l’una diversa dall’altra, che però possono essere affiancate per creare dei paesaggi orizzontali sempre nuovi: messe insieme, formano una fila che va oltre 1.70 metri! Il termine esatto per queste carte sarebbe myriorama, carte illustrate in voga nel 19° secolo che potevano essere disposte in qualsiasi ordine per creare dei panorami sempre differenti.

Le modalità di gioco sono varie, ma la mia preferita è sicuramente la più semplice: a turno, il giocatore pesca una carta e la mette a faccia in su davanti a sé, inventando una storia che si leghi alla scena. Si segue fino alla fine del mazzo, cercando di dare sempre un senso logico alla propria storia.

Le illustrazioni di Shan Jiang sono mozzafiato, tanto che si rimane incantanti nell’osservarle una ad una per essere sicuri di non farsi sfuggire nessun dettaglio.

Se vi divertite ad inventare storie, siete amanti della fantascienza o del genere steampunk, questo gioco fa per voi.

Provare per credere!

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Esperienza della prima partita? Esilarante!

La prima volta che io e Fidanzato abbiamo giocato a questo gioco, abbiamo usato solo cinque carte a testa: meno sono le carte, più corta è la storia da raccontare.

Pensavo che così fosse più semplice, ma mi sbagliavo.

Tra carte con sopra disegnati scienziati pazzi, pesci, balene volanti e lupi mannari, la mia storia ha preso una piega poco ortodossa: vi dico solo che c’era pure un detective che aveva le allucinazioni, manco il bambino che vedeva la gente morta nel Sesto Senso arrivava ai suoi livelli.

E non finisce qui

Dello stesso genere di The Shadow World, c’è anche The Mystery Mansion (ambientato in una misteriosa casa di campagna) e The Hollow Woods (ambientato in una foresta abitata da creature sovrannaturali).

Lasciate libera la fantasia!

Si possono trovare tutti su Amazon UK. 😊

Film – Ready Player One (2018)

La locandina del film

Ecco una recensione nuova nuova su un film meno nuovo, uscito in Italia il 28 marzo 2018. Avendo finito di leggere il libro ed avendo visto anche il film, non potevo non parlare di Ready Player One – visto che sono una grande patita di videogiochi!

Il film è l’adattamento del libro omonimo scritto da Ernest Cline e pubblicato nel 2010: dopo ben 8 anni, la storia è approdata al cinema diretta da Steven Spielberg (sì, proprio lui).

Se da una parte è un film godibile, dall’altra mi ha deluso un po’, ma andiamo per ordine!

A caccia di Easter Egg

Siamo nel 2045, nella città di Columbus, Ohio, e la voce narrante di Wade Watts ci spiega cosa è successo negli ultimi anni alla società per farla diventare così disastrata: le persone ormai vivono ammassati in container o in roulotte una su l’altra, connesse per quasi tutta la giornata al mondo di OASIS, un universo virtuale dove ci si può creare un proprio avatar (umano, orco, elfo, quello che si vuole) e guadagnare crediti virtuali per comprare armi, mezzi di trasporto, abiti. Creato in origine come un solo luogo per giocare, OASIS nel tempo è divenuto parte integrante della società, tanto da portare le persone a indebitarsi per poter continuare a potenziare il proprio personaggio ed essere sempre il migliore.

Quando uno dei due fondatori di OASIS, James Halliday, muore, lancia una gigantesca caccia all’Easter Egg: i giocatori devono superare delle prove per trovare 3 chiavi che li porteranno ad avere il controllo di OASIS, oltre che una grande somma di crediti a loro disposizione. Purtroppo, dopo anni, nessun giocatore riesce a superare nemmeno la prima prova: una corsa automobilistica che puntualmente finisce con la morte digitale dei concorrenti (che devono ripartire dal livello 1).

Wade ha 17 anni e vive con la zia da quando i suoi genitori sono morti, rifugiandosi nel mondo di OASIS come tantissimi altri ragazzi. Ossessionato da Halliday, si lancia anche lui nella sfida on-line, sfidando apertamente la multinazionale Innovative Online Industries (ed il suo CEO Nolan Sorrento)che vorrebbe prendere il controllo di OASIS per poter monetizzare il mondo virtuale.

Fortunatamente, Wade non è solo: è in compagnia di Aech, un orco alto ma buono e di Art3mis, una giocatrice famosissima e ossessionata da Halliday tanto quanto Wade. A loro si aggiungeranno anche Daito e Sho, amici di Aech. Più avanti nella storia, i ragazzi si incontreranno nella vita reale, scoprendo che a volte dietro l’avatar ci possono essere delle sorprese.

Le tre chiavi, libro vs. film

Le prove per aggiudicarsi le tre chiavi sono diverse rispetto a quelle nel libro: il pubblico del cinema deve essere intrattenuto diversamente rispetto ad un lettore, mostrandogli esplosioni, mostri giganteschi, fulmini e saette. Così, ecco che nel film c’è uno spazio nuovo per Wade: gli archivi di Halliday, dove poter trovare ogni informazione riguardo la vita del creatore di OASIS, dalle serie TV e film preferiti alla sua stessa vita, mostrandoci i ricordi. Qui, il ragazzo può ripassare per cercare di risolvere gli indizi di Anorak, l’avatar mago di Halliday.

La prima chiave viene data alla fine della corsa automobilistica, rispetto al libro dove il giocatore doveva attraversare un dungeon (come nel gioco di ruolo Dungeons & Dragons) per poi giocare a Joust (gioco arcade) contro Anorak.

La seconda chiave è nascosta dentro una ricreazione del film Shining, così che Wade, Art3mis ed Aech devono attraversare gli orrori dell’Overlook hotel: è stato molto divertente e sicuramente più avvincente rispetto al libro, in cui Wade doveva viaggiare su di un pianeta dove era ricreata la casa d’infanzia di Halliday e doveva giocare a Dungeons of Daggorath sul vecchio TRS-80.

TRS-80, fonte wikia

La terza chiave nel film si trova sul pianeta Doom in un vulcano, dove però Sorrento ha fatto mettere un potentissimo campo di forza da i-R0k (interpretato da T.J. Miller), così da non far arrivare nessun altro utente tranne che i suoi dipendenti. Alleandosi con giocatori da tutto il mondo, Wade riesce ad entrare nel vulcano, dove lo attende una console Atari 2600 e deve giocare ad Adventure. Qui, per avere la terza chiave, Wade deve trovare l’Easter Egg nascosto nel gioco, nonché il primo nella storia (il creatore Warren Robinett, inserì la scritta created by Warren Robinett in una stanza segreta). Nel libro tutto questo non c’è, dato che la chiave per aprire il terzo cancello si può acquisire solo dopo aver suonato per intero 2112 dei Rush e tra l’altro, non si potrà nemmeno aprire se non ci sono altri utenti con l’ultima chiave a farlo! L’unione fa la forza, no?

Easter Egg dal videgioco Adventure, Atari, 1979 (immagine presa da YouTube)

Tiriamo le somme

Allora, è chiaro che questo sia un film fatto da fan (lo scrittore del libro gira dentro una DeLorean) per i fan: amanti della cultura pop anni ’80, dei videogiochi e degli effetti speciali. Sicuramente, ho apprezzato molto la presenza di personaggi di videogiochi importanti come guest-star! Ce ne sono stati così tanti che bastava chiudere gli occhi un attimo per perdersene qualcuno.

Non ho apprezzato il fatto che i personaggi principali del film risultassero quasi onnipotenti, quando nel libro erano persone comuni rintanate in OASIS per sfuggire dalla tristezza e della solitudine della vita reale; nel libro, vengono aiutati dal co-fondatore di OASIS, nonché vecchio amico di Halliday, Ogden Morrow, a sfuggire dalla temibile multinazionale che li vuole morti. Nel film, Morrow (interpretato da Simon Pegg che usa un accento americano molto credibile) viene fatto vedere un paio di volte, per poi scoprire alla fine di essere stato il curatore degli archivi sin dall’inizio. Certo, è fondamentale per la sopravvivenza di Wade (poiché gli consegna una moneta extra life, una vita in più, che gli permette di non morire contro Sorrento), ma mi sarebbe piaciuto vederlo di più in azione… Dopotutto, aveva fondato OASIS con Halliday, non era il primo tizio a caso che passava di lì.

Alla fine, Ready Player One è un film buono che può piacere a tutti gli amanti dell’avventura, del fantasy e della fantascienza.

A quando l’uscita di OASIS per andarci a vivere per davvero? La realtà virtuale è sempre più vicina, dopotutto.

Al prossimo film!

boop