Stories Untold, un videogioco dall’atmosfera anni ’80

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Quattro storie. Un incubo.

Se siete fan di Stranger Things, forse questa locandina vi sembrerà familiare: è stata realizzata dallo stesso illustratore inglese Kyle Lambert, noto per i suoi poster illustrati.

Stories Untold però non è una serie TV ma un videogioco rompicapo in quattro episodi, ognuno con una trama e meccanica di gioco diversa, ambientato nel 1986 in Inghilterra.

Ci ho giocato per voi, e devo dire che ne è valsa veramente la pena: possibile che un gioco senza mostri apparenti possa spaventare?

Niente è ciò che sembra.

Episodio Uno – The House Abandon

Sei tornato nella vecchia casa della tua infanzia, dove trovi un vecchio schermo di una TV per giocare al gioco The House Abandon sulla console fittizia Futuro 128k +2. Seguendo la storia del personaggio, si cerca di capire cosa sia accaduto alla vecchia casa, tra rumori inquietanti e suoni da far accapponare la pelle.

Episodio Due – The Lab Conduct

Interpreti un certo Mr. Aition, chiuso in una stanza di un laboratorio; sotto le indicazioni del Dottor Daniel Alexander, devi eseguire delle semplici azioni per completare una serie di esperimenti su quello che sembra essere un cuore di una creatura aliena, chiamato artefatto 23.

Episodio Tre – The Station Process

Questa volta interpreti James, personaggio bloccato in una stanza di monitoraggio nel profondo della Groenlandia; seduto alla scrivania, dovrai ascoltare i tuoi colleghi, anche loro bloccati in altre stazioni, parlare di qualcosa che pare stia devastando il campo. Tra una frequenza e l’altra, dovrai spostare le stazioni radio per andare avanti nella narrazione e cercare salvarti.

Episodio Quattro – The Last Session

Finalmente tutte le domande che ci siamo posti avranno una risposta: nell’ultima parte del gioco, interpreti James Aition durante una delle tante sessioni di psicoterapia con il Dottor Daniel Alexander (proprio lo scienziato dall’episodio 2). James si sta riprendendo dopo il brutto incidente stradale che ha avuto due settimane prima, dove sua sorella e un altra persona hanno perso la vita.

Muovendosi nello spazio dell’ospedale, si scoprirà la verità: le storie a cui abbiamo giocato prima solo solo una distorsione della realtà di James, basate sulla sua seria TV preferita, Stories Untold, in un modo quasi disperato per cercare di reprimere il senso di colpa ed i ricordi dell’incidente.

Il gioco è disponibile su Steam e su Epic Store, ma sul tubo esistono molti gameplay che vi possono dare un’idea di come sia inquietante questo piccolo gioiellino.

Non nego che più volte ho fatto salti dalla sedia, ma in mia difesa stavo giocando con le cuffie e non mi aspettavo certi suoni dal nulla.

Avrei dovuto.

Screenshot del primo episodio, da Steam.

Ogni episodio termina bruscamente, proprio quando sta per arrivare il copo di scena, lasciando lo spazio al buio; e te ne stai lì, davanti allo schermo del PC, confuso più che mai ma con la voglia di conoscere la verità.

Vi lascio con il trailer e la sigla.

The Sims compie 20 anni, simulare la vita al PC

The Sims ha compiuto 20 anni il 4 febbraio: era il lontano 2000 quando uscì per la prima volta il gioco simulatore di vita. Ideata dal visionario Will Wright già famoso per Sim City, The Sims è la serie di videogiochi che ha riscontrato il maggior successo nella storia del personal computer.

Ragazzini ed adulti hanno trascorso ore ed ore davanti allo schermo del PC o della console, costruendo la loro casa dei sogni per permettere ai loro sims (i personaggi) di vivere la loro vita virtuale.

Logo del primo gioco della serie The Sims.

Con The Sims potevi scegliere il look del tuo personaggio, formare una famiglia, andare a lavoro, avere figli e mandarli a scuola: guai a non farlo o sarebbero stati mandati all’accademia militare per non tornare mai più! Bisognava far attenzione a catastrofi quali incendi in cucina ed invasioni di scarafaggi… 

Non dimenticherò mai quel compleanno dove mezza dozzina di invitati vennero presi dalle fiamme, scaturite dalla candela della torta, ahimè.

Volevi una piscina in giardino? Bene, dovevi stare attento a non dimenticarti la scaletta: i poveri personaggi avrebbero continuato a nuotare fino allo sfinimento e all’arrivo del Tristo Mietitore.

Ah, potevi essere anche rapito dagli alieni mentre osservavi il cielo con il telescopio.

Un po’ macabro? Forse sì, ma si trattava solo di una grande parodia del nostro gioco principale che si chiama vita.

Per il resto, l’esistenza dei nostri personaggi poteva essere del tutto tranquilla; l’unica pecca era che non potevano invecchiare ed esistevano solamente adulti e bambini, bloccati per tutta la durata del gioco nella casa di partenza.

Il successo del gioco portò all’uscita di altre espansioni, con nuovi oggetti e mobili con cui arredare la casa: per esempio, con Superstar si poteva finalmente diventare famosi, con Nightlife vennero introdotte le auto.

The Sims 2, EA

Nel 2004 venne pubblicato The Sims 2: i sims potevano invecchiare dall’infanzia fino alla vecchiaia, avere aspirazioni, vivere in un appartamento invece che nella solita casa di partenza; la settimana era scandita da attività quotidiane e i pasti venivano divisi in colazione-pranzo-cena.

Certo, gli alieni potevano ancora rapirti, ma non pensiamoci troppo.

Molte furono le critiche.

Alcune persone affermavano di come potesse esporre gli adolescenti al sesso e alla nudità, rendendolo un gioco inadatto ai più piccoli: con l’ausilio di alcuni trucchi si poteva infatti togliere la censura ai sims mentre erano sotto la doccia, ammirando dei pupazzi alla Barbie e Ken; altri ancora erano infastiditi dal fatto che il giocatore potesse decidere di formare una famiglia omosessuale.

C’e da dire che queste accuse furono del tutto ridicole e non fermarono il successo del gioco.

Nel 2009 uscì The Sims 3: comprendeva un’intera cittadina da poter giocare ed esplorare, ma con lunghi tempi di caricamento. Cliccavi e gioca ed aspettavi almeno un quarto d’ora prima di poter iniziare una partita.

The Sims 3, EA

Abituati a The Sims 2 con tutte le sue frizzanti espansioni, iniziare da capo con il 3 fu un trauma poiché non c’era nulla da poter fare di extra: niente Università, niente animali domestici o locali notturni.

Ovviamente i contenuti aggiuntivi vennero pubblicati nel tempo, con grafica all’avanguardia e sims molto più espressivi e colorati.

Si poteva perfino creare la texture per i mobili e i capelli dei propri sims, senza dimenticare l’espansione dei tatuaggi.
Peccato bisognasse aspettare.

E aspettare.

Oggi

Dopo 20 anni, stiamo giocando a The Sims 4 che è completamente diverso rispetto al primo dove non si poteva nemmeno fare una passeggiata in piazza.

Uscito nel 2013, ad oggi sono state pubblicate otto espansioni che continuano ad aumentare le possibilità di una vita sempre diversa per i nostri sims.

Adesso i sims sono molto personalizzabili, tanto da poter cambiare non solo il taglio di capelli e colore, ma anche dimensione dei fianchi, gambe, braccia, seno e sesso: insomma, si può creare un mondo senza pregiudizi.

Poco importa le critiche che possa ricevere da gente ottusa e bigotta: credo che sentiremo parlare di The Sims per molti anni ancora in futuro.

Vigamus – Il Museo del Videogioco

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Entrata dell museo.

Un mese fa, ho avuto modo di visitare Vigamus – Il Museo del Videogioco a Roma e si è rivelato essere una piacevole scoperta.

Nonostante sia di dimensioni contenute, il Museo del Videogioco ti racconta la storia del gioco videoludico, dagli albori di Pong fino ai contenuti più all’avanguardia; i pannelli illustrativi colorati e dettagliati sono sia in italiano che in inglese, invitando alla lettura anche i turisti.

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ZX Spectrum Plus dell’inglese Sinclair Research, principale concorrente della più famosa console Commodore 64 in Europa.

Non mancano teche espositive con console delle generazioni precedenti: molte di queste non le avevo mai viste dal vivo, essendo classe 1993.

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Scegli il tuo preferito!

I Game Boy coloratissimi uno accanto all’altro mi hanno fatto ricordare di quando alle elementari ci si giocava gomito a gomito con il bambino di turno che li possedeva: se una volta erano solo un semplice gioco per bambini, adesso sono la storia.

Come passano gli anni, eh?

Il fallimento dell’ATARI e la sepoltura di E.T.

Logo

Una parte del museo è dedicata alla storia della Atari, casa produttrice statunitense che per anni ha dominato il mondo videoludico fino al 1983, quando fallì definitivamente per via della crisi del mercato dei videogiochi.

“Nel luglio del 1982, sull’onda del successo del film E.T., Atari ottenne i diritti per realizzarne il videogioco ufficiale. A Steven Spielberg erano stati promessi 25 milioni di dollari di royalty e che il gioco sarebbe uscito per Natale. Con così poco tempo per svilupparlo, l’autore Scott Warshaw non poté compiere miracoli: E.T. era brutto da vedere e pessimo da giocare. I cinque milioni di cartucce prodotte restarono praticamente invenduti.” – da un pannello espositivo del museo.

Pubblicità del gioco

La storia di E.T. mi ha colpito più di tutti, diventato simbolo del fallimento dell’Atari, tanto da finire in una discarica improvvisata, sotto metri e metri di sabbia del deserto di Alamogordo nel New Messico negli Stati Uniti.

Per anni sembravano solo dicerie, una bizzarra leggenda metropolitana, ma nel 2014 alcuni scavi portarono alla luce cartucce di E.T., Centipede, Asteroid e quant’altro rimasto invenduto dopo il fallimento dell’Atari. Al riguardo, esiste un documentario molto interessante diretto da Zak Penn, Atari: Game Over.

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Uno dei tanti giochi di E.T. ritrovati nel deserto ed esposto al museo con tanto di certificato di autenticità.

Al museo ho avuto modo di provarlo, rendendomi conto di quanto fosse frustrante da giocare in prima persona: non c’era verso che E.T. uscisse fuori da quel burrone, spostandosi in alto solo per poi caderci rovinosamente dentro.

Ancora, ancora e ancora.

A volte il successo di un film non può essere equivalente a quello di un eventuale videogioco: in questo caso è stato un fallimento catastrofico.

Giocare in prima persona

Durante la visita si ha la possibilità di provare tanto altri giochi arcade come Street Fighter ma anche giochi più moderni: dopo 15 anni ho provato nuovamente l’ebbrezza di impugnare la chitarra giocattolo di Guitar Hero, incriccandomi le dita per benino.

Suonare una chitarra vera è meno difficile, ve lo garantisco, ma lo rifarei subito.

Non mancano PlayStation e Xbox, con giochi più moderni come Assassin’s Creed e Mass Effect.

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E non poteva mancare Fix-It Felix, il gioco protagonista del film Disney Ralph Spaccatutto: in occasione dell’uscita del film nel 2012, venne prodotto il videogioco a grandezza naturale!


Per chiunque sia interessato nel visitare il museo, anche solo per giocare a giochi classici che hanno fatto la storia, potete trovare altre informazioni presso il suo sito internet: http://www.vigamus.com/.

Quando le multinazionali si prendono in giro: come farsi pubblicità

Ronald McDonald’s e IT

Davanti al McDonald’s del centro commerciale della mia città c’è stata per parecchio tempo una panchina con sopra un fantoccio di Ronald McDonald dalla faccia spiritata, la mascotte del fast food. Il tempo gli aveva quasi portato via il naso, facendolo diventare meno rosso e sgargiante di una volta, senza parlare della tuta gialla ormai diventata color mostarda.

Non è lui, ma lo sguardo morto è quello e rende l’idea.

Il povero pagliaccio sparì dopo uno dei grandi rinnovi del locale: mi chiedo se l’abbiano chiuso in qualche buio magazzino, pronto a fare venire un infarto a gente con la fobia dei clown; sarà anche per questo suo aspetto inquietante che all’uscita del film IT nel 2017, il Burger King in Russia aveva chiesto di vietarne la proiezione, secondo loro Pennywise somigliava troppo a Ronald, pubblicizzando il McDonald’s.

Il palloncino rosso potrebbe confondere lo spettatore e fargli venire voglia di un hamburger, già.

In realtà, il ruolo di Ronald McDonald’s era quello di invogliare le persone a fermarsi lì per un po’, i bambini ci si aggrappavano come delle scimmie e poi le madri dovevano trascinarli via in due modi: o urlando in tutti i dialetti, o comprandogli un gelato da 0,50 centesimi (adesso ti costa il doppio).

Il gioco

Ronald fu anche a suo malgrado il protagonista di un gioco parodia non ufficiale sul McDonald’s: qui interpretavi il CEO del fast food dove bisognava cercare di avere più successo possibile, comprando il silenzio di politici o nutrizionisti, scegliendo se minacciare i tuoi dipendenti o andare in bancarotta. Insomma, una risposta “simpatica” alle tante accuse che negli anni sono piovute sulla multinazionale americana.

 

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Schermata iniziale del gioco
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Screenshot del gioco
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Screenshot del gioco

Dopo averci giocato il Mc non ne usciva molto bene, ma alla fin fine era pur sempre pubblicità gratuita: come se da domani le persone non andassero più a mangiarsi un BigMac.

Magari io no, ma ho visto con i miei occhi persone che alle cinque di pomeriggio si sono fatte pranzi succulenti a base di hamburger, piuttosto che un leggero tè e biscottini.

Contenti loro.

KFC

La Kentucky Fried Chicken, conosciuta anche come KFC, è un’altra catena di fast food americana molto famosa in giro per il mondo, specializzata come da titolo nel pollo fritto: famosi sono i cesti di carta pieni di pollo che basterebbero a sfamare una città di medie dimensioni.

Nel tempo il menù è variato, così da offrire anche hamburger, patatine e ovviamente bibite gassate, quando mai.

La mascotte è il fondatore stesso, il Colonnello Sanders, il tipo con gli occhiali neri e i capelli bianchi, baffi e pizzetto. Lo trovi sui poster, internet, sui sacchetti delle patatine, ovunque, un po’ come la controparte McDonald’s.

Notizia di qualche giorno fa è l’arrivo di un gioco dating simulator (simulatore di appuntamenti) del tutto demenziale, dove il giocatore potrà conquistare il cuore del Colonnello Sanders.

Non sto scherzando, ecco le prove, soffrite insieme a me.

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“I Love You, Colonel Sanders! A Finger Lickin’ Good Dating Simulator” sarà presto giocabile su PC solo in lingua inglese.

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Screenshot del gioco da Steam
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Screenshot del gioco da Steam

Box con sotto i dialoghi, personaggi patinati che sembrano usciti da un anime, musica allegra e tintinnante, non gli manca niente: ti lascia basito, ti stropicci gli occhi e ti chiedi che cosa cavolo ho appena visto?

Credevo si trattasse di una parodia come il gioco del McDonald’s, ma invece no, l’editore è proprio la KFC: il loro logo è pure nel trailer. Il gioco sarà del tutto gratuito, anche perché sfido chiunque a trovare qualcuno che ci voglia buttare dei soldi reali per averlo.

Chiamali fessi! Non è altro che un modo per farsi pubblicità, un modo bizzarro direi, ma pur sempre efficace. Prendendo in giro sia loro stessi che i videogiocatori, hanno fatto parlare del loro pollo fritto in un modo o nell’altro: chissà se aumenteranno veramente le vendite.

Devo fare un gioco anche io basato sui miei racconti? Potrebbe essere una buona idea (o un suicidio professionale).

Lasciate in pace i videogiochi, non ti rendono violento

Era ovvio che la lobby delle armi americana non potesse stare zitta troppo a lungo: nel giro di 24 ore dai massacri che ci sono stati in Ohio e in Texas questo weekend, sono corsi a dare la colpa ai videogiochi. Ogni volta che c’è un massacro, si cerca di dare la colpa agli altri: internet, musica metal, satanismo, droghe, bullismo.

Guarda caso, non è mai colpa delle armi, macché. Tanto, per certi tipi arancioni con il parrucchino, tutto si risolverebbe vendendo più armi alla gente, così da fare il Far West per le strade del mondo moderno.

E non parliamo di quando capita un massacro scolastico: come si risolverebbe in quel caso? Si vieta a un ragazzo minorenne di comprare facilmente una pistola? Se ne discute seriamente mettendo come priorità la salvaguardia della vita delle persone? Ma quando mai: basterebbe dare le pistole agli insegnanti.

Dopotutto, stiamo parlando del paese che produce armi rosa e blu che sembrano dei giocattoli ma che non lo sono affatto: la tua piccola stellina può imparare a sparare al tuo fianco, iniziando con le bottiglie di vetro e finendo una decina di anni dopo con i suoi compagni di classe.

Vai in guerra, mica a scuola.

La violenza negli sparatutto e nella musica

I videogiochi che secondo alcuni grandi luminari dovrebbero essere vietati per scongiurare stragi nella vita reale, sono i first person shooter (FPS) ovvero gli sparatutto in prima persona. Per chi non se ne intende, sarebbero quei video giochi dove la visuale coincide con quella del personaggio, sparando a destra e a sinistra nemici a più non posso.

Screenshot del primo gioco di Doom, Wikipedia

Doom fu il primo ad essere additato come causa del massacro della Columbine High School nel 1999, quando si scoprì che i due studenti autori del massacro erano degli avidi giocatori di questo gioco. In quel caso, accusarono anche il cantante Marylin Manson e la band tedesca Ramstein, come se fossero state le loro canzoni ad invogliare quei due ragazzi ad uccidere.

Ovviamente è risaputo che tutti i loro fan siano dei pazzi assassini, ai concerti muoiono tutti ogni volta, che strazio.

Ma per favore, va, siamo seri.

La PEGI

Vi svelerò un segreto: oggi, esiste un sistema di classificazione dei videogiochi che permette al bravo genitore di scegliere il gioco adatto all’età del proprio pargolo. Negli Stati Uniti c’è la ESRB (Entertainment Software Rating Board), mentre in Europa abbiamo la PEGI (Pan European Game Information), divisa in fasce di età in base al contenuto.

Sono i videogiochi per tutti, che possono essere quelli sportivi o quelli di Super Mario Bros, per fare un esempio. Non si traumatizza nessuno, pace fatta.

Sono i videogiochi dove possono spaventarsi i più piccoli, magari hanno un mostro o fantasma stilizzato che spunta all’improvviso mentre stai facendo correre la macchinina di Cip e Ciop e allora puoi restare turbato se hai 3 anni.

Ne fanno parte i videogiochi per i pre-adolescenti: ci può essere della nudità non troppo esplicita, della violenza o qualche parola di troppo che non sarà mai peggio di quello che si sente in TV. World of Warcraft e Legend of Zelda sono PEGI 12, ma anche il simulatore di vita The Sims.

I giochi di questa categoria hanno una violenza più realistica, qualche personaggio potrebbe parlare di alcool, droghe, sesso ma non ci troverete della pornografia. La serie di Uncharted, dove si interpreta un cacciatore di tesori stile Indiana Jones, ne è un esempio.

I giochi vietati ai minori possono essere più espliciti per quanto riguarda la violenza, le scene di sesso, menzione e uso di droghe e alcool. Ne fanno parte videogiochi di guerra, sparatutto come Bioshock o Doom, ma anche la serie di Assassin’s Creed. A volte ci sarà sangue a quantità, altre volte sarà solo un horror psicologico che non vi farà dormire la notte oppure una semplice visual novel (storia narrativa) dalle trame piccanti.


Sì, è pazzesco! Un genitore può evitare di comprare un gioco violento al figlio leggendo la scatola del gioco!

Incredibile!

Se dei ragazzini delle medie riescono a giocare a giochi vietati ai minori come Grand Theft Auto, mettendo sotto la gente con le macchine senza che i genitori lo sappiano, di chi è la colpa? Della Rockstar che ha osato pubblicare il gioco in primis o del genitore che non si è informato abbastanza?

Giochi online e Battle Royale

Idem per quanto riguarda Fortnite o Minecraft che vanno fortissimo tra i giovanissimi: sono giochi PEGI 12, peccato che però ci giochino pure i bambini delle elementari. Inoltre, Fortnite è un gioco online, vale a dire che si gioca su internet e in chat vocale non vi dico le dolci parole soavi che volano dalle cuffie. Obbiettivo del gioco? Ammazzare tutti e restare l’unico sopravvissuto.

Ovviamente, questa modalità di gioco è palesemente ispirata al libro Battle Royale di Koushum Takami dove dei ragazzini delle medie vengono scelti per un sadico programma governativo e mandati su un’isola a combattere l’uno contro l’altro fino alla morte. Se il libro è una forte critica sociale e politica, il gioco è solo un amazza-distruggi-ammazza.

Ah, il libro è chiaramente per un pubblico adulto, tanto per dire.

Per finire

Vi svelo un segreto, che tanto segreto non è. Anche io ascolto i Rammstein di tanto in tanto, al liceo andavo in giro con il camicione alla Kurt Cobain o mi truccavo pesantemente gli occhi che a fine giornata sembravo un panda strafatto. Ci sono state delle giornate che avrei dato fuoco alla scuola, ma quelle quattro mura stanno ancora in piedi.

Gioco tutt’ora a videogiochi ritenuti violenti o pericolosi e sono maggiorenne, sia chiaro. Per farvela semplice, in Bioshock interpreti un poveraccio che cade con un aereo di linea nel mezzo dell’Oceano e finisce in una città segreta sotto il mare; qui deve ammazzare la gente che è uscita fuori di testa per colpa di una droga e lo attaccano da tutte le parti con tanto di palle di fuoco.

Non mi sono mai drogata per cercare di acquisire poteri paranormali, né mi è mai venuta voglia di andare a sparare con un fucile a pompa in piazza; semmai mi è venuta voglia di scriverci sopra le peggio storie, perché la trama è divina e non ci ho reso giustizia con la spiegazione dozzinale qui sopra. Mea culpa.

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Collezione della serie Bioshock, ambientata nella città sottomarina di Rapture e Columbia tra le nuvole… “There’s always a lighthouse, there’s always a city, there’s always a man.”

I videogiochi non sono la causa della violenza negli Stati Uniti: si gioca in tutto il globo, eppure i massacri così gratuiti avvengono lì come se fossero la normalità. Pensare di non poter andare a fare la spesa in tranquillità o di doversi preoccupare che in classe possa piombare un tuo compagno di scuola con un fucile d’assalto è da pazzi.

Lasciassero in pace i videogiochi e la musica, cominciassero a farsi un serio esame di coscienza.

Grazie.

Video games ruined my life, good thing I have two more. ❤️❤️

I video giochi mi hanno rovinato la vita, per fortuna ne ho due in più. ❤️❤️

Film – Ready Player One (2018)

La locandina del film

Ecco una recensione nuova nuova su un film meno nuovo, uscito in Italia il 28 marzo 2018. Avendo finito di leggere il libro ed avendo visto anche il film, non potevo non parlare di Ready Player One – visto che sono una grande patita di videogiochi!

Il film è l’adattamento del libro omonimo scritto da Ernest Cline e pubblicato nel 2010: dopo ben 8 anni, la storia è approdata al cinema diretta da Steven Spielberg (sì, proprio lui).

Se da una parte è un film godibile, dall’altra mi ha deluso un po’, ma andiamo per ordine!

A caccia di Easter Egg

Siamo nel 2045, nella città di Columbus, Ohio, e la voce narrante di Wade Watts ci spiega cosa è successo negli ultimi anni alla società per farla diventare così disastrata: le persone ormai vivono ammassati in container o in roulotte una su l’altra, connesse per quasi tutta la giornata al mondo di OASIS, un universo virtuale dove ci si può creare un proprio avatar (umano, orco, elfo, quello che si vuole) e guadagnare crediti virtuali per comprare armi, mezzi di trasporto, abiti. Creato in origine come un solo luogo per giocare, OASIS nel tempo è divenuto parte integrante della società, tanto da portare le persone a indebitarsi per poter continuare a potenziare il proprio personaggio ed essere sempre il migliore.

Quando uno dei due fondatori di OASIS, James Halliday, muore, lancia una gigantesca caccia all’Easter Egg: i giocatori devono superare delle prove per trovare 3 chiavi che li porteranno ad avere il controllo di OASIS, oltre che una grande somma di crediti a loro disposizione. Purtroppo, dopo anni, nessun giocatore riesce a superare nemmeno la prima prova: una corsa automobilistica che puntualmente finisce con la morte digitale dei concorrenti (che devono ripartire dal livello 1).

Wade ha 17 anni e vive con la zia da quando i suoi genitori sono morti, rifugiandosi nel mondo di OASIS come tantissimi altri ragazzi. Ossessionato da Halliday, si lancia anche lui nella sfida on-line, sfidando apertamente la multinazionale Innovative Online Industries (ed il suo CEO Nolan Sorrento)che vorrebbe prendere il controllo di OASIS per poter monetizzare il mondo virtuale.

Fortunatamente, Wade non è solo: è in compagnia di Aech, un orco alto ma buono e di Art3mis, una giocatrice famosissima e ossessionata da Halliday tanto quanto Wade. A loro si aggiungeranno anche Daito e Sho, amici di Aech. Più avanti nella storia, i ragazzi si incontreranno nella vita reale, scoprendo che a volte dietro l’avatar ci possono essere delle sorprese.

Le tre chiavi, libro vs. film

Le prove per aggiudicarsi le tre chiavi sono diverse rispetto a quelle nel libro: il pubblico del cinema deve essere intrattenuto diversamente rispetto ad un lettore, mostrandogli esplosioni, mostri giganteschi, fulmini e saette. Così, ecco che nel film c’è uno spazio nuovo per Wade: gli archivi di Halliday, dove poter trovare ogni informazione riguardo la vita del creatore di OASIS, dalle serie TV e film preferiti alla sua stessa vita, mostrandoci i ricordi. Qui, il ragazzo può ripassare per cercare di risolvere gli indizi di Anorak, l’avatar mago di Halliday.

La prima chiave viene data alla fine della corsa automobilistica, rispetto al libro dove il giocatore doveva attraversare un dungeon (come nel gioco di ruolo Dungeons & Dragons) per poi giocare a Joust (gioco arcade) contro Anorak.

La seconda chiave è nascosta dentro una ricreazione del film Shining, così che Wade, Art3mis ed Aech devono attraversare gli orrori dell’Overlook hotel: è stato molto divertente e sicuramente più avvincente rispetto al libro, in cui Wade doveva viaggiare su di un pianeta dove era ricreata la casa d’infanzia di Halliday e doveva giocare a Dungeons of Daggorath sul vecchio TRS-80.

TRS-80, fonte wikia

La terza chiave nel film si trova sul pianeta Doom in un vulcano, dove però Sorrento ha fatto mettere un potentissimo campo di forza da i-R0k (interpretato da T.J. Miller), così da non far arrivare nessun altro utente tranne che i suoi dipendenti. Alleandosi con giocatori da tutto il mondo, Wade riesce ad entrare nel vulcano, dove lo attende una console Atari 2600 e deve giocare ad Adventure. Qui, per avere la terza chiave, Wade deve trovare l’Easter Egg nascosto nel gioco, nonché il primo nella storia (il creatore Warren Robinett, inserì la scritta created by Warren Robinett in una stanza segreta). Nel libro tutto questo non c’è, dato che la chiave per aprire il terzo cancello si può acquisire solo dopo aver suonato per intero 2112 dei Rush e tra l’altro, non si potrà nemmeno aprire se non ci sono altri utenti con l’ultima chiave a farlo! L’unione fa la forza, no?

Easter Egg dal videgioco Adventure, Atari, 1979 (immagine presa da YouTube)

Tiriamo le somme

Allora, è chiaro che questo sia un film fatto da fan (lo scrittore del libro gira dentro una DeLorean) per i fan: amanti della cultura pop anni ’80, dei videogiochi e degli effetti speciali. Sicuramente, ho apprezzato molto la presenza di personaggi di videogiochi importanti come guest-star! Ce ne sono stati così tanti che bastava chiudere gli occhi un attimo per perdersene qualcuno.

Non ho apprezzato il fatto che i personaggi principali del film risultassero quasi onnipotenti, quando nel libro erano persone comuni rintanate in OASIS per sfuggire dalla tristezza e della solitudine della vita reale; nel libro, vengono aiutati dal co-fondatore di OASIS, nonché vecchio amico di Halliday, Ogden Morrow, a sfuggire dalla temibile multinazionale che li vuole morti. Nel film, Morrow (interpretato da Simon Pegg che usa un accento americano molto credibile) viene fatto vedere un paio di volte, per poi scoprire alla fine di essere stato il curatore degli archivi sin dall’inizio. Certo, è fondamentale per la sopravvivenza di Wade (poiché gli consegna una moneta extra life, una vita in più, che gli permette di non morire contro Sorrento), ma mi sarebbe piaciuto vederlo di più in azione… Dopotutto, aveva fondato OASIS con Halliday, non era il primo tizio a caso che passava di lì.

Alla fine, Ready Player One è un film buono che può piacere a tutti gli amanti dell’avventura, del fantasy e della fantascienza.

A quando l’uscita di OASIS per andarci a vivere per davvero? La realtà virtuale è sempre più vicina, dopotutto.

Al prossimo film!

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