L’Ultimo Giorno della Terra

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Che ci possiamo fare.

L’ultimo giorno della Terra la sveglia è suonata alle sei e mezza, stanza da letto immersa nel buio, sempre nel buio; la luce bluastra della televisione illuminava fiocamente il salotto, le immagini tetre si rispecchiavano sul bordo trasparente della tazzina da caffè.

Il sonno ancora intorpidiva il corpo stanco e pallido, ma tra un sorso alla bevanda calda e un morso ad una galletta insipida, si trovava il tempo per cercare di assimilare le notizie provenienti dal mondo spezzato.

La voce del giornalista in televisione era dura, la Terra è condannata; poi la trasmissione si interrompeva per la pubblicità di qualche profumo e si dimenticava tutto con una sgrullata di spalle.

Bisognava andare a lavoro.

Che ci possiamo fare.

***

L’ultimo giorno della Terra si andava a scuola, mascherina bianca su bocca e naso, occhiali per proteggere la vista; appena si usciva da casa, una coltre di nube scura e pesante abbracciava il tuo corpo, minacciando di avvelenarne ogni cellula.

Entrati nell’edificio ci si toglieva di dosso ogni capo protettivo, sbattendo le palpebre più volte per abituare la vista alla luce al neon improvvisa.

Luce artificiale.

“In classe, in classe,” borbottava il bidello, dando colpetti decisi al muro con un pugno, “devo chiudere le porte.”

In aula i ragazzi si sedevano ai banchi, spettegolando di qualche ragazzo di quinto e della sua ultima bravata in palestra; qualcuno mandava messaggi sul cellulare, un altro like, un altro cuore sotto una foto di una foresta in fiamme.

“Buongiorno,” l’insegnante entrava in classe salutando, posava la borsa sulla cattedra.

Ora di matematica.

Che ci possiamo fare.

***

L’ultimo giorno della Terra era come tanti altri, immerso nel buio dell’ignoranza e dell’egoismo.

Era un giorno come tanti altri.

Che ci possiamo fare.